Nel caso di Mardy Fish ancora prima dei suoi pur ottimi risultati tennistici viene in mente il coraggio dell’ammissione. Lo statunitense si era congedato dal mondo della racchetta con una lettera molto toccante che sarebbe dovuta servire da incentivo per tutti coloro che almeno una volta si sono trovati costretti a combattere una battaglia contro se stessi e contro le proprie paure.
Il ragazzone nato ad Edina nel 1981 prima dell’addio al tennis aveva comunque saputo lasciare il segno. “Quartofinalista” in tre Slam su quattro (Melbourne, Londra e New York) e capace di arrampicarsi sino alla posizione 7 del ranking nell’agosto del 2011. Titoli 6, l’ultimo conquistato ad Atlanta nel 2011 giusto un mese prima dell’ultima finale persa, a Montreal, contro il nuovo tiranno del circuito Novak Djokovic. Il secondo di questi titoli è stato anche l’unico sulla terra battuta, agli U.S. Men’s Clay Court Championships di Houston del 2006.
Al torneo statunitense Fish non avrebbe avuto modo di iscriversi, essendo fermo alla posizione 212 del ranking per i postumi della doppia operazione al polso. Ma grazie a una wild card e ad un percorso verso la finale baciato dalla fortuna (ritiro pre-partita di Schuettler al secondo turno, ritiro a match in corso di Haas in semifinale) Mardy riusciva a conquistare il suo primo alloro sul mattone tritato battendo in tre set l’austriaco Jurgen Melzer e succedendo a Roddick nel prestigioso albo d’oro del torneo di Houston.