«Matteo, non devi abbatterti» (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)
E’ sembrato più un “uno contro uno” di basket che una sfida di tennis. Infatti in campo martedi negli ottavi del Western e Southern Open che, causa COVID, si svolge a New York, c’erano 407 centimetri divisi a rete tra i 196 di Mauro Berrettini e i 211 di Reilly Opelka. Alla fine ha avuto la meglio il più alto: lo statunitense ha sconfitto l’italiano 6-3, 7-6 (4) grazie in particolare a un servizio imprendibile (19 aces) nonostante il ranking facesse la differenza a favore di Berrettini (numero 8 contro 39). C’è da sottolineare però che il romano finora aveva giocato appena tre incontri ufficiali, due agli Australian Open il gennaio scorso, il terzo qui a Flushing Meadows contro il finlandese Emil Ruusuvuori. Poi solo match di esibizione e probabilmente un po’ di ruggine si è fatta sentire, anche se nel suo team si è data più la colpa all’ottima partita giocata da Opelka. «Ingiocabile al servizio più del solito – così Vincenzo Santopadre, il suo coach, che in questa particolare occasione ha preferito evitare la trasferta di New York, ha raccontato la sconfitta ai microfoni di Ubitennis -. Matteo ha servito bene, ma sono stati maggiori i meriti di Opelka che i suoi demeriti». Appena ventiduenne, Opelka oltre al dirompente servizio ha messo in mostra anche buoni movimenti in campo, nonostante il fisico massiccio. «Rispetto a Isner, con il quale Matteo si è anche allenato – ha aggiunto Santopadre – Opelka è in possesso di un servizio ancora più difficile da controbattere, prima e seconda palla. Ha meritato di vincere, non ha lasciato al suo avversario alcuna opportunità. Direi che ci sarebbe stato poco da fare anche per Djokovic. È stato di una continuità spaventosa». In campo femminile ha fatto rumore il ko di Serena Williams, messa fuori dalla greca Maria Sakkari 5-7, 7-6 (5), 6-1 anche se, ovviamente, per la quasi trentanovenne statunitense quello che conta sono gli U.S. Open (alla caccia dello stregato Slam numero 24). «È stato come uscire con un ragazzo che non ti piace – così ha descritto la sconfitta – Mi sono messa in una brutta situazione, ma è difficile giocare nel modo in cui l’ho fatto e restare positivi. Poi nove ore in campo in una settimana è troppo per me. Comunque avrei dovuto farcela, nessuna scusa. E stato complicato, nonostante le tante le opportunità che ho avuto per assicurarmi l’incontro. Devo capire come cominciare a vincere nuovamente queste partite».
Djokovic scatenato non si ferma più. Imbattuto nel 2020 (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
E per fortuna che ci si messo il collo a tormentarlo un po’, perché il Djokovic che si è ripresentato in campo dopo le polemiche del lockdown accompagnate dalla positività al coronavirus di giugno è perfettamente identico a quello di inizio anno, e dunque imbattibile. Il record stagionale adesso è aggiornato a 21 vittorie e nessuna sconfitta, con tre tornei vinti (Atp Cup, Australian Open e Dubai): se la pandemia doveva rimescolare le carte in vista degli Us Open, l’esperimento non sembra riuscito: il Djoker, probabilmente sovrastimolato dalle critiche ricevute negli ultimi mesi, sembra già lanciato verso la conquista del 18° Slam che lo porterebbe a una sola lunghezza da Nadal e a due da Federer, entrambi assenti a New York. Il tedesco Struff non poteva certo pensare di opporsi al Djoker mettendo solo il 39 per cento di prime. Lasciate alle spalle le ombre del lockdown, Novak è assai carico: «Ho lavorato molto negli ultimi sei mesi, ho avuto un sacco di tempo. Mi sono concentrato su ogni singolo dettaglio. È fantastico che stia dando i suoi frutti così presto dopo la pausa». In semifinale non troverà però il campione uscente Medvedev, cui non basta mezz’ora di altissima qualità per venire a capo della tigna e delle gambe di Bautista Agut. […]
Anche Medvedev ko (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Credeteci, se vi pare, ma Reilly Opelka non era così. E nemmeno Serena. Per non dire di Dominic Thiem, che non avevamo mai visto prendere sberle porgendo l’altra guancia. Non sono quelli di prima Struff e Krajinovic, e certo Emil Ruusuvuori non vale lo strapuntino numero 100 del ranking, ma molto di più, sebbene la crescita di cui prendiamo atto sia avvenuta senza giocare a tennis. Per non dire della signorina Sakkari, che sembra aver aggiunto li motore di una Vespa alle gambe già naturalmente predisposte alla corsa. E dell’improvviso vuoto di memoria che ha colto Daniil Medvedev, impeccabile dall’inizio del torneo fino al primo set dominato su Bautista Agut, poi dimentico di ogni cognizione tattica, al punto da cedere al terzo dopo tre match point. Ed era lui il campione in carica. È successo qualcosa. Ma cosa? Prima di arrivare a sentenziare che anche nel tennis “niente sarà come prima”, appare più cauto procedere con domande meno impegnative. Ma il paradosso Covid non va dimenticato. Dopo un lockdown così lungo può succedere di tutto. Così, il primo paletto conficcato nel cuore del Tour, fondato su un’infinità di tornei tale da ridurre in briciole il tempo da dedicare alla preparazione fisica e al miglioramento tecnico e tattico, sembra indicare che seguendo la strada opposta si possa ottenere di più. Insomma, non è detto che il tennista obbligato a giocare tutti i giorni, migliori per forza di cose. Considerazioni simili le avevamo tentate tre anni fa, quando Federer dopo sei mesi di sosta e di allenamento, era tornato a vincere quasi tutto (nel 2017, Australian Open, Miami e Indian Wells e poi Wimbledon) grazie a un rovescio rifondato e a trame d’attacco sempre più opportune. L’esempio di Reilly Opelka, che abbiamo visto schiantare Berrettini fin quasi ad accopparlo con l’ace del match point (tirato al corpo), è a suo modo lampante. L’Opelka di un anno fa mostrava ancora quei residui di goffaggine tipici dei giocatori grandi come armadi a quattro ante. Non del tutto veloce negli spostamenti, era costretto a giocare arruffando i colpi. L’Opelka di oggi è diventato un tennista quasi aggraziato. […]
Serena in ginocchio: «E’ come frequentare il fidanzato sbagliato» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Anche le leggende piangono. Sul 5-0 nel terzo set per l’avversaria, Serena Williams non è riuscita a trattenere lacrime di profonda delusione. Comprensibile: stava per essere travolta in un match che mezz’ora prima teneva saldamente in pugno. A sorridere perciò è la greca Sakkari. Ma è il tonfo di Serena a tenere la scena, soprattutto perché proietta ombre minacciose sugli Us Open, dove inseguirebbe quel benedetto 24° Slam del record. L’ex numero uno del mondo ha pericolosamente allungato il primo set fino al tie break dopo averlo dominato in lungo e in largo. E nel secondo ha servito per il match sul 5-3, prima di sciogliersi sotto il peso di una condizione fisica ancora inadeguata (ha perfino preso un warning per perdita di tempo, tanto era stremata). Del resto, era reduce da una battaglia di quasi tre ore con la Rus e nei cinque match giocati dopo lo stop è sempre andata al terzo set. Insomma, quasi 39 anni e sentirli tutti (alla fine, 58 errori gratuiti): «Non posso permettermi di sprecare certe occasioni, sono andata a mettermi in una situazione in cui non avrei mai dovuto essere, ovvero quella di giocare un terzo set. È stato come continuare a uscire con un fidanzato che sai non essere giusto per te e che avresti già aver dovuto piantare da tempo». In proiezione Us Open, Serena prova a non dimostrarsi nervosa: «E difficile giocare come sto giocando e rimanere positiva, stare in campo nove ore in una settimana è troppo. Di solito non mi capita, è tutto nuovo per me». In semifinale, però, una mamma ci sarà comunque. Viktoria Azarenka, ex numero 1 nel 2012 e adesso 59, soffre solo un set contro la tunisina Jabeur: la bielorussa, che ha espresso a parole la vicinanza al suo popolo da giorni in piazza contro il presidente Lukashenko (lei abita in Arizona), non andava così avanti in un torneo dall’aprile 2019 (finale a Monterrey). Il post lockdown porta alla ribalta anche Naomi Osaka, un’altra ex numero uno, alle prese, prima della pandemia, con qualche problema di crescita tecnica e personale dopo la fenomenale esplosione che l’ha trasformata in una delle nuove icone del tennis femminile. La giapponese non è ancora la campionessa dirompente dei successi agli Us Open 2018 e agli Australian Open 2019, perché continua ad alternare giocate di lusso a errori marchiani, eppure è diventata un simbolo di integrazione, lei che è figlia di un haitiano e di una donna del Sol Levante e gioca per gli Stati Uniti. Durante lo stop forzato per il coronavirus è volata da Los Angeles a Minnesota per partecipare alle proteste contro l’uccisione di George Floyd e in questi giorni è stata scelta come donna copertina dal magazine Women’s Style Issue. […]