Berrettini, tennis da Oscar: io come Django (Scanagatta). Panatta carica Berrettini: "Contro Nadal fai così" (Cocchi e Bertolucci). Berrettini, un attaccante in un Paese di attendisti (Clerici). Il mental coach Massari: "Curioso, determinato, sensibile" (Rossi)

Rassegna stampa

Berrettini, tennis da Oscar: io come Django (Scanagatta). Panatta carica Berrettini: “Contro Nadal fai così” (Cocchi e Bertolucci). Berrettini, un attaccante in un Paese di attendisti (Clerici). Il mental coach Massari: “Curioso, determinato, sensibile” (Rossi)

La rassegna stampa di venerdì 6 settembre 2019

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Berrettini, tennis da Oscar: io come Django (Ubaldo Scanagatta, Giorno – Carlino – Nazione)

Fino a pochi giorni fa mi messaggiava chiamandomi ‘Prof’. Ora riceve 1000 messaggi al giorno e non ha davvero più tempo di rispondere. E poi il professore è diventato lui, Matteo Berrettini, primo italiano in semifinale all’US Open 42 anni dopo Corrado Barazzutti. Alto 1,96, bello, potrebbe fare il tronista della De Filippi, ma non è il tipo. Simpatico, educato, spiritoso, i settimanali faranno a gara per metterlo in copertina. Piace come piaceva Panatta. E non solo a Alja Tomljanovic, la sua girlfriend australian-croata. Matteo qua è già una star. Ma non si darà mai arie. Sui campi in cemento di Flushing Meadows ha fatto fuori 5 rivali, gli ultimi due contro pronostico. Il russo Rublev (recente vincitore di Roger Federer). Poi il francese Gael Monfils sull’Ashe Stadium, il più grande del mondo per il tennis. «Non ci avevo mai messo piede e lui invece chissà quante volte. Dopo il mitico Centre court di Wimbledon che sognavo da bambino ecco l’Ashe: grandissimo, mi ha stupito averci messo poco ad abituarmi. Un’umidità poi! Ho dovuto anche cambiare le scarpe; ma in 5 set ho affrontato tutto, umidità, freddo, caldo, tetto aperto, tetto chiuso. Condizioni toste. Ma il mio tennis logora. Per starmi dietro si deve far fatica, alla lunga esco fuori. Mi sono abituato bene ai 5 set: sono come un pugile che lavora ai fianchi». Match pazzesco… «Sì, pazzesco come tutti quei match-point che ho mancato…». Quattro. E il primo con il primo maledetto doppio fallo del set. «Ma che film è stata la mia partita? Django Unchained, perché è stato un bagno di sangue! Parlavo col mio mental coach prima, mi ha detto che pensava che si potesse nascere e morire una sola volta, e che invece guardando il match gli era successo un sacco di volte! Sono crollato, mi sono rialzato, tante volte, questo è grande motivo di orgoglio». E alla fine? «Non mi ricordo più i punti, ma solo il servizio vincente finale (202 km orari). Ero appena un po’ teso, ma non ve ne sarete accorti (aggiunge sarcastico)». Ben 42 anni fa in semifinale arrivò Barazzutti senza il servizio a 220 km l’ora, il dritto fucilata di Berrettini. Rino Tommasi lo ribattezzò’soldatino’. «Beh, io sono di Roma, forse ora, dopo 4 ore di battaglia, potrei essere ‘Il Gladiatore’». II grande campione svedese Mats Wilander mi ha detto: «Berrettini sembra così poco italiano come atteggiamento», mentre il suo amico e manager Corrado Tschabuschnig sostiene: «Berrettini mi ricorda Panatta». «Se lo dicono loro…». Ora la sfida al grande favorito del torneo, Rafa Nadal. «Avrò visto un centinaio di sue partite. Chi non lo conosce? La prima volta? Ricordo la finale di Nadal a Roma contro Coria: la stavano dando in chiaro su un canale che trasmetteva cartoni animati. Io ero piccolo e quei due rimasero in campo sei ore. Ma andiamo!, io volevo guardare i cartoni! Sì, lo ricordo e fu incredibile. Anche i miei compagni di classe iniziarono a seguire il tennis perché videro quella partita. E mi dicevano, anche tu fai questo sport? E io rispondevo che sognavo di giocare partite come quelle. E adesso eccomi qui. Sono felice». Quattro anni fa non aveva ancora un punto ATP. Oggi Berrettini è numero 13 del mondo, in semifinale all’US Open. Eppure continuava a pensare che la sua superficie migliore fosse la terra rossa. Poi ottavi sull’erba a Wimbledon, semifinale qui sul cemento. «Certo, sul cemento non avevo vinto una partita quest’anno fra Slam e Masters 1000, 4 ko su 4 partite».

Panatta carica Berrettini: “Contro Nadal fai così” (Federica Cocchi e Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

Come si affronta un top player in uno Slam? Molto semplice, basta fregarsene. Più o meno questo faceva Adriano Panatta, capace di battere Borg ai quarti del Roland Garros nel 1976 e poi andare a vincere il torneo. Un Borg cannibale, vincitore del torneo nei due anni precedenti ma Panatta, spavaldo, tra un «pof poff» e l’altro è arrivato lassù. «Non sono mai stato uno molto emotivo — racconta Adriano, romano come Berrettini —. Sono sempre stato freddo, non so se è una questione di sicurezza in se stessi, di carattere, una pura coincidenza. Ma io non ho mai subito l’aspetto emotivo dei match». Ha subito però l’aspetto emotivo del match di Berrettini contro Monfils, una partita che dopo anni l’ha tenuto incollato alla televisione. Su Twitter, dopo la vittoria lottatissima contro il francese, Adriano ha commentato: «Bravo Matteo hai giocato un grande match, ormai sei un giocatore vero e ti meriti una grande carriera. Grazie anche perché dopo tanto tempo mi hai fatto emozionare guardando una partita di tennis. In bocca al lupo». Parole piene di sentimento, per lo sport e per un ragazzino che ha visto per la prima volta quando aveva 18 anni. Matteo si allenava al Circolo Aniene a Roma, e Panatta era stato chiamato dal coach Santopadre a dare un’occhiata a questo ragazzino che ancora non vinceva quando avrebbe potuto, ma che rivelava grandissime potenzialità. «Ricordo che dissi a Vincenzo: “Guarda che questo è un giocatore vero”» […] Matteo stasera vivrà un’esperienza unica, all’Arthur Ashe, dove probabilmente buona parte del pubblico sarà per Rafa, il campione di tre Us Open: «Penso che da stasera tutto sarà in discesa, il ragazzo ha già dimostrato il suo valore, e con Nadal è molto più facile perdere che vincere…L’ideale è mantenere una percentuale intorno al 75% di prime per giocarsela. Però, Matteo, devi stare tranquillo, hai già fatto tanto» […]

Per giocarsela col mito Rafa bisogna mischiare le carte. VARIETÀ: Accelerare col dritto […] Matteo dovrà cercare di mischiare in continuazione le carte, anche con repentine accelerazioni in particolare con il dritto, la sua arma letale. SERVIZIO: Sfruttare la prima […] l’azzurro dovrà capitalizzare al massimo con la battuta, sfruttando la posizione arretrata che assume il mancino spagnolo in risposta, per poter poi incidere con il colpo successivo. La percentuale di prime sarà quindi fondamentale, perché è troppo pericoloso offrire a Rafa Nadal la risposta sulla seconda di servizio. OCCHIO A SINISTRA: Pericolo diagonale. II gancio mancino di Rafa Nadal non lascia scampo agli avversari […] Matteo dovrà fare in modo di non subire passivamente la diagonale di sinistra imposta dal maiorchino per non farsi anestetizzare il braccio e, di conseguenza, perdere in esplosività. RITMO: Accorciare gli scambi. Un’altra delle chiavi possibili per mettere in difficoltà Rafa Nadal sarà togliergli ritmo il più possibile nell’arco dell’incontro […] cercare di accorciare il più possibile gli scambi, tentando di mantenere sempre sotto controllo la percentuale di errore. A RETE: Spostare lo spagnolo. Un’altra delle possibilità a disposizione di Matteo Berrettini per demolire le granitiche sicurezze che danno forza a Rafa Nadal può essere un uso intelligente durante il match delle discese a rete […] potrebbe infatti costringere lo spagnolo a modificare la posizione sul campo perdendo alcune certezze.

Berrettini, un attaccante in un Paese di attendisti (Gianni Clerici, Repubblica)

Mi pareva, nel sonno mattutino, che la partita di Matteo Berrettini fosse da poco finita, che mi ha telefonato il collega Paolo Rossi per chiedermi un commento. Gli ho subito risposto che avrei scritto volentieri di aver ammirato il primo attaccante italiano della storia, il primo serve and volleyer, come non ce n’erano mai stati. Tutti i grandi giocatori italiani, da De Morpurgo a De Stefani, da Pietrangeli a Barazzutti, con l’eccezione di Panatta, erano stati regolaristi e contro attaccanti. L’unico altro attaccante, ma dal fondo, si chiamava Fausto Gardini, campione italiano juniores di doppio insieme a me, che i punti faceva con un curioso diritto, e con una ancor più curiosa volée di drive. Ora l’unico attaccante nato in questo Paese di attendisti è Berrettini, e io non so dire se la caratteristica di attaccante faccia parte della sua natura, o della sua educazione, o di entrambe. Non lo conosco abbastanza bene, ho conosciuto superficialmente i suoi coach,Vincenzo Santopadre e Umberto Rianna. E non so dire se da bambino somigliasse già a quello che è diventato da grande, e cioè un serve and volleyman […] Mi si chiede se simile scelta si ripeterà nella semifinale questa notte perché attaccare Nadal è più rischioso e perché Berrettini dovrebbe scendere in campo appagato dalla sua impresa, forse seminsperata, con Monfils. Ma chissà. In questa attività è facilissimo sbagliare, ancor più che nel tennis.

Il mental coach Massari: “Curioso, determinato, sensibile Matteo porta a rete la sua vita” (Paolo Rossi, Repubblica)

[…] Stefano Massari, 53 anni: è il suo mental coach. E allora: chi è Berrettini? «Una persona unica, con aspetti marcati e qualità molto grandi. Dotato di sensibilità estrema, una immensa curiosità e il desiderio di conoscere le cose, unite a determinazione e coraggio» […] Berrettini, così poco italiano. «È il premio al lavoro di Santopadre. Il progetto di Vincenzo è profondamente umano, privilegia la crescita personale a quella sportiva. Berrettini è l’espressione altissima di questa filosofia». Berrettini, gruppo-famiglia? «È così. L’atmosfera di famiglia è l’elemento indispensabile per Matteo: lui ha necessità di avere un rapporto personale con lo staff con cui lavora, perché è così. Lui esterna affetto e ha bisogno di sentirsi apprezzato, dalle persone con cui lavora oltre che dagli altri ovviamente». Che indicazioni le ha dato la partita con Monfils? «Se lo ha battuto dopo quel doppio fallo sul 1° match point è perché non ha avuto una reazione aggressiva con se stesso. In quei minuti ho constatato quanto il nostro lavoro abbia funzionato. Gli ho detto che sono nato e morto tante volte nella stessa partita». A parte il tennis, qual è la bravura di Matteo Berrettini? «L’accettazione delle difficoltà. Matteo sa che vince chi accetta di sbagliare, è un grande interprete di questo. È bravissimo a imparare. La sua bravura è accettare le difficoltà. Con il francese ha accettato di giocare con la mano che tremava. Questa è la chiave. Monfils ha fatto l’attore, se Matteo si fosse innervosito sarebbe finita, invece non si è irrigidito». Ora c’è Nadal, il che ci fa tornare a Wimbledon e a Federer. «Oh, tornerà utile quella lezione. Matteo ha accettato il momento più difficile della sua carriera: contro il suo idolo e nel tempio del tennis. Poteva diventare un incubo ma ne è uscito con ironia, un segno importante». Dove può arrivare Berrettini? «E chi può dirlo? Posso dire che il suo percorso è talmente veloce che è pieno di crisi. Che non sono dubbi, ma difficoltà della crescita. Mi spiego: avendo una incredibile rapidità di apprendimento, la cosa lo costringe ad alzare il livello e confrontarsi a un livello superiore». […] E i difetti? «La tendenza al perfezionismo. Ma ora sa che una cosa è l’eccellenza, un’altra la perfezione. Da bambino si chiedeva di essere perfetto. Ma con Monfils ha giocato una partita eccellente, non perfetta. Ma la bellezza di Matteo è che si sente soddisfatto, ma non realizzato. Anche nella vita, che vuole continuare a conoscere con lo stesso coraggio del suo tennis».

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