Racconti
I re del Roland Garros: l’ineluttabile 5 giugno di Mats Wilander
La finale del Roland Garros 1988 è da molti considerata la partita perfetta di Mats

C’è stato un giorno nella vita di Mats Wilander in cui tutto gli riuscì alla perfezione. Si alzò al mattino in una grande capitale europea e fece colazione insieme a Sonya Mulholland, fotomodella sudafricana sposata appena un anno prima. Non sappiamo cosa mangiò, né se la colazione si protrasse a lungo. Neppure sappiamo se Wilander si perse negli occhi della bella Sonya. Quel che sappiamo è che con lei tardò al check-in di un volo già prenotato per New York. Che strani i casi della vita: un regolarista che non era mai arrivato in ritardo a colpire una sola palla da tennis in carriera, fece tardi all’aeroporto e perse un aereo. In cambio ebbe salva la vita.
Era il 21 dicembre 1988 e quel volo, il Pan Am 103 decollato da Londra, esplose sopra i cieli di Lockerbie in Scozia, uccidendo 270 persone, che dovevano essere 272. Alcuni morirono in volo, altri all’impatto col terreno. Altri ancora, gli incolpevoli cittadini di Lockerbie (ma chi aveva colpe quel giorno?), investiti nelle loro case da una “palla di fuoco” e dall’enorme fusoliera con ancora le ali agganciate. Qualunque sarebbe stata la sua specifica sorte a bordo di quell’aeroplano, come negare che fu quello il giorno migliore nella vita di Mats?
In realtà altri sostengono che non fu così, e che la palma di giorno della vita il fuoriclasse svedese debba assegnarla al 5 giugno dello stesso anno. In quella data Wilander giocò la sua ultima finale al Roland Garros, quella che alcuni definiscono la sua partita perfetta.
È un’opinione comprensibile. Noi conosciamo Mats Wilander solo perché è stato (ex aequo) il tennista più vincente negli Slam degli anni ’80, l’unico di quell’epoca a vincere tornei dello Slam su tre superfici differenti (e non solo per il colore, come è oggi). Per noi è stato un grande tennista, come oggi è un commentatore mai banale, alle volte bastiancontrario, che non eccelle particolarmente nei pronostici. Se fosse stato invece solo un cittadino svedese molto fortunato, sul suo perfect day non ci sarebbe alcun dubbio.
Quel 5 giugno 1988 i dubbi invece c’erano e insieme alle nuvole di Parigi, aleggiavano sui riccioli biondi di Mats. Lo svedese si era issato alla finale di quella edizione degli Internazionali di Francia non proprio con il percorso netto da dominatore. Inopinatamente prossimo alla sconfitta contro Slobodan Zivojinovic in terzo turno, costretto ancora al quinto set in semifinale per domare l’astro nascente Agassi, affrontava per la seconda volta in una finale parigina un idolo di casa. La prima volta, cinque anni prima, mal gliene aveva colto, dominato da Yannick Noah.
Ora gli toccava Henri Leconte, giocatore che a Noah assomigliava per estro. Attaccante come Noah, ma di quella razza oggi scomparsa che preferiva farlo sulla lenta terra battuta (qualcuno si ricorda di un tale Adriano Panatta?). Talento immenso, braccio sinistro letteralmente capace di tutto: di far innamorare chi scrive del gioco del tennis, ma anche di portare cibo in eccesso e qualche calice di Borgogna di troppo alla bocca. Leconte viaggiava sulle ali di una tiepida infatuazione parigina in quel giugno così simile a un ottobre. Aveva eliminato Becker nella più bella partita del torneo, superato Chesnokov in una strana partita in cui sembrava che i due in campo giocassero sport differenti. Svensson in semifinale si scansò quasi, eppure Parigi riservava a Leconte un amore tiepido, estetico, apollineo.
Non si poteva non apprezzare la bellezza del tennis di “Riton”, né restare indifferenti ai suoi alti e bassi, così capaci di fare breccia nei cuori più materni. Ma Henri Leconte, a differenza di Noah, era troppo tipicamente francese, nei pregi e nei difetti. Non aveva quel sapore esotico e cosmopolita che aveva il gemello nero Noah. La Francia avrebbe anche potuto amare Henri ed il suo tennis, ma Parigi non è Francia, Parigi è Parigi, e per farsi amare occorre stupirla.
Wilander era invece un libro scritto, del quale si sapeva tutto e dal quale non ci si attendeva nulla di nuovo. Di conseguenza qualcuno, non pochi in verità, pensarono che il tennis estemporaneo e offensivo del mancino francese, come quello di Noah cinque anni prima, avrebbe destabilizzato Mats. Si sa, la madre degli ottimisti è sempre incinta, parafrasando i latini.
Qui in alto trovate l’intera riproposizione della partita. Se amate i finali scontati, ebbene, è lo spettacolo che fa per voi. Wilander scese in campo non solo come un libro scritto, ma anche come uno che i libri li aveva letti. Sun-Tsu, Confucio, o forse gli era bastato leggere in tivù da ragazzo le partite di Borg. Scese in campo con un piano tattico semplice, ma installato in una mente impermeabile al caos, capace costantemente di attingere alla strategia eletta, senza che il match, il vento, il pubblico, l’avversario potessero distrarlo. Dall’altra parte c’era Leconte, che era un fascio di nervi, un innamorato che trema per l’emozione e che per questo è condannato a non farsi mai amare.
Due ore di partita, con l’andamento che sembra tratto dall’epica classica del nostro sport. L’avventuroso attaccante che va avanti nel primo set e va a servire sul 5-4 in suo favore. Il pubblico di Parigi che si guarda intorno per condividere lo stupore e la meraviglia, alla ricerca di un sorso di Perrier che sgrassi l’ugola per l’imminente “marsigliese”.
Poi, nel momento della verità, arrivò un game sottotono di Leconte. Proprio quello che doveva dargli il set. Wilander, che in quei 40 minuti non aveva ceduto nulla di suo, non alzò il ritmo, né tentò cose nuove. Mats attese, cosa che gli innamorati non sanno fare, finché Leconte non sbagliò una facile volée di rovescio di un metro e perse il game. Quel che poteva essere un romanzo d’appendice divenne un verso di Baudelaire. L’albatro Henri si posò sulla terra battuta, le ali gigantesche a minarne il cammino. Il 5 giugno tornò ad esservi semplicemente una partita di tennis, e se solo una partita di tennis doveva essere, il francese doveva imperativamente sgretolarsi per fare posto alla realtà, sotto il peso di una coscienza ingombrante. Il giudice di sedia nell’annunciare il contro-break disse soltanto “Jeu Wilander”, ma avrebbe benissimo potuto aggiungere “set e match”: nessuno avrebbe protestato. Leconte avrebbe stretto tra le mani soltanto altri tre giochi, così simili a tre bicchieri d’assenzio. Wilander tutto il resto, compreso il trofeo.
La partita di Wilander stritolò quella di Leconte ma non indispose il pubblico parigino. Paradossalmente lo svedese era stato più fischiato quando, appena diciassettenne, batté Vilas nel 1982, al termine di una finale fatta di pallonetti e scambi soporiferi. Quel 5 giugno, invece, il pubblico parigino, apprezzò la inattaccabile solidità del numero due del mondo, l’assoluta perfezione ingegneristica del suo gioco. E forse, apprezzò un poco anche la lezione impartita a quel proprio connazionale troppo emotivo, inaffidabile e mediterraneo.
Sarebbe stato il secondo Slam vinto su due giocati nel 1988 per Mats Wilander. Metà Grande Slam, sarebbe riaccaduto solo 28 anni dopo a Djokovic. A fine stagione sarebbe stato numero uno del mondo, ma non servì settembre e la vittoria anche agli US Open per farci comprendere cosa il 23enne di Vaxjo aveva fatto quel giorno. Il suo gioco privo di circoletti rossi, di highlights da copertina, poco gettonato dai nostalgici su YouTube, si era mimetizzato sotto le luci sfavillanti degli estemporanei colpi di Leconte. Guardando le statistiche di fine incontro, in tempi in cui le grafiche non erano frequenti e internet un’idea di Dio, si comprese che Mats aveva prodotto una delle prestazioni più incredibili della storia del tennis.

Su 72 punti giocati nei suoi turni di battuta, Wilander aveva messo in campo per 70 volte il primo servizio. Per chi ama i numeri la percentuale di prime palle in campo fu pari al 97%. E giusto per non far credere a chi non c’era che avesse servito da sotto, un ace pure riuscì ad infilarlo. Si pensò persino che le statistiche fossero sbagliate. Ai lettori, tutti amanti del tennis, il compitino di comprendere cosa abbia significato, nell’economica della partita, quella percentuale bulgara di prime palle in campo.
Qui si suggerisce solo quanto ciò possa avere spaesato Leconte, come si sia sentito il francese a dover affrontare per due ore un destino sempre uguale, punto dopo punto, un giorno della marmotta tennistico, frustrato nella speranza di un aiuto, di un cedimento, incapace di sottostare con la mente alla routine, all’efficiente monotonia di Mats Wilander. Quel giorno Mats fu ineluttabile. Non c’è aggettivo migliore che descriva la sua prova. Lui che sapeva anche fare altro, che non era solo uomo incollato al fondo del campo, scelse di esserlo perché quella era la strada da seguire. Un esercizio mentale perfetto, di ferrea volontà, per la partita perfetta.
Ineluttabile. Nel dizionario della lingua italiana si legge: “Contro cui non si può lottare, imposto da una tragica e fatale necessità“. Nel dizionario tennistico si legge: “Come Mats Wilander il 5 giugno 1988”. Null’altro è noto di ineluttabile, se non la morte. Entrambi ineluttabili, il tristo mietitore e quel tale che stritolò Henri Leconte, quel Mats Wilander che alla morte è riuscito persino a sfuggire, scappando via da un aereo esploso in cielo, trattenendosi a colazione con Sonya mentre era comodamente assiso sul trono del tennis mondiale. Impresa facile, direte voi, un gioco da ragazzi, se con la nera signora si arriva ad avere qualcosa in comune.
ATP
Classifica ATP: Sinner perde una posizione. Fils ne guadagna 49
Accanto a due grandi potenze mondiali in continuo conflitto extratennis, USA e Russia, la piccola Italia è la sola nazione a poter vantare 3 giocatori fra i primi 20 del mondo

Eppur si muove disse Galileo a proposito della Terra e forse oggi lo ripeterebbe a proposito della classifica ATP, nonostante la scorsa settimana si siano disputati solo due tornei categoria 250 (Lione e Ginevra) e molti dei top player abbiano ricaricato le batterie in vista del Roland Garros. Infatti all’interno delle prime 100 posizioni qualcosa è cambiato, a partire dalla Top 20 dove Taylor Fritz e Cameron Norrie – il primo semifinalista a Ginevra e il secondo a Lione – hanno guadagnato una posizione ai danni di Jannik Sinner e Hubert Hurkacz.
TOP 20
Posizione | Giocatore | Nazione | Punti | Variazione |
1 | Alcaraz | Spagna | 6815 | |
2 | Medvedev | Russia | 6330 | |
3 | Djokovic | Serbia | 5955 | |
4 | Ruud | Norvegia | 4960 | |
5 | Tsitsipas | Grecia | 4775 | |
6 | Rune | Danimarca | 4375 | |
7 | Rublev | Russia | 4270 | |
8 | Fritz | USA | 3470 | 1 |
9 | Sinner | Italia | 3435 | -1 |
10 | Auger Aliassime | Canada | 3100 | |
11 | Khachanov | Russia | 2945 | |
12 | Tiafoe | Usa | 2790 | |
13 | Norrie | GBR | 2565 | 1 |
14 | Hurkacz | Polonia | 2525 | -1 |
15 | Nadal | Spagna | 2445 | |
16 | Coric | Croazia | 2410 | |
17 | Paul | Usa | 2170 | |
18 | Musetti | Italia | 2040 | |
19 | de Minaur | Australia | 1870 | |
20 | Berrettini | Italia | 1832 |
LE DISCESE ARDITE E LE RISALITE
Negli ultimi 7 giorni non si sono verificate discese di classifica degne di nota, bensì vertiginose risalite. Scorrendo dal basso all’alto il ranking applaudiamo il + 17 realizzato da Nicolas Jarry grazie alla vittoria ottenuta nel torneo di Ginevra e soprattutto il + 49 di Arthur Fils, classe 2004, vincitore in quello di Lione. Bene anche Ilya Ivashka: + 13
TENNIS ITALIANO
L’unico tennista italiano presente nelle prime 100 posizioni ad essere sceso in campo settimana scorsa è stato Marco Cecchinato, giunto sino al secondo turno a Ginevra. Tra i primi 200 giocatori del mondo al momento ci sono 18 italiani:
Nome | Classifica | Variazione | |
1 | Sinner | 9 | -1 |
2 | Musetti | 18 | |
3 | Berrettini | 20 | |
4 | Sonego | 48 | -3 |
5 | Cecchinato | 72 | 1 |
6 | Arnaldi | 106 | -1 |
7 | Passaro | 128 | |
8 | Zeppieri | 129 | |
9 | Fognini | 130 | |
10 | Brancaccio | 141 | |
11 | Vavassori | 148 | |
12 | Nardi | 151 | |
13 | Cobolli | 159 | |
14 | Bonadio | 164 | |
15 | Agamenone | 166 | |
16 | Bellucci | 167 | |
17 | Darderi | 179 | |
18 | Pellegrino | 183 |
NITTO ATP FINALS
La classifica dei migliori 10 giocatori della stagione è rimasta invariata rispetto a quella dello scorso lunedì 22 maggio.
Testa di serie | Giocatore | Nazione | Punti | Variazione |
1 | Medvedev | Russia | 4310 | |
2 | Alcaraz | Spagna | 3465 | |
3 | Djokovic | Serbia | 2755 | |
4 | Tsitsipas | Grecia | 2635 | |
5 | Sinner | Italia | 2285 | |
6 | Rublev | Russia | 2260 | |
7 | Rune | Danimarca | 2135 | |
8 | Fritz | USA | 1925 | |
9 | Khachanov | Russia | 1585 | |
10 | Norrie | GBR | 1545 |
ATP NEXT GENERATION
Di seguito l’elenco dei 10 migliori under 21 del 2023 aggiornato al 29 maggio:
Posizione | Giocatore | Nazione | Punti | Nato nel | Classifica ATP |
1 | Alcaraz | Spagna | 3465 | 2003 | 1 |
2 | Rune | Danimarca | 2135 | 2003 | 6 |
3 | Musetti | Italia | 70 | 2002 | 18 |
4 | Fils | Francia | 661 | 2004 | 63 |
5 | Shelton | USA | 555 | 2002 | 36 |
6 | Van Assche | Francia | 400 | 2004 | 82 |
7 | Cobolli | Italia | 278 | 2002 | 159 |
8 | Medjedovic | Serbia | 256 | 2003 | 168 |
9 | Stricker | Svizzera | 230 | 2002 | 116 |
10 | Cazaux | Italia | 220 | 2002 | 190 |
BEST RANKING
Tra i nomi di coloro i quali hanno ottenuto il best ranking questa settimana spicca quello di Arthur Fils.
Il diciottenne francese entra altresì per la prima volta nella top 100.
Giocatore | Posizione | Nazione |
Jarry | 35 | Cile |
Wu | 54 | Cina |
Fils | 63 | Francia |
O’Connell | 77 | Australia |
Flash
Serena Williams avrà una docu-serie su ESPN. Prime Video presenta un documentario sulla rivalità parigina di Djokovic e Nadal
Il colosso televisivo statunitense, interamente dedicato allo Sport, annuncia la produzione di una docu-serie incentrata sui momenti più importanti e significativi della carriera di Serena. Nel frattempo il servizio on-demand di Amazon ufficializza l’uscita, il prossimo 26 maggio, di un documentario esclusivo sulle sfide al Roland Garros tra Novak e Rafa

Il Tennis torna ad essere protagonista di alcune produzioni a stampo documentaristico, che svelano il dietro le quinte dei grandi appuntamenti del Tour con uno sguardo approfondito rivolto al lato umano degli atleti, dopo la serie Netflix “Break Point” che ha suscitato reazioni ed opinioni contrastanti – certamente indicato per un pubblico nuovo, e non per lo zoccolo duro degli aficionados della racchetta -. Ciononostante, pur non raccogliendo un consenso unanime, la Docu-Serie avrà seguito: è stata, infatti, già lanciata la nuova stagione targata 2024 dove a bucare lo schermo saranno – finora gli unici ad essere stati annunciati – Carlos Alcaraz, Alexander Zverev e Caroline Garcia.
Il ritorno dello Sport del Diavolo, come tema portante assieme alle sue figure di spicco di quella determinata tipologia di elaborazioni audiovisive che si incentrano sulla narrazione dettagliata e caratterizzante sul piano dello Storytelling, lo si deve a due colossi del settore: ESPN e Amazon Prime Video.
In The Arena: Serena Williams
Partiamo occupandoci della produzione finanziata dall’emittente televisiva americana dedita unicamente alla trasmissione di eventi sportivi: è stata, difatti, ufficializzata la nascita di un progetto che prevederà la creazione di una Docu-Serie sulla vita da professionista del tennis di Serena Williams, un prodotto che farà rivivere i momenti salienti e maggiormente significativi della carriera della 23 volte campionessa Slam attraverso immagini e dichiarazioni della stessa 41enne di Saginaw e delle persone più vicine alla leggenda del Michigan.
La serie, che verrà intitolata In The Arena: Serena Williams, conferma per l’ennesima volta – ce ne fosse ancora bisogno – come sia oramai innegabile il fatto che Serena, la sua epopea in campo e tutto ciò che rappresenta siano entrati completamente a far parte della cultura popolare aldilà dell’Oceano, e forse non “soltanto” lì.
L’ex n. 1 del mondo ha appeso la racchetta al chiodo all’ultimo US Open e nonostante per l’appunto non sia trascorso neppure un anno dal suo ritiro, nei mesi scorsi ha flirtato in più di una circostanza durante svariate interviste con la concreta possibilità di rientrare seriamente alle competizioni. Tuttavia è in arrivo il secondogenito, perciò è molto più sensato pensare che “l’evoluzione” sia stata ormai superata del tutto e che nel prossimo futuro la minore delle sorelle Williams, si veda solamente – si fa per dire – nel ruolo di mamma con affianco qualche scappatella glamour e mediatica a cui non hai mai voluto rinunciare e che hanno sempre incontrato il suo gusto: le ultime in ordine di tempo al paddock del Gran Premio di Formula Uno di Miami, che ha sede nel complesso dell’Hard Rock Stadium ossia la location che ospita anche il torneo 1000 combined, in prelibata compagnia tennistica e al Met Gala sfilando sul Red Carpet con il pancione in bella vista.
Nadal/Djokovic, Duello al Roland Garros
Ad una produzione lanciata che si prospetta estremamente intrigante, dà seguito un’altra che al contrario è in già in procinto di essere visibile: il servizio on-demand di Amazon, dal prossimo 26 maggio, presenterà in esclusiva un documentario speciale che riavvolgerà il nastro sulla trascendente rivalità – sempre contraddistinta dal rispetto reciproco– consumatasi nell’iconico teatro del Roland Garros, e più precisamente sul manto terroso prestigioso del Philippe Chatrier, nel confronto fra due mostri sacri dell’Era Open.
Stiamo parlando di Novak Djokovic e Rafael Nadal – in doveroso ordine alfabetico -, i due tennisti con il numero più alto di prove Major mai inserite nella personale bacheca di un giocatore nella storia tennistica: 22 a testa. La produzione alimenterà l’epica di questi due fenomeni, iniziando il racconto ripercorrendo la prima grande sfida andata in scena a Bois de Boulogne datata nel lontano 2006, la bellezza di 17 anni fa a testimonianza della continuità ad altissimi livelli e della longevità di Nole e Rafa.
Un documentario, dunque, che darà spazio alle traiettorie delle loro legacy e del rapporto di questi due fuoriclasse assoluti delle raccheta con lo sport che praticano magistralmente da tempo in memore. Si muoverà, inoltre, sul filo sottile della contrapposizione ideale di uomini diversi che affondano le personali radici identitarie nei meandri di un vissuto quasi agli antipodi: sviscerando analogie e somiglianze, dalla condivisa sete per quel senso di competizione che provoca un sentimento di ossessione compulsiva e spasmodica verso l’ottenimento di continui successi, sino alla grandezza dei loro rispettivi palmares, decisamente simili, che controbatte a stili, origini, caratteri e temperamenti totalmente opposti.
I registi dell’opera, intitolata “Nadal/Djokovic, Duello al Roland Garros“, Céline Jallet, Julie Robert e Antoine Benneteau esplorano la rivalità tra lo spagnolo ed il serbo in cinque atti per una durata complessiva di 62 minuti, privilegiando l’approccio drammaturgico. Il file rouge tematico del racconto viene portato in scena proprio dai ripetuti duelli, divenuti per mezzo delle curve della memoria di padre tempo mitici, quasi mistici: dieci confronti diretti materializzatisi nella Parigi terrosa, più che in qualsiasi altro evento (tre volte si sono scontrati a Wimbledon e altrettante allo US Open, due invece le circostanze in cui si sono affrontati a Melbourne), dal 2006 al 2022 sintomi di un’epoca irripetibile tra le più tuonanti della storia sportiva: nel suo Regno, per 14 volte ha alzato al cielo la Coppa dei Moschettieri, Re Rafa XIV – le cui probabilità di vederlo ai nastri di partenza del suo feudo nell’edizione 2023 sono sempre più basse – ha soppiantato l’acerrimo ed agguerrito rivale in 8 occasioni facendo valere il peso della storia; nei quarti del 2015 e nella semifinale del 2021 però l’imponderabile si è fatto realtà con l’inossidabile uomo di gomma che è riuscito a sconfiggere uno che in carriera fino ad allora nell’appuntamento principe della stagione sul rosso aveva trionfato in 112 incontri a fronte di un unico e clamoroso KO con Robin Soderling maturato negli ottavi di finale del 2009.
Perciò uno spettacolo, quello di Prime Video, che ci offre la possibilità di rivivere quella serie di sfide incredibili e aprire così le porte a flashback che riportino alla luce lo splendore passato, senza per questo tralasciare la costruzione prima umana e poi agonistica di questi due iconici campioni: immergendosi nel cuore della loro infanzia tra tormenti e gioie, che garantiscono allo spettatore di poter indentificare e comprendere al meglio la meravigliosa rivalità di cui sono stati autentici protagonisti.
Il racconto di un viaggio immersivo che verrà accompagnato da illustrazioni evocative e che si mostrerà nella sua dimensione universale, ben più profonda della pur notevole logica sportiva, narrando un susseguirsi incessante di ricordi, confessioni e aneddoti anche di coloro che in questi anni hanno avuto il privilegio di condividerne il rettangolo di gioco: vincitori e finalisti Slam del calibro di Stan Wawrinka, Dominic Thiem, Alexander Zverev, David Ferrer, Jo-Wilfried Tsonga o vere e proprie leggende dell’Open di Francia come Gustavo Kuerten e Sergi Bruguera, fino a coach, giornalisti, addetti ai lavori di vario genere. Tutti testimoni di sfide epiche passate – e che passeranno – ai posteri come capolavori strategici dell’arte tennistica.
Flash
È morto Günter Parche, l’attentatore di Monica Seles
L’aggressore viveva in una casa di cura tedesca da 14 anni ed è deceduto lo scorso agosto all’età di 68 anni dopo un periodo di cure palliative

Tra 8 giorni il mondo del tennis vivrà uno spiacevole anniversario. Quello dei 30 anni da quando la campionessa Monica Seles, il 30 aprile del 1993, venne accoltellata a una spalla da Günter Parche. La notizia è che l’uomo è morto all’età di 68 anni e il decesso, come riporta Bild, risale allo scorso agosto. L’aggressore è stato trovato senza vita nella casa di cura a Nordhausen in cui aveva trascorso gli ultimi 14 anni, dopo che nell’ultimo periodo era stato sottoposto a cure palliative.
Ma ripercorriamo brevemente i fatti che hanno certamente cambiato la storia di questo sport: alle ore 17 di quel funesto 30 aprile Seles – vincitrice in carriera di 9 Slam, di cui 8 prima di quell’episodio che le ha cambiato radicalmente la vita – stava conducendo tranquillamente per 6-4 4-3 il suo quarto di finale sul campo centrale di Amburgo, la Rotenbhaum Arena, contro Magdalena Maleeva. Parche, al cambio di campo, riuscì a confondersi con il resto degli spettatori e raggiunse la ringhiera – non invalicabile – che separava il pubblico dalla giocatrice, estraendo un coltello dalla sua borsa e colpendo la tennista jugoslava naturalizzata statunitense, provocandole lievi lesioni fisiche ma importanti conseguenze mentali e costringendola a una lontananza dai campi per 27 mesi. Dovette ripartire da capo Monica, segnata nella propria persona anche dalla scarsa solidarietà delle colleghe tenniste (ad eccezione di Gabriela Sabatini), nel non voler congelare il suo ranking.
Il motivo del gesto dell’attentatore era da ritrovarsi nella sua netta predilezione, se non ossessione, per un’altra campionessa, quella Steffi Graf che all’inizio della stagione ’93 si stava giocando, con continui sorpassi e controsorpassi, il vertice della classifica mondiale proprio con Seles. L’uomo voleva dare alla sua tennista preferita la possibilità di dominare incontrastata nei mesi a venire, cosa che poi effettivamente avvenne, dato che Graf trionfò nei successivi quattro Slam (dal Roland Garros ’93 fino all’Australian Open ’94).
Seles non è mai più riuscita a tornare forte come prima (all’epoca dell’aggressione non aveva ancora compiuto 20 anni e aveva giocato 33 finali su 34 tornei disputati dal gennaio 2021), mentre Parche, dopo l’episodio, si dichiarò immediatamente colpevole e rimase in carcere solo fino al 13 ottobre 1993, data della condanna per aggressione aggravata, prima di trascorrere due anni in libertà vigilata.
Federico Martegani