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Reading: A Shanghai va in scena la rivoluzione degli under 23
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A Shanghai va in scena la rivoluzione degli under 23

Quattro semifinalisti di età inferiore ai 23 anni, in un torneo di questa categoria non accadeva da Amburgo 1999. Alle 10:30 Tsitsipas contro Medvedev, alle 14 Berrettini sfida Zverev

Last updated: 14/10/2019 10:01
By Alessandro Stella Published 12/10/2019
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5 Min Read
Matteo Berrettini - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)

L’edizione 2019 del Masters 1000 di Shanghaisembra già potersi rivelare un piccolo spartiacque della storia recente del tennis. Non accadeva infatti da ben vent’anni che un torneo di questa categoria – transitata attraverso le denominazioni di Super 9 e Masters Series – accogliesse quattro semifinalisti di età inferiore ai 23 anni. Se il German Open di Amburgo del 1999, vinto dall’allora 23enne Marcelo Rios, vide spingersi in finale Mariano Zabaleta (21 anni) e in semifinale Nicolás Lapentti (22) e Carlos Moya (22), i quattro moschettieri di Shanghai sono il 21enne Tsitsipas, il 22enne Zverev e i 23enni Medvedev e Berrettini.

In un certo senso, questo evento sembra completare un primo ciclo di rottura cominciato a metà 2017. Battendo in finale prima Djokovic a Roma e poi Federer a Montreal, Sascha Zverev finì per infondere una certa dose di coraggio a un paio di signorotti di quella generazione di mezzo – identificabile con i nati tra il 1990 e il 1995 – che aveva raccolto pochissimo fino a quel momento. Approfittando di big acciaccati o assenti, Dimitrov vinse a Cincinnati e Sock s’aggiudicò una versione del torneo di Bercy ben fornita di parvenue fin nelle giornate conclusive (Benneteau in semifinale e addirittura Krajinovic in finale).

Tre nuovi campioni si sono visti anche nel 2018 grazie ai successi di Khachanov a Bercy, dove ormai da un paio d’anni ogni gerarchia sembra smarrita, del Potro a Indian Wells e Isner a Miami, questi ultimi due più premi alla carriera che veri germogli di rivoluzione. Altri tre scossoni, la torre d’avorio dove si annidano i soliti fenomeni, li ha accusati anche in questo 2019: Thiem ha rovesciato Federer a Indian Wells, Fognini s’è riscoperto campione a Montecarlo battendo Nadal sul suo cammino e Medvedev ha fatto lo stesso con Djokovic incedendo verso il titolo di Cincinnati.

Non era però mai successo che quattro virgulti in odore di piani alti, o già ivi risiedenti, si ritrovassero tutti insieme a brandire il ramoscello del semifinalista. È con un pizzico di emozione che ci ritroviamo a commentare il primo tra i grandi tornei che già dal sabato si rivela un affare di pertinenza dei soli nati nel 1990. Eh sì, non era mai successo, e qualcosa vorrà pur dire. I casi sono due, e non è detto che la soluzione stia per forza tutta da una parte. O la succitata generazione perduta (i 90-95, per capirci) ha effettivamente qualcosa in meno di quella appena emersa, o il tempo che avanza ha semplicemente aumentato le defaillance dei soliti noti.

C’è sicuramente un po’ di verità nelle accuse ai vari Nishikori, Dimitrov, Raonic e Goffin, che dispiace ogni volta utilizzare come metro di paragone (mentre ci sentiamo di escludere Thiem, che il suo lo ha fatto e continua a farlo). L’idea è che i nuovi abbiano assaltato la diligenza con molta più convinzione, anche ammesso – come è persino facile da dimostrare – che questo potere sia oggi più vulnerabile, semplicemente perché più anziano. In sintesi: oggi è un po’ più facile di ieri, ma quelli di oggi ci stanno provando meglio di quelli di ieri.

Ci saremmo semplicemente goduti lo spettacolo, tra questi ragazzi, se non ci fosse stato Matteo che purtroppo è stato seccamente sconfitto da Zverev. Ogni volta che lo diciamo l’istinto è di toccare ferro, ma anche la vittoria contro Thiem ha il sottotesto ‘è così che vincono quelli forti‘. Non giocando meglio per tutta la partita, giocando meglio quando serve con un pizzico di aiuto della dea bendata che non guasta mai. La sfida contro il tedesco ha invece dimostrato che per arrivare a quel livello c’è ancora della strada da fare, ma del resto il curriculum di Berrettini paga un gap rispetto agli altri tre semifinalisti.

Mentre Matteo ha fatto addirittura il suo esordio in una semifinale 1000, Zverev ne ha già vinti tre, Medvedev è arrivato qui con un titolo appena vinto a Cincinnati (e ha fatto il bis) e Tsitsipas vantava comunque due finali. Per motivi diversi Tsitsipas, Medvedev e Zverev propongono tre candidature forti per rimanere in top 10 a lungo, ed è bello, assai bello, che non costituisca scandalo associare a questo discorso (finalmente) anche un tennista italiano.


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TAGGED:Alexander ZverevATP Shanghai 2019daniil medvedevMatteo BerrettiniStefanos Tsitsipas
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