Romain Radwan, il sogno della Coppa Davis si avvera in Siria

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Romain Radwan, il sogno della Coppa Davis si avvera in Siria

Dalle avventure con la nazionale a quel suo compagno che, durante il servizio militare, ha dovuto dare lezioni di tennis ai figli di Assad. Una storia più che incredibile

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Romain Radwan (ph. archivio Ouest-France)
 

L’Equipe dedica un reportage a cinque sportivi (uno al giorno) che, pur non sfondando ai massimi livelli, con tenacia e passione sono riusciti a raggiungere, in determinate circostanze, “i piani alti” del loro sport del cuore. Si tratta della serie Les intrus d’en haut (“gli intrusi dall’alto”) e, il primo capitolo è dedicato al tennis con la bella storia di Romain Radwan.

Romain Radwan, 38 anni, è un ex giocatore franco-siriano, nato a Parigi da padre siriano e madre francese. Ottimo tennista della Ligue regionale in Normandia agli inizi degli anni 2000 e competitivo nei Futures, sognava la Coppa Davis e, dopo viaggi e peripezie, nel 2007 finalmente realizza il suo sogno, in Siria.

Romain ha potuto dedicarsi a tempo pieno al tennis solo dopo aver terminato le scuole superiori, poiché i genitori non vedevano di buon occhio la doppia attività studi-sport. Dopo essersi messo in luce nei campionati della Ligue tra Club, in pochi anni riesce a scalare le classifiche nazionali: “Anche se ovviamente era difficile immaginare di fare carriera ho voluto comunque tentare qualche stagione prima di iscrivermi all’università” spiega Romain al quotidiano transalpino.

Si forma così anche grazie ai viaggi. Nel 2002 disputa il doppio insieme a Edouard Roger-Vasselin in un torneo in Lettonia e l’anno dopo strappa alcuni giochi a Gaël Monfils in un evento nella regione delle Yvelines. Non sfonda ma non si scoraggia. Nell’agosto 2005, eccolo a Il Cairo. Durante il torneo egiziano, Romain conosce un tennista tunisino che gli dà un’idea che cambierà poi la sua vita: “Perché non giochi la Coppa Davis in Siria? Conosco dei ragazzi che vi partecipano e sono meno forti di te“. Nonostante le numerose visite alla sua famiglia siriana a Homs e pur avendo imparato l’arabo, Romain non si era mai immaginato di poter giocare per la Siria; e dire che aveva una gran passione per la Davis. Contattare la federazione siriana non fu semplice ma, alla fine, al consolato siriano a Ginevra, dove il giovane risiedeva da una quindicina d’anni, avviene la svolta: “ho avuto una fortuna incredibile, poiché il ragazzo incontrato al consolato mi dice che sua cugina lavora per la Federazione del tennis“.

Desiderosi di rafforzare la squadra, i dirigenti della Federazione invitano Romain e il fratello Roy (anch’egli astro nascente del tennis nazionale), a partecipare ai campionati individuali in Siria, alla fine del 2005. I fratelli Radwan si issano in finale e dopo più di un anno di procedure amministrative, entrano a far parte definitivamente della squadra nazionale. Per cinque stagioni, prima che nella primavera 2011 scoppiasse la guerra civile in Siria, Romain Radwan organizza le proprie vacanze in funzione del calendario sportivo. Parteciperà a 19 incontri di Coppa Davis e porterà 13 punti alla squadra.

Si tratta di una serie di esperienze incredibili per lui, “a cominciare dalla primissima selezione, in Birmania, nel 2007. La giunta era ancora al potere, il paese era chiuso e non c’era neanche un turista. Eravamo tagliati fuori dal mondo. La telefonata di un minuto in Europa  costava dieci dollari ed era impossibile trovare delle carte SIM locali per i telefoni cellulari. Un giorno, sono andato a passeggiare a Rangoun. Ero l’unico non birmano in giro, da solo, un’atmosfera eccezionale”. Nel corso della settimana, vince tutti i suoi incontri. Il Brunei, l’Irak, il Quatar e la Birmania sono via via spazzati via dalla Siria, che stacca il pass per il World Group III. I fratelli Radwan ormai fanno parte della squadra. Sei mesi dopo, disputano i Giochi d’Arabia a Il cairo, sfilando davanti a 75.000 persone, tra cui lo stesso presidente egiziano Hosni Moubarak.

Nel 2008, in Iran, il cambiamento di scenario è radicale. “Abbiamo vissuto una vera segregazione” ricorda Radwan, “quando facevano entrare prima le donne da una parte delle tribune, poi gli uomini dall’altra […]”. Nel 2010 è la volta di una seconda trasferta a Teheran e in quest’occasione la Siria accede al World Group II: “L’ultimo giorno era piovuto molto” racconta ancora Romain, “ma ci tenevano tantissimo a terminare le gare e allora hanno spostato tutto, dalle sedie dell’arbitro fino ai teloni in fondo al campo, per rispettare le norme imposte dalla federazione internazionale. Ci sono volute ore per passare dal club in cui dovevamo giocare a una palestra”.

La storia è di quelle che non si dimenticano. “Avevo perso il mio singolare all’inizio della giornata. Ero infortunato e non trovavo più il servizio di infermeria. Se n’erano andati. Quindi ho dovuto arrangiarmi. Non dimenticherò mai di essere andato in giro per Teheran con un amico, alla ricerca di una farmacia. Gli iraniani non parlano l’inglese e nessuno per strada poteva darmi informazioni. Ci hanno mandati in un ospedale e poi alla Croce Rossa. Abbiamo passato tre ore a vagare e ci siamo persi. Alla fine, il proprietario di un cinema, che aveva qualche nozione di inglese, ha chiesto a sua figlia di trovarci un taxi“. Alla fine di quella giornata interminabile, Radwan ritorna alla palestra di fortuna, sotto lo sguardo di alcuni ayatollah, le cui foto erano appese alle pareti, per il doppio decisivo dei suoi compagni di squadra […].

Alla fine dell’inverno 2010-2011, la primavera araba sta esplodendo un po’ ovunque. “I coreani, che ci hanno accolto a Changwon all’inizio di marzo, ci chiedevano se fossimo preoccupati. Rispondevamo che la Siria non sarebbe mai stata toccata da quegli eventi. E invece…”. Sul piano agonistico, la squadra siriana non riesce a contrastare la Corea del Sud. […]. Quattro mesi dopo, Romain Radwan partecipa alla sua ultima selezione, per il tie di sbarramento a Hong Kong. Nel frattempo, non è più ripassato dalla Siria: “che stava cominciando a esplodere. Fino a quel momento, ogni volta che i miei amici erano sorpresi che vi andassi spesso, spiegavo loro di sentirmi più sicuro che a Ginevra. Che nella squadra andava tutto bene tra cristiani e musulmani e che c’era un’atmosfera distesa. Ma la situazione si è degradata molto velocemente“. A Hong Kong, la Siria cede 3-0. Radwan disputa solo l’ultimo singolare, senza posta in gioco. È la fine di un’avventura ricca di ricordi e aneddoti come quello del torneo Futures organizzato a Damasco alcuni anni prima del suo arrivo in squadra […] o la storia di un suo compagno di squadra di Davis il cui servizio militare consisteva esclusivamente nel dare lezioni di tennis ai figli di Bachar El Assade, a volte, lui stesso si presentava per prendere lezioni, lontano dagli sguardi altrui“.

Lo scorso marzo la Siria, che era risalita nel World Group II della Coppa Davis, ha ceduto allo Zimbabwe. Romain Darwan ha avuto la soddisfazione di vedere nella squadra due giovani che, dieci anni fa, quando aveva palleggiato con loro, erano ancora ragazzini. Anche se non si è più recato in Siria dal 2011 (“Ho dei parenti che continuano ad andarci due volte all’anno ma è più facile per le donne; per gli uomini c’è sempre il rischio che li facciano restare per entrare nell’esercito“), il legame non si è spezzato. Per il suo matrimonio, che avrà luogo quest’estate, ha invitato diversi ex compagni di squadra o capitani.

Ora, a quasi 38 anni, dopo aver completato gli studi in management dello sport, lavora nell’editoria. E continua con calma a giocare a tennis. La sua ultima partita? Una vittoria 6-2 6-0 in novembre, nei campionati a squadre per veterani, per il Club d’Archamps, nella Haute Savoie.

Traduzione di Laura Guidobaldi

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