Isabelle Demongeot: "Mi dicevano 'a guardarti si vede la vittima di violenze e non la tennista'"

Interviste

Isabelle Demongeot: “Mi dicevano ‘a guardarti si vede la vittima di violenze e non la tennista’”

L’ex tennista francese Isabelle Demongeot, vittima in passato di abusi da parte dell’ex coach, racconta al quotidiano francese L’Equipe la sua battaglia contro la violenza sessuale nello sport

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Isabelle Demongeot, 53 anni, ex n. 35 del mondo alla fine degli anni Ottanta ed eccellente doppista (nove titoli, quattro dei quali in coppia con la connazionale Nathalie Tauziat), donna, tennista e voce coraggiosa, nel 2005 è stata una delle prime ad avere la forza di denunciare le orribili violenze subite in ambiente sportivo e, nel suo caso specifico, quelle da parte del suo ex allenatore, Regis de Camaret, quando aveva soltanto quattordici anni. Per troppi anni le vittime di violenza sessuale sono state “dimenticate” nel silenzio e nell’indifferenza generale. Oggi, la società e le istituzioni hanno finalmente preso coscienza del dramma degli abusi subiti da tante ragazze e donne e cercano di combatterlo, anche grazie alle sempre più numerose testimonianze di vittime che trovano la forza di denunciare.

Da tempo impegnata nella lotta contro gli abusi sessuali nello sport, Demongeot era stata una testimone fondamentale nel processo Camaret (condannato a dieci anni nel 2014) nonostante i fatti che la coinvolgevano fossero caduti in prescrizione. Il 24 gennaio scorso Andrew Geddes, celebre coach della regione di Parigi (Île-de-France), è stato condannato a diciotto anni per violenza sessuale su quattro minori. In un grido di dolore e di ribellione, Isabelle ha raccontato a Franck Ramella, de L’Equipe, le difficoltà di una lunga battaglia che troppo spesso – ancora oggi – va a scontrarsi con l’indifferenza di colleghi e istituzioni politiche.

Il processo Geddes si è appena concluso. Cosa prova? 
Quando al momento del verdetto ricevo un SMS di una delle vittime che scrive soltanto “18 anni”, sul momento sono molto contenta per queste donne che hanno dato tutto. Che vittoria che hanno ottenuto, tutte queste donne! So che poi c’è la frustrazione di un possibile appello, ma riesco a trascorrere una serata abbastanza tranquilla. Ma il giorno dopo, non so cosa mi succeda, ma vengo assalita da un sentimento di rivolta.

Perché?
Perché ripenso al mio percorso. All’epoca, Bernard Giudicelli (allora Presidente della Federazione della regione Corsica (e oggi Presidente della Federazione francese), è stato uno dei soli presidenti ad aver preso in mano il dossier. Ha accettato di sostenere le vittime, dicendo che era necessario fare qualcosa. Gli altri evitavano di parlarne. Tra i giocatori e le giocatrici di alto livello, sono stati pochissimi ad averci sostenute, più o meno nell’ombra. Catherine Tanvier, Sophie Amiach, Florence Guédy, Catherine Suire. Amélie  Mauresmo è stata presente. Yannick Noah aveva fatto la prefazione del mio libro, era furioso. Da parte degli altri, non ho visto nulla. Mi ricordo di un ex direttore tecnico che mi disse: “Isabelle, a guardarti, si vede in te solo la vittima di stupro e non la campionessa di tennis“.

Vuole dire che lo statuto di vittima viene negato?
Quello che la gente non capisce, sono le conseguenze che tutto ciò comporta per un’intera vita. Sì, c’è il processo e si viene riconosciute come vittime. Ma al di là di questo, tutti quanti se ne fregano! Delle 24 ragazze che hanno testimoniato al processo Camaret, per 22 di loro c’era prescrizione. Solo due sono state risarcite. Perché le altre non dovrebbero esserlo? Ce lo portiamo dentro di noi per sempre. È questo ciò di cui bisogna rendersi conto. Arriva un momento in cui ci chiediamo: “Chi ci ha teso una mano?“. E quando si tenderà la mano a tutte quelle vittime? Dopo Roselyne Bachelot (ministro dello Sport tra il 2007 e il 2010), l’unica ad essere stata all’altezza e capace di mostrare empatia, gli altri ministri dello Sport sono stati patetici.

Mi ricorderò sempre di quella riunione con Rama Yade che mi diceva: “Siete state utili grazie alle vostre testimonianze, non dimenticheremo mai quello che avete fatto. I miei uffici sono in grado di occuparsene“. Stile: non abbiamo più bisogno di voi. Batteva i pugni sul tavolo: “Dubitate della capacità del nostro lavoro?” Una vergogna. E quando sento Laura Flessel [ex campionessa olimpica di scherma ed ex ministro dello Sport nel 2017-2018] dire: “Non c’è omertà nello sport…“, la famosa, una grande campionessa, straordinaria, una mamma… Cosa risponderle? Speravo fosse sensibile alla questione. Un politico sarebbe pronto oggi a dedicarsi a questo problema? Madame Macron, per esempio, non potrebbe occuparsene? (…) Dove sono tutti i giocatori? Sono stati molto solidali con Jérôme Golmard (colpito dalla malattia di Charcot  e morto nel 2017) ed è una bellissima cosa. Ma per noi? E le ragazze della Fed Cup? Quando sono state presenti? Lo sa, non ne posso più…

Eppure lei si è battuta come militante attiva, per così dire…
Quando avevo ancora dell’energia, dopo il processo Camaret, avevo proposto alla Federazione e alla psicologa che interveniva di andare a testimoniare, per raccontare alle famiglie e agli insegnanti cosa sia davvero uno stupro. Aspetto ancora la telefonata della psicologa. Dopo essere diventato presidente, Giudicelli mi ha detto: “Isabelle, bisogna costituire un’associazione, ti aiuterò“. Ma non sono io a dover creare un’associazione. Spetta alle Federazioni occuparsene. No, ho già fatto il mio. Per tutta la vita, ho subito tutto ciò, non voglio più trascorrere il resto della mia vita a parlare solo di questo. Coinvolgermi in questo, è stato nefasto per me. Bisogna formare le persone, esistono degli specialisti. Non spetta a noi vittime essere in prima linea. Io non sono mai stata remunerata per tutto quello che ho fatto. Ho pagato in tutti i sensi. Mi trovo forse nel comitato etico della Federazione? Non crede che avrei meritato di far parte del comitato?
(…)

Cosa pensa dell’azione della Federazione francese nella lotta contro le violenze?
Bernard Giudicelli ha parlato su FB del processo? La Federazione era parte civile, è venuto al processo. Era un sostegno di facciata o più profondo? Il tempo lo dirà. Ai miei tempi, Giudicelli non era rimasto indifferente. Ora è un po’ silenzioso. C’è stato un caso per il quale contavo su di lui, un problema di comportamento grave, non hanno fatto niente. Alla fine, è stata la Federazione internazionale a intervenire… Una delle vittime di Geddes un giorno mi ha telefonato e mi ha detto: “Isabelle, ho bisogno di aiuto“. Aveva bisogno di soldi. È normale? Non dovrebbe essere la Federazione a occuparsi delle vittime, del loro quotidiano, a interessarsi dei loro bisogni? Voglio dire che ho aiutato alcune donne a trovare il coraggio di parlare ma ho dimenticato di dire loro che la battaglia è colossale. E queste cose riaffiorano sempre, non ce ne liberiamo mai completamente.

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