Fuori anche Fognini, gli Us Open restano senza azzurri (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)
Bye bye Flushing Meadows e Us Open. L’Italia del tennis che si era presentata all’ultimo Slam dell’anno con 9 azzurri (8 uomini più la Giorgi) saluta mestamente la Grande Mela senza averne piazzato neppure uno al terzo turno. Ha infatti perso anche l’unico che non aveva ancora disputato il secondo, Fabio Fognini. E’ stato il peggior Slam dell’anno per i “nostri” dopo i due ottavi contemporanei centrati in Australia (Fognini e Seppi), la semifinale di Cecchinato a Parigi, i quarti della Giorgi a Wimbledon, un’estate promettente con 3 tornei vinti fra Fognini (2) e Berrettini (1). E’ un mistero perché Fognini non abbia praticamente giocato né il primo né il quarto set con il modesto australiano John Millman, n.55 Atp. Ha perso 61 46 64 61 (2h e 40m). Fabio non ha saputo spiegare perché sia entrato in campo perdendo 5 games di fila nei quali ha messo a segno solo 2 punti su 22. La sua spiegazione è stata la più onesta possibile: «Lui è stato più solido, la buttava di là e io, che stavo meglio oggi di due giorni fa, sbagliavo tutto. Male, molto male. Me ne vado a casa… finalmente! Non è una novità che io giochi così male in questo torneo!». Eppure una volta vinto il secondo set, sotto gli occhi della moglie Flavia Pennetta e del coach Franco Davin, c’era un tale divario tecnico che pensavo il peggio fosse passato. Invece Fabio ha pensato di perdere subito, fra un lancio di racchetta e l’altro, il servizio nel primo game del terzo, ha recuperato il break (3 pari), ma sul pari ecco 3 errori banali e un doppio fallo a precedere i 10 minuti di sospensione per la “heat policy” che avrebbero potuto calmarlo. Macchè! Nel quarto set si è rivisto il Fognini assente del primo, presto rassegnato. Ha ceduto il servizio 3 volte su 4 e rimediato un altro 6-1. Che peccato sprecare così un tale talento.
I colpi di Camila sempre uguali. Quanto le manca un vero coach (Gianni Clerici, La Repubblica)
Venus Williams sarebbe stata battuta da Camila Giorgi a causa delle gambe. Le gambe di Venus sono ancora bellissime, sono meravigliose da vedere ma non servono più per correre. Per sua fortuna a Venus è rimasto un bel braccio, un polso sensibile quanto le lunghe dita, e con questi giunge a colpir bene la palla, quando non è troppo lontana da lei. Di fronte a Venus c’era l’unica giocatrice più o meno italiana rimasta, Camila Giorgi. Camila, ricordo al lettore, venne mostrata un giorno da suo papà allo scriba, all’amico Riccardo Piatti e al presidente di un club di San Fermo della Battaglia (Como). Era una bambina, e il presidente voleva sapere se, grazie a lei, poteva assumere tutta la famiglia perché la piccola diventasse una campionessa. Noto che Camila pensa ancora come quando era bambina, e che certo il papà non è in grado di pensare per lei, perché non è un coach. Camila dunque, contro un’avversaria priva di gambe ha perso perché non ha provato, nemmeno provato, a spostare l’avversaria. Ha perso 6-4, 7-5 (ieri sera fuori anche Fognini ultimo italiano), e credo avrebbe invece vinto se non avesse ciecamente continuato a cercar di imporsi con colpi vincenti, palle sempre percosse per far punto. Se la Giorgi avesse colpito almeno 30 palle, alternando 10 smorzate, 10 slice, 10 mezzi lob, avrebbe vinto la partita, contro un’avversaria immobile. Non ha avuto la minima idea se non quella di colpire la palla a tutta forza, e mi sono domandato se abbia un coach. Non certo il papà, che probabilmente non sa giocare meglio di Richard Williams, con il quale non riuscii a scambiare più di 3 palle. Se Camila avesse un coach potrebbe ancora divenire una campionessa. Al contrario, vincerà durante i giorni pari, e perderà in quelli dispari. Coach cercasi.
Fognini, giorno da buttare. È un’Italia piccola piccola (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)
Un’altra delle sue prestazioni «monstre», purtroppo alla rovescia, come gli è capitato spesso nella sua carriera. Fabio Fognini abbandona New York al secondo turno cedendo al modesto australiano John Milman in quattro set. Con grande onestà dirà: «Non sono né stanco né infastidito dal caldo, ho fatto schifo. E quando uno gioca come me oggi, merita solo di perdere». Non fa una piega. Per accattivarsi gli americani aveva scelto di vestirsi con i colori della bandiera Usa: «Forse un monito per ricordarmi che cosa successe l’anno passato», aveva spiegato al New York Times. Quando dopo aver perso al primo round con Travaglia insultò una giudice di linea e venne multato ed espulso dal torneo. Qui a New York lo considerano uno showman, nel bene e nel male. Fognini vorrebbe dare spettacolo, ma su questo cemento, che anche ieri ribolliva per il caldo, per qualche ragione non gli riesce: «Ho una decina di scuse da mettere nella lista: a differenza di mia moglie non mi piace la città e poi ci arrivo sempre un po’ bollito. Troppe partite e troppo tempo lontano da casa», spiegherà più tardi. Sognava un quarto turno con Federer, ma sarà per la prossima volta. Stavolta a Fabio non funziona quasi nulla. E’ come se in campo entrasse con il peggior mantra per uno sportivo: «Tanto qui gioco male e perdo». Così succede che si alternano due Fognini. Quello bravo e talentuoso, che quest’anno ha vinto tre tornei (San Paolo, Baastad e Los Cabos), si vede pochissimo. Vero protagonista di giornata è il suo pericoloso alter ego. Nel primo set raccatta due quindici in cinque giochi, un 20-2 raccapricciante. Una follia. «Su questi campi continuano a passarmi davanti vecchi fantasmi», aveva detto dopo aver faticato anche al primo turno con il mediocre americano Mmoh. Stavolta con il 29enne Millman, numero 55 del mondo, che non ha mai vinto un torneo e non è mai andato oltre un terzo turno (raggiunti tre volte) in uno Slam, il fantasma è lui. Si prende un solo gioco sullo 0-5, quando ormai la prima frazione è andata, che saluta provocatoriamente con il pugno alzato. E’ nel secondo set che riappare il suo lato buono. Frena il numero di errori, si rivedono rovesci e dritti a velocità straordinaria che mettono in difficoltà il rivale. Sfracella una racchetta per terra (senza warning), lo becca invece poco dopo quando saluta un doppio fallo con cui si fa strappare il servizio scaraventando la pallina nel cielo arroventato. Borbotta frasi fra sé e sé che ripeterà più volte anche davanti ai taccuini: «Non ci vuole un esperto di tennis per analizzare questo match. C’era un giocatore solido, lui, e uno che faceva schifo, io. Ma finalmente me ne vado a casa». … [segue]
Fognini, che flop! L’Italia sparisce (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)
Ciao Italia. Non c’è più azzurro a New York. Anche Fabio Fognini, l’ultimo dei nostri, è tornato a casa. Così, dopo una partenza con otto rappresentanti nel tabellone maschile e uno in quello femminile, al terzo turno degli U.S. Open non c’è rimasto più nessuno. Un flop clamoroso per il nostro tennis che, almeno con la punta di diamante Fognini, aveva una strada agevole, ma solo sulla carta perché l’australiano John Millman, 55 al mondo, non si è certo preoccupato del fatto che l’azzurro si presentasse con il 14 (che comunque potrebbe ugualmente migliorare nonostante il ko) a un passo dal suo top (13 nel 2014): in quattro set ha infatti cancellato l’Italia da questa edizione di Flushing Meadows. «Una partita pessima – non ha negato l’evidenza Fognini nel dopo match – faceva caldo, ma non solo per me. Non mi sentivo stanco e non comprendo i motivi di una simile prestazione. Ma se sbagli così tanto è giusto perdere». Sincero Fabio, ma si è visto subito che sarebbe stata una giornata complicata. Un avvio di incontro per il quale è difficile trovare un aggettivo. L’unica spiegazione, forse, è che Fognini si era dimenticato… di entrare in campo. Infatti a Millman sono bastati appena 20′ minuti per chiudere 6-1 la prima frazione di gioco. Chiuso in maniera allucinante il primo set, ecco che per il secondo Fognini si è… presentato in campo. E con il dritto che ha cominciato a funzionare anche l’andamento della partita ha preso un’altra piega: 3-0. Poi però il ritorno dell’australiano, capace di riportarsi in parità, 3-3, mentre dall’altra parte cominciavano a spaccarsi le prime racchette. E se sugli spalti Flavia Pennetta preparava il cambio delle scarpe per il marito, in campo prima Fognini piazzava il break sul 5-3, poi però non approfittava del servizio, ma pareggiava il conto dei set al decimo gioco. II tanto auspicato ritorno? No. Solo una illusione perché poi in pratica la partita veniva decisa al nono game del terzo set: un errore, l’ennesimo, questa volta di dritto, gioco all’australiano che poi servendo sul 5-4 non perdeva l’opportunità, 2 set a 1 prima della pausa con dieci minuti di riposo per il caldo. Ormai, lo si vedeva, non c’era più nulla da fare. Al terzo turno ci va Millman, che si troverà di fronte il kazako Mikhail Kukushkin (84 al mondo). Che occasione buttata…
Kyrgios svogliato. L’arbitro scende per motivarlo, e lui stravince (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)
Ancora lui, Nick Kyrgios: nell’occhio del ciclone. Anche se stavolta il protagonista è il giudice di sedia svedese Mohamed Lahyani, uno dei big. Si ripete la solita storia già vista con frequenza quando di mezzo c’è l’australiano. Nick è sotto di un set e 3-0 nel secondo, con il francese Pierre-Hugues Herbert, 75 del mondo: sta giocando male e ha il look da svogliato. Insomma, sembra che non stia dando il massimo. Così, al cambio di campo, Lahyani scende dalla sedia, gli arriva davanti e gli parla per meno di un minuto. Negli Usa lo definiscono un «pep talk», uno di quei discorsini motivazionali che impartiscono gli allenatori ai loro ragazzi. «Ti voglio aiutare», gli dice. «Quello che sta giocando non sei tu. Lo so che non sei tu». Lo invita a darci dentro. Non si sa quanto lo abbia davvero aiutato. Sicuramente l’effetto non si vede subito. Perché Kyrgios va sotto 5-2 e al cambio campo lo inquadrano sdraiato sulla sedia con le braccia dietro la testa e l’asciugamano in bocca. Sembra sull’orlo di mollare. Ma in quel momento si ricompone e completa la rimonta impossibile fino a portare Herbert sul 6-6 e conquistare il set al tie-break. Qualcuno pensa che l’arbitro gli abbia dato una mano non richiesta. Ma Kyrgios respinge l’accusa: «Io non ho un coach da anni, non mi faccio certo allenare da un arbitro: manco lo ascoltavo. Non mi ha aiutato. Mi ha detto che gli piacevo, ma che gli piaceva di meno la mia espressione: non mi sembrano parole d’incoraggiamento. Mi ha detto che non davo una bella immagine allo sport che rappresento». Certamente Lahyani, che già nel 2011 si comportò allo stesso modo a Valencia con Monfils, sembra essere andato oltre le sue prerogative, come riconosce un ex grande arbitro, Richard Ings: «Ho seguito migliaia di match, non ho mai visto una cosa del genere». La federazione statunitense ha aperto un’inchiesta. Non finisce qui, insomma.
Fognini ko, l’Italia saluta gli Us Open. Federer boccia la “Coppa Piqué” (Angelo Mancuso, Il Messaggero)
A New york era atteso dopo i fattacci di un anno fa, quando aveva lasciato gli US Open a testa bassa, prima battuto da Travaglia e poi multato e squalificato per gli insulti in mondovisione alla giudice di sedia. Vestito con un completo ispirato alla bandiera statunitense («alla Apollo Creed», aveva detto lui stesso dopo l’esordio), il 31enne ligure è uscito di scena al secondo turno contro John Millman, n.55 Atp: 6-1 4-6 6-4 6-1 per l’australiano, un avversario con cui un giocatore come Fognini poteva e doveva fare meglio. Dopo un primo set disastroso, l’azzurro ha fatto suo il secondo parziale, ma le amnesie sono tornate nel terzo e quarto. Niente possibile sfida negli ottavi con Federer, dunque. «Qui a New York ho spesso deluso – ha ammesso – in famiglia siamo divisi, Flavia adora questa città che le ha portato decisamente bene, io invece non la amo. Non riesco ad esprimermi al massimo ». Quest’anno gli 8 italiani al via (oltre al ligure, Cecchinato, Seppi, Lorenzi, Berrettini, Sonego, Travaglia e Gaio) sono out dopo due turni. Federer non gradisce la riforma approvata dall’ITF. Dal nuovo tabellone a 24 squadre, alla sede unica per la fase finale, ai match al meglio di tre set. Soprattutto per il fatto che l’idea è venuta al gruppo di investimenti Kosmos con a capo Gerard Piqué: «E un po’ strano vedere un calciatore che si intromette tanto nel tennis. Non ci ho ancora parlato, però bisogna fare attenzione: la Davis non dovrebbe diventare la Coppa Piqué», ha detto Roger, che poi ha aggiunto: «In generale sono favorevole alle innovazioni e il nostro sport deve pensare un po’ fuori dagli schemi per cambiare. Ma è un po’ come nel Jenga, un gioco da tavolo. Devi stare attento a non spostare il pezzo che farà crollare l’intera costruzione». Immediata la replica di Piqué, difensore del Barcellona e della Spagna. «Non intendo trasformare il tennis e farlo diventare come il calcio. Ogni sport ha le sue caratteristiche e la sua storia. Vogliamo solo modernizzare la Davis».