Jannik vola in finale e Milano impazzisce (Cocchi, Semeraro, Facchinetti). Berrettini caldo: "Perdonatemi se arrivo tardi. Essere qui mi rende felice" (Crivelli)

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Jannik vola in finale e Milano impazzisce (Cocchi, Semeraro, Facchinetti). Berrettini caldo: “Perdonatemi se arrivo tardi. Essere qui mi rende felice” (Crivelli)

La rassegna stampa di sabato 9 novembre 2019

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Jannik vola in finale e Milano impazzisce. Adesso De Minaur (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Una vita da mediano, una notte da star, un Palalido che trema, teme, si carica gioisce, esplode: «Sempre lì, finché ce n’hai stai lì». Tutto merito di Jannik Sinner, il diciottenne prodigio che ha già fatto innamorare l’Italia e che arrivato alle Next Gen Atp Finals di Milano con una wild card, ha raggiunto la finale battendo Miomir Kecmanovic, e oggi si regala un match di lusso contro Alex De Minaur. In un anno meraviglioso per le racchette nostrane Jannik, top 100 più giovane al mondo e della storia italiana, è l’ennesima delizia. In rimonta. Contro il serbo numero 60 al mondo Sinner sente forse per la prima volta la pressione. Quella della gente, che ha trovato un altro idolo tennistico e lo vuole in finale. Il primo set vola via in un attimo, facendo sembrare Kecmanovic un gigante. Ma Jannik si scuote, si ritrova, domina di testa il secondo set portandosi in parità. Il capolavoro arriva nel secondo game del terzo set, quando il teenager cresciuto da Riccardo Piatti, avanti di un break, si trova sotto 0-40 e a rischio di controbreak. Ancora una volta Sinner sta lì, con la testa e col cuore, e con quattro punti di fila mantiene il vantaggio. Il ghiaccio della Val Fiscalina nelle vene lo aiuta anche quando deve servire per il set e si trova 0-30, poi 40-40, ma il deciding point lo porta avanti. Arrivato al quarto set, Sinner scardina la serratura serba nel terzo gioco, conquista un break e si mette comodo per l’affondo finale. Kecmanovic, che ha due anni esatti più di lui, finisce spalle al muro ma con quel che gli resta dell’orgoglio salva tre match point lasciando a Sinner l’onore di chiudere con le sue mani. E lui non sbaglia. ll regalone. Dopo il trionfo prende le cuffie per un coaching speciale, per fare gli auguri all’uomo che lo ha portato fino a qui, Riccardo Piatti. Gli canta «Happy birthday to youuu» dopo avergli fatto il miglior regalo di compleanno possibile. Quando gli chiedono quale sia il segreto del suo incredibile rendimento, Sinner risponde con la solita disarmante umiltà: «Segreti non ce ne sono, però ammetto che con il coaching forse è tutto più facile». Intanto i bambini lo inseguono, i grandi lo ammirano, le mamme lo vorrebbero come figlio. È scoppiata la Sinnermania e lui non ha parole per ringraziare i quasi 5000 del Palalido: «Con tutto sto pubblico è incredibile, grazie, siete davvero fantastici». ll diavoletto. Oggi in finale avrà Alex De Minaur, che già lo scorso anno si è trovato a un passo dalla vittoria ma è stato battuto da Stefanos Tsitsipas. Le regole sperimentali restano ancora un po’ ostiche per questi giocatori, ma per l’australiano numero 18 al mondo ci sono lati positivi anche nei set così brevi: «Tutto può cambiare in maniera estremamente rapida quindi è importante restare concentrati. Diciamo che è un sistema di punteggio che ti obbliga a tenere sempre altissimo ll livello di concentrazione. Questo penso sia molto utile anche per i prossimi impegni sul circuito. Se riuscirò a portare questo grado di attenzione anche nei match degli altri tornei allora credo che potrò vincere molte più partite». […] Oggi però ha un appuntamento con Sinner che cercherà di fare un altro regalo al suo tecnico: «Ci proverò – sorride Jannik – ma non sarà facile perché Alex arriva da una stagione fantastica». Beh, allora siete in due.

Jannik fai paura anche al Diavolo (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Nel tennis vanno di moda i maestri italiani: domani alle Atp Finals di Londra Matteo Berrettini inaugura il torneo dei grandi contro Novak Djokovic, oggi dalle Atp Next Gen Finals Milano Jannik Sinner gli allunga il testimone dal masterino under 21. Il ragazzo di Sesto Pusteria in semifinale ha liquidato in quattro set (2-4 4-1 4-2 4-2) anche il ventenne serbo Miomir Kecmanovic – che di Djokovic è il pupillo – e ad appena 18 anni, dopo essere entrato in tabellone come wild card, oggi alle 21 si gioca la sua prima finale importante contro Alex De Minaur il n.17 del mondo. La miglior finale possibile, per Milano e l’Italia: The Demon, il diavolo australiano contro il ragazzo di casa, Jannik l’Esorcista dei favoriti che in quattro giorni oltre a Kecmanovic (n.60) ha seccato altri due avversari meglio classificati -il n.47 Tiafoe e il n.74 Ymer perdendo solo un match senza valore contro il francese Humbert. […] COME UN VETERANO. Certo la calma, il timing supremo, la maturità tattica di Jannik fanno impressione. Vince i match da veterano, e inizia a maneggiare bene anche le public relation. Ieri dopo il cuoricino mostrato al pubblico ha indossato le cuffiette che servono per il coaching per fare gli auguri di compleanno al suo coach Riccardo Piatti, che gongolava in tribuna. «Con il coaching è tutto un po’ più semplice – ammette Jannik, che dopo un inizio così così ha iniziato a fondare diritti, servizi e rovesci spingendo fuori dal campo Keananovic – oggi poi volevo fare un regalo a Riccardo per il compleanno. Contro De Minaur sarà dura, ma farò del mio meglio». Che vale già una classifica di almeno 40 posti più della attuale (95). De Minaur, vent’anni, già nel 2018 era arrivato in finale a Milano, sconfitto da Tsitsipas, stavolta vuole la coppa forma di X (factor) e festeggiare un anno da record: tre tornei vinti (Sydney, Atlanta e Zhuhai), una finale persa contro il Venerabile Federer a Basilea, l’ingresso fra i top15. Il suo un tennis di alta regolarità e grandissima grinta – il suo mentore e modello è Lleyton Hewitt – e lo si è visto anche dal modo educato ma feroce con cui in semifinale si è liberato dell’amico americano Frances Tiafoe. Il Demone australiano – un melting pot ambulante: nato a Sydney vive ad Alicante con mamma spagnola e papà uruguaiano – parla ogni giorno via telefono con lo psicologo, «perché la mente nel tennis è una delle cose più importanti». E sa che nonostante il divario in classifica dovrà guardarsi dall’Esorcista. Neppure dal Demonio e dai suoi inganni.

Tra Sinner e il sogno ora c’è solo De Minaur (Andrea Facchinetti, Nazione-Carlino-Giorno Sport)

La Sinner Mania fa un’altra vittima eccellente nella semifinale delle Next Gen Atp Finals. Miomir Kecmanovic è rimasto intorpidito dall’entusiasmo straripante dei tifosi accorsi al Palalido di Milano, che hanno spinto l’incredibile diciottenne (nella foto) di Sesto Pusteria (Bolzano) verso un nuovo capitolo della sua storia milanese, tale da portarlo oggi a giocarsi un titolo pienamente meritato, come forse nemmeno lui alla vigilia sognava. La sfida contro il serbo è cominciata quasi sulle ali della timidezza, con Kekmanovic ad approfittare dell’iniziale imbarazzo del nostro eroe per strappargli il servizio e passare in vantaggio di un set. Un vantaggio effimero, perché Sinner ha decisamente cambiato marcia all’inizio del secondo parziale, scappando via inesorabilmente. Esattamente ciò che è successo anche nel terzo e quarto parziale che mandano agli archivi un quasi scontato 2/4, 4/1, 4/2, 4/2. E’ questa sua capacità di trasformare in facili le cose apparentemente difficili che hanno fatto innamorare i milanesi del predestinato, oggi chiamato (con inizio alle 21, diretta tv su Supertennis) a completare l’opera contro il vero favorito del torneo, l’australiano Alex De Minaur, finalista nel 2018 e numero 18 del mondo, che ha impiegato quattro set per venire a capo dell’ostico statunitense Francis Tiafoe con il punteggio di 4/2, 4/1, 0/4, 4/2. Jannik proverà a ribaltare l’ennesimo pronostico e passare l’ideale testimone a Marco Berrettini, il quale domani aprirà le danze nelle Atp Finals alla 02 Arena di Londra contro Novak Djokovic. […] Chi ha terminato la stagione è invece Fabio Fognini. II ligure, ospite della trasmissione “Verissimo” che andrà in onda nel pomeriggio odierno su Canale 5, ha anticipato che la moglie Flavia Pennetta gli regalerà fra poche settimane una femmina, che andrà a fare compagnia al fratellino Federico di due anni. «Il suo nome comincerà come da tradizione con una F, altrimenti mio padre si arrabbia!», – ha esclamato il ligure, oggi numero 12 del mondo

Berrettini caldo: “Perdonatemi se arrivo tardi. Essere qui mi rende felice” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il paradiso forse non esiste, ma alla congrega degli dei in carne e ossa questa volta appartengono anche la testa e il cuore di un ragazzo italiano. Sinceramente, mette i brividi la foto della 02 Arena che incombe sugli otto maestri delle Atp Finals 2019, allungando la sua ombra pure su Berrettini, insieme a titani che hanno scritto pagine da leggenda di un romanzo che non vuole mai finire e alle nuove stelle di cui si era profetata l’ascensione in cielo già dai primi passi sul circuito. Matteo è il primo giocatore in 13 edizioni a partecipare al Masters dopo aver chiuso la stagione precedente fuori dai top 50: solo per questo, e per la favolosa scalata degli ultimi sette mesi, meriterebbe che il mondo applaudisse fino a spellarsi le mani. Pensiero stupendo. […]. Non certo quello di oggi, approdato al numero 8 Atp dal 54 di inizio anno, maturo e consapevole e con le doti tecniche, atletiche e mentali per recitare da star sul palcoscenico dei Maestri, perfino nel tremendo esordio di domani contro Djokovic o nell’incrocio successivo con un altro mito, Federer (il terzo del girone è Thiem, e scusate se è poco): «Alle Finals partecipano solo i migliori, e ci sono anch’io — ammette candidamente Matteo — sono tutti giocatori fantastici, è inutile pensare se ho avuto un sorteggio facile o difficile. L’unica cosa che penso in questo momento è che sono felice e non vedo l’ora di scendere in campo. Mi sento pronto per questa nuova sfida». L’allievo di coach Santopadre sfoggerà il nuovo outfit della Lotto con la benedizione del presidente Andrea Tomat («Lui rappresenta in tutto e per tutto i valori del nostro brand: creatività, tecnica, coraggio e passione») e proverà a prolungare la magia intensa scaturita dalla favolosa cavalcata di New York: «Certamente all’inizio della stagione non mi aspettavo di arrivare fin qui, per la verità non ci speravo neppure, fino pochi mesi fa, ma è cambiato tutto dopo gli Us Open, mi sono reso conto che questo livello mi apparteneva. Per il resto sono un ragazzo che cerca sempre di migliorare, come persona e come giocatore. Ho fatto i miei primi punti Atp a 19 anni, a quell’età Roger, Rafa e Nole erano già top 10, forse sono un po’ in ritardo ma non avverto pressioni». Davanti alla tv Eppur qualcosa si muove dietro la Golden Gen, se è vero che dopo dieci anni alle Finals si esibiranno quattro giocatori sotto i 24 anni (l’ultima nel 2009, e si trattava di Djokovic, Nadal, Murray e Del Potro: se la storia è maestra di vita…). Secondo Federer, che giocò per la prima volta il Masters nel 2002, quando Berrettini e Medvedev avevano sei anni, Zverev vincitore un anno fa cinque e Tsitsipas quattro, il successo di Sascha nel 2018 ha rappresentato un catalizzatore di stimoli per i campioni emergenti: «Ciò che mi colpisce di loro non è che abbiamo nuovi talenti nel Tour, ma che siano stabilmente tra i primi 10 del mondo, un traguardo che non è affatto facile da raggiungere». Roger, Nadal e Djokovic insieme sommano 55 Slam ma anche 103 anni e dunque per Nole la rivoluzione non è più così lontana: «Diciamoci la verità: noi non saremo eterni ed è un super messaggio per il nostro sport che si affacci con prepotenza una nuova generazione. Tra l’altro conoscono il tennis e lo rispettano, lasceremo la nostra eredità in buone mani e saremo contenti di guardarli in televisione». La domanda è: tra un anno o tra un secolo?

Matteo debutta domani alle ATP Finals: “Vivo da un anno sull’ottovolante, la testa mi gira ma non voglio scendere” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Un esemplare di tennista così, non l’avevamo mai avuto. La fiondata del servizio che piove da un’altitudine di 196 cm. Il dritto che fa i buchi nel campo. Una maturità ben oltre l’età anagrafica (23 anni). […] È l’umanità di questo gladiatore moderno e gentile, sbarcato a Londra tra i fuoriclasse delle Atp Finals con in valigia due titoli stagionali (Budapest sulla terra, Stoccarda sull’erba), la semifinale dell’Us Open e il n. 8 della classifica mondiale (quarto azzurro a sfondare il muro dei top-10, il primo al Master dopo 41 anni), il valore aggiunto del Berrettini from Italy. Matteo, un debutto col botto: domani contro Djokovic. «Dopo Federer a Wimbledon e Nadal a New York, ecco Nole. Sono pronto, emozionato ma pronto. Provare gratitudine per tutte le meraviglie che mi sono successe quest’anno non significa sedersi. Sarò competitivo». Ha mandato una cassa di vino a Shapovalov, che battendo Monfils a Parigi le ha regalato il biglietto per Londra? «Pensavo a una damigiana di sugo della nonna, piuttosto… Lo ringrazierò a Madrid, dove saremo avversari in Coppa Davis. E non ho nessuna intenzione di ricambiargli il favore». Da n. 54 a n. 8 in dieci mesi: come si sta sull’ottovolante? «Mi piace prendere appunti sull’iPad, l’ho scritto nel mio diario proprio l’altro giorno: questo ottovolante mi fa girare la testa ma mi piace». Cè il tempo di riuscire a essere un po’ felici o la fretta si mangia tutto? «Sulla felicità sto lavorando con Stefano, il mio mental coach. Lo spazio per gioire va per forza ritagliato: la sera in cui a Parigi ho perso con Tsonga mi sono imposto di aprire una bottiglia di champagne. Al di là del risultato, era il giusto riconoscimento a me stesso». L’emozione più intensa fin qui? «II match con Nadal all’Us Open. Tutto il percorso a New York è stato pazzesco. Se penso al quarto di finale con Monfils ho ancora i brividi. I match point, il doppio fallo, 7-6 al quinto… Incredibile». Ha scoperto qualcosa di sé che non conosceva? «Si. Mi sono scoperto di più di quello che credevo di essere. Mi sapevo già determinato, cazzuto, un atleta vero. Ma le difficoltà dell’Open Usa mi hanno fatto capire che ho tante cose dentro». Parliamo della sua umanità, vuole? «Volentieri, mi fa piacere. Sono contento che stia uscendo, perché io sono un tipo che tende a tenersi tutto dentro. Far venire fuori chi sono è la mia forza. Vincenzo Santopadre, mio coach da dieci anni, mi ha cresciuto così: prima viene l’uomo, poi il tennista. Se sono così è perché la mia famiglia è così. Il mio mental coach ha scoperto la mia anima prima di me, ma pian piano ci sto arrivando anch’io. Oltre ai dritti e ai rovesci, metti in campo chi sei. E la vita vera, comunque, è fuori dal tennis». La sua ragazza, la tennista australiana Ajla Tomljanovic, come è entrata nella sua vita vera? «Con dolcezza. Innanzitutto mi è piaciuta fisicamente: credevo di essere attirato dalle bionde, invece mi ritrovo con una mora. Ajla ha un animo buono, direi addirittura puro, che ho dovuto scoprire per gradi. Per sua educazione e cultura, aveva messo su una scorza: mi ha intrigato partire alla ricerca, andare oltre. E quello che ho trovato mi ha colpito». Quanto è importante che una girlfriend sia tennista? «Tanto. Ci si capisce al volo. Martedì atterrera qui a Londra, è venuta a Vienna: comprende i miei tempi, non mi assilla, sa che quando non sono con lei sono impegnato a fare ciò che serve a un tennista». La popolarità è piacevole? «Finora sì. Ho conosciuto Alessandro Borghi e Claudio Marchisio, il mio idolo assoluto Carlo Verdone mi ha mandato un video di complimenti quando mi sono qualificato per il Master. Le persone più importanti sono quelle che mi vogliono bene da sempre, ovvio». L’altro suo mito, LeBron James, si è fatto vivo…? «Non ancora! A Shanghai avevo i biglietti per LakersNets, prima fila. Avrei fatto invasione per abbracciarlo. Poi ho vinto con Bautista e il team mi ha imposto di riposare in albergo. Ho dato via i biglietti a malincuore». Cosa si è regalato con i 960 mila dollari di premio dell’Open Usa? «Due anelli, la mia passione. Uno lo porto al collo. Dentro ho fatto incidere la frase: sei tanto dentro». La barba è per scaramanzia? «Per pigrizia. A mamma non piace, ad Ajla sì. Tengo una via di mezzo, per non scontentare nessuno». In tanta armonia, stona un particolare che le ha procurato qualche critica, Matteo: il trasferimento a Montecarlo. «Francamente faccio fatica a vederlo come un difetto. Roma è diventata difficile da gestire: non posso più andare al ristorante. Se uno vuole andare all’estero, che male c’è?». 46 posizioni del ranking scalate da Berrettini, da numero 54 a 8, 2 torni vinti nel 2019 da Berrettini: Budapest e Stoccarda. Montecarlo è un estero speciale. «Dove vivono tutti i tennisti, c’è sempre il sole, è più facile allenarsi. Chi mi attacca non mi conosce, non sa chi sono. Alle critiche sono abituato: con quel dritto e quel rovescio non vai da nessuna parte ragazzino, mi dicevano». Sbagliavano. Come ha visto cambiare, strada facendo, l’opinione che gli avversari hanno di lei? «Quando sono arrivato ad Halle dopo aver vinto a Stoccarda, in spogliatoio Federer mi è venuto incontro. Ben fatto, mi ha detto. Sentirselo dire dalla leggenda del tennis, fa un certo effetto…». Leggenda che a Londra sfiderà nel girone con Djokovic e Thiem (già battuto). «Ho imparato la lezione di Wimbledon_ E non sono più il ragazzino italiano di belle speranze: ora sono un tennista».

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