Splendida settimana di Fabio, ma l'Italia non è (ancora) rinata

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Splendida settimana di Fabio, ma l’Italia non è (ancora) rinata

La vittoria di Fognini non vale meno dei successi di Dimitrov, Khachanov e Sock. Ma non dice nulla del futuro, suo e del tennis italiano

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Fabio Fognini - Montecarlo 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

A Pasqua, di solito, siamo abituati a festeggiare una resurrezione. Quella di Fabio Fognini è una storia un pizzico diversa, perché in realtà il ragazzo di Arma di Taggia è sempre stato vivo e vegeto. Come tanti altri comuni mortali della racchetta era semplicemente in attesa della settimana perfetta, quella anche un po’ fortunata nella quale tutti i pezzi avrebbero finalmente combaciato.

Certo il momento sembrava dei meno adatti. A trentuno anni, sul punto di chiudere uno dei peggiori quadrimestri della sua carriera, si è presentato a Montecarlo senza uno straccio di vittoria sulla terra battuta in stagione. Crescenti i dubbi che avrebbe prima o poi firmato una vittoria di prestigio, più acuminati gli strali dei suoi detrattori, mentre i ‘Mille’ cominciavano a diventare territorio di caccia anche per giocatori esclusi dalla ristrettissima cerchia degli eletti: Sock, Dimitrov, Isner, Khachanov, in ultimo Thiem.

Invece Fabio è riuscito ad aggiungere il suo nome accanto a loro. Non ha fallito la prova del nove, dopo aver battuto Zverev e Nadal, e ha vinto il nono titolo di una carriera ondivaga che lo colloca comunque senza troppi dubbi alle spalle di Panatta tra i migliori italiani in Era Open. I dieci titoli di Adriano, tra i quali pesa ovviamente di più quello di Parigi, distano adesso una sola lunghezza. Ma a Montecarlo nessun italiano vinceva dal lontano 1968, quando Pietrangeli – esattamente 51 anni fa, il 21 aprile – batteva nettamente il sovietico Metreveli; si giocava ancora tra dilettanti, poiché l’Era Open sarebbe iniziata meno di ventiquattr’ore dopo, il 22 aprile, con il primo punto messo a segno dallo scozzese John Clifton a Bournemouth. Per Fognini c’è anche il dodicesimo posto in classifica, nuovo best ranking, con il quale il ligure eguaglia Bertolucci – nel passato – e supera Cecchinato nel presente, tornando ad essere il numero uno d’Italia.

Numeri importanti per Fabio, che il primo titolo lo aveva vinto a Stoccarda nel 2013 (quando il torneo tedesco si giocava ancora sulla terra) per poi ripetersi la settimana successiva ad Amburgo, l’ATP 500 che prima di oggi era il trofeo più importante nella sua bacheca. Adesso l’ingombro maggiore è quello della coppa del Principato, che per forza di cose è anche il torneo nel corso del quale Fabio ha dovuto sconfiggere gli avversari più complicati. Dei sette top 5 battuti in carriera ben due li ha battuti questa settimana, come mai gli era successo. 

Certo, c’è la fortuna di cui abbiamo già parlato. E certo né Zverev né Nadal sono scesi in campo al meglio delle loro possibilità, ma quante settimane perfette non sono state baciate dagli eventi? Dimitrov non ha battuto un Kyrgios in debito d’ossigeno in finale a Cincinnati? Khachanov non ha forse approfittato di un Djokovic dimesso sull’indoor di Bercy, lo stesso torneo che ha visto Sock sbucare fuori praticamente dal nulla e battere in finale… Krajinovic, che sarebbe poi scomparso dai radar per i mesi a seguire? Riesce difficile pensare che la vittoria di Fognini abbia un valore minore delle tre succitate.

Quanto al futuro, questa vittoria potrebbe anche non cambiare nulla. I limiti del Fabio Fognini tennista – principalmente il servizio, che questa settimana non è quasi mai stato un fattore – non spariranno. Così come è verosimile credere che continueranno ad esistere le pause, le settimane difficili, le sconfitte evitabili e i conseguenti gesti di stizza. Perché è vero che la storia del tennis la scrivono i vincitori, ma di vincitori questa storia è anche discretamente piena e non tutti hanno saputo trasformare quei successi importanti in trampolini per saltare ancora più su (Slam e 1000 non sarebbero certo bastati per tutti). Altri, tanti altri, non sono mai riusciti a spingersi oltre. Non è detto che Fognini lo faccia e forse non sarebbe neanche onesto chiederglielo.

In ultimo, questa vittoria pur straordinaria non è il segnale di un ‘movimento in salute’. Fognini è professionista da quindici anni e raccoglie oggi quanto seminato molti anni fa, forse più a Barcellona (dove si trasferì nel 2007) che in Italia; semmai, è il risultato di Sonego a rappresentare un buon segnale assieme alla crescita di Berrettini, alle certezze che offre Cecchinato sul rosso e ai primi vagiti di Sinner e Musetti. Rispetto al disastro al femminile, che non ha potuto evitare un sonoro 3-0 in Russia e di conseguenza la retrocessione in terza serie, la situazione è sicuramente rosea. Ma gridare alla rinascita italiana per la splendida settimana di un tennista del cui talento non si dubitava già da anni rischia d’essere solo un falso proclama.



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