Interviste
Errani: “Non mi piacciono le prese per il culo”. Bertens: “Forse dovrei fare l’attrice”
Scambio di battute al vitriolo tra Sara Errani e Kiki Bertens dopo il loro incontro di secondo turno al Roland Garros

Che dopo tutto quello che era successo nelle 3 ore e 11 minuti di partita tra Sara Errani e Kiki Bertens le due conferenze stampa sarebbero state piuttosto pepate c’era da aspettarselo, infatti in entrambi i casi c’erano oltre 25 giornalisti presenti ad ascoltare le dichiarazioni delle due professioniste.
La prima ad arrivare davanti ai microfoni è stata Sara Errani, che è partita subito in quarta “Non so come dirlo in inglese, ma non mi piacciono le prese per il culo”. Ha proprio usato l’espressione in italiano, che non sappiamo quanti reporter internazionali abbiano capito, ma che sicuramente è arrivata forte e chiara alle nostre orecchie. “Ha giocato una grande partita, ma prima sembrava fosse infortunata e poi si è messa a correre come non aveva mai corso. Poi è uscita dal campo in sedia a rotelle e adesso è seduta tranquillamente al ristorante. Non mi piacciono questi atteggiamenti. Se vuole giocare così, è una sua decisione. Ma mi dà fastidio, anche perché poi sono io che vengo definita una giocatrice scorretta”.
Non ha avuto nessuna recriminazione sulle numerose violazioni che le sono state comminate dal giudice di sedia Kader Nouni e che le sono costate diversi punti: “Sta solo facendo il suo lavoro, le regole sono quelle, se non riesco a servire entro il tempo previsto perché non riesco a lanciarmi bene la palla è un mio problema, lui fa bene ad applicare il regolamento”.
Riguardando l’evoluzione del punteggio, Sara ha detto che probabilmente le chance avute nel primo set sono state decisive: “Adesso è difficile analizzare il match in maniera obiettiva, c’è ancora tanta rabbia, ma probabilmente è stato il primo set a pesare di più, perché nel terzo è stato tutto molto equilibrato”.
“Credo che da fondo sono riuscita ad esprimere un livello alto – ha commentato Errani – ma purtroppo ho avuto il problema del servizio che purtroppo in questo periodo mi sta dando dei problemi, ma non posso fare altro che accettare la situazione e cercare di combattere con le armi che ho a disposizione”.
Interrogata sulla presunta veridicità dei crampi di Bertens, Errani ha commentato sarcasticamente che “forse ha la pozione magica, perché per un’ora sembrava avesse i crampi e poi correva come non mai”.
Dopo 45 minuti di trattamento sul lettino del fisioterapista, 30 dei quali passati incapace di muoversi con crampi diffusi in tutto il corpo (questo almeno stando a quanto raccontato dall’interessata), Kiki Bertens ha raccontato alla stampa che in campo non si sentiva stanca, ma i suoi muscoli hanno reagito in quella maniera forse per eccessiva disidratazione: “Ho sudato moltissimo, e anche se ho bevuto davvero tanto ho comunque sperimentato crampi prima alla gamba sinistra, poi al piede destro, poi a entrambe le mani”.
L’olandese ha accettato in maniera molto graziosa le non troppo velate accuse rivoltele da Errani, incluso un possibile “vaffa” urlato da Sara all’uscita dal campo: “Non la prendo in maniera personale perché capisco la sua frustrazione per aver perso la partita, per non aver colto le chance che ha avuto. Lei può dire quello che vuole, ma se veramente stavo fingendo magari dovrei prendere lezioni di recitazione, dedicarmi alla carriera di attrice invece di giocare a tennis”.
Errani dal canto suo ha minimizzato la questione del “vaffa” dicendo che “non è stata una parola rivolta a lei, è stata una parola che a volte in italiano si dice quando le cose non vanno bene, ma non mi ricordo nemmeno quando l’ho detta. Se ero alla porta d’uscita del campo non credo che possa costituire motivo di una sanzione, e se qualcuno mi vuol fare una multa che me la faccia, non ci posso fare molto”.
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ATP Miami, Alcaraz: “Con Sinner ci spingiamo a sviluppare il nostro gioco al 100%, sarà una bella rivalità”
“Non sono sorpreso di come ho recuperato dal mio infortunio perché conosco il mio corpo”, così il numero 1 Carlos Alcaraz appena arrivato in Florida. “Gioco a un grande livello perché sono rilassato e mi diverto”

Mentre a Miami il torneo femminile inizia con i primi turni, si svolge in concomitanza il media day, quella giornata riservata alle interviste dei top players, in un ambiente decisamente più informale delle solite conferenze stampa. Il target principale ovviamente è il numero 1 al mondo Carlos Alcaraz, fresco vincitore del Masters 1000 di Indian Wells.
D: C’è qualcosa che vuoi e puoi ancora migliorare nel tuo gioco a questo punto della carriera?
Alcaraz: Io dico sempre che c’è sempre qualcosina che si può fare meglio. Io posso migliorare nel mio gioco ogni giorno, ad esempio è per questo che i Big Three sono così forti, perché sono migliorati ogni giorno.
D: Lo scorso anno qui a Miami hai giocato tante belle partite nella corsa verso il titolo, come la vittoria su Tsitsipas. Ti piace l’atmosfera che trovi qui?
Alcaraz: Ho molto supporto qui, mi ricordo lo scorso anno una connessione incredibile con il pubblico perché molte persone parlano spagnolo. mi ricordo grandi match lo scorso anno e non vedo l’ora di giocare. […] La cultura latinoamericana qui a Miami è molto diffusa e ovviamente mi piace tanto giocare qui, mi sento come a casa. Sento l’amore in ogni partita e ogni allenamento.
D: Hai compiuto una grande impresa vincendo Indian Wells e battendo alla grande Medvedev in finale. Senti adesso un po’ il peso delle aspettative crescere?
Alcaraz: Non sento molto la pressione, so quali sono le cose che devo fare: di giocare rilassato e non preoccuparti se vinco o perdo, o gioco bene o male. Il mio obiettivo è sempre lo stesso, stare a mio agio in campo, divertirmi e cercare di fare grandi colpi durante il match. Questo è ciò che sono, è per questo gioco ad un grande livello, perché sono rilassato e mi diverto.
D: Puoi parlarci della tua rivalità con Sinner? Cos’è che fa sì che voi due tiriate fuori il meglio l’uno dell’altro?
Alcaraz: Sì, probabilmente tra noi due ci sarà una bella rivalità. Credo che tutti ne parleranno, perché ci spingiamo a vicenda ad essere persone migliori e giocatori più forti. Ci spingiamo a sviluppare il nostro gioco al 100% e credo sia una cosa bellissima.
D: A questo punto della tua carriera cos’è più importante per te, essere numero 1 o vincere un altro torneo dello Slam?
Alcaraz: Mh, è veramente una domanda difficile da rispondere ma vada per uno Slam.
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Fino a che punto può arrivare il tennis di Carlos Alcaraz?
Molti giocatori “giocano per distruggere, non per costruire” afferma il suo coach Ferrero. Un viaggio dietro le quite targato Vogue, nella creazione di un campione

Di Gaby Wood, pubblicato su Vogue il 22 febbraio 2023
In una fresca giornata di sole nel sud est della Spagna, un tennista di 19 anni si sta allenando. Lo scorso settembre è diventato il numero uno del mondo, una posizione che ha conservato per più di quattro mesi, diventando il più giovane tennista numero uno da quando sono iniziate le classifiche. Carlos Alcaraz, “Carlitos” per gli amici “Charlie” quando parla con se stesso, ha vissuto negli ultimi 3 anni qui alla Tennis Accademy di Villena. La struttura è costruita in mezzo a terreni agricoli e si trova tra una prigione di massima sicurezza e un castello medievale. Il nuovo re del tennis si allena qui per due ore ogni mattina “Ma c’è molto di più in arrivo,” mi assicura, appena la sessione è finita: il suo programma consiste in ” tennis, tennis e ancora tennis. “
Scivola e plana sul campo: ” Venga, venga, venga! ” urla a se stesso stringendo il pugno e appena la palla entra in contatto con la racchetta le sue esalazioni, mezze grugnite, mezze “cantate”, riecheggiano nell’aria arida col suo consueto “Ehhhhh!.”
Sta scambiando con Darwin Blanch, un allampanato, giovane americano di 15 anni che ha quella tipica andatura, a suo modo elegante, di un teenager le cui articolazioni sono cresciute molto velocemente. Guardandoli insieme si capisce quanto Alcaraz, che aveva una struttura simile a quell’età, sia cresciuto per soddisfare i requisiti del tennis contemporaneo.
“Oggi la maggior parte dei giocatori sono delle bestie” mi dice il suo coach Juan Carlos Ferrero. (per contro Ferrero, che è stato numero uno al mondo nel 2003, era magro e veloce tanto da essere soprannominato “El Mosquito”, la zanzara).
Ferrero li sta indirizzando a colpire due colpi specifici alla volta, più uno a loro scelta. Ci spiega che molti giocatori “giocano per distruggere, non per costruire. Carlos è fisicamente esplosivo e molto veloce. Non riesco a farlo giocare piano, ma spero sia capace di costruire, lui è creativo per disposizione naturale e questo è un vantaggio”.
In maglia nera, pantaloncini blu e le Nike Vapor Pro 2 con rialzo arancione e il baffo rosa brillante, Alcaraz è sia casual che monumentale. Mentre si muove sulla linea di fondo, il sole delinea i suoi muscoli delle gambe come se fosse un cartone animato: il piede in basso, seguito da un visibile aumento della spinta verso l’alto. sta eseguendo una versione del colpo che l’ha reso famoso battendo Jannik Sinner nei quarti degli US Open. Colpisce la palla ruotando e colpendola oltre la sua schiena, come se lanciasse un mazzo di chiavi, o guardasse dietro le spalle per vedere se ha dimenticato qualcosa. Un ghigno da ragazzo. Gioca a tennis come se fosse…beh, un gioco.
Adesso che Roger Federer si è ritirato, i fan in cerca di un nuovo idolo sono migrati in massa verso Alcaraz. “E’ come se Dio lo avesse mandato per essere il futuro del tennis“ dice Arnold Rampersad che ha co-scritto il libro di memorie di Arthur Ashe del 1994, Days of Grace. “E’ come un Arcangelo con una stupenda palla corta e un incredibile senso del campo”. Geoff Dyer, autore di The last days of Roger Federer, lo ha visto giocare a Indian Wells l’anno scorso, lo ha trovato non solo implacabile ma “il giocatore più giovane e completo che avessi visto da anni. In questa primissima parte della sua carriera, si sente immortale”.
Cos’ha che gli altri non hanno? Una combinazione di audacia, varietà di colpi, flessibilità tattica, stile, forza, originalità, arguzia. Un corpo che va in spaccata e subito dopo balza su, come se il campo fosse un trampolino. una seconda palla impressionante. Palle corte d’autore giocate in momenti di estremo nervosismo che farebbero saltare le coronarie a tutti gli allenatori. “Trascende ovunque giochi,” mi dice Brad Gilbert ( ex numero 4 al mondo nel 1990 ) coach e commentatore . “Ovunque la gente accorre a fare il tifo per lui perchè è davvero esaltante da vedere”.
Durante lo US Open dello scorso anno, che ha vinto, Alcaraz è stato in campo per 23 ore e 39 minuti, tra cui tre partite quasi infinite, terminate al quinto set, alcune delle quali finite a tarda notte. Prima della semifinale, è andato a letto alle 6 del mattino.
“Ecco una parola giusta per lui ,” dice Gilbert: “coraggio”. Si riferisce ad Alcaraz come in “Fuga da Alcaraz”, è così indomito. “Se mi dicessero tra cinque anni che ha vinto sei o sette Slam, non sarei per niente stupito” riflette Gilbert. “Forse saranno 10, forse di meno. Ovviamente un altro fattore importante è legato alla fortuna di non avere infortuni, gioca sempre molto fisicamente. Ma se mi dicessero tra cinque anni che ha un solo Slam in bacheca, sarei totalmente scioccato.”
Con l’addio di Federer e il declino di Rafael Nadal – il cui monopolio congiunto, insieme a quello di Novak Djokovic ha, secondo Gilbert, “spazzato via circa tre generazioni” – il tennis sta entrando in una nuova era. È più fisico, con partite più lunghe, giocate in tutto il mondo e, grazie alla programmazione televisiva, a tutte le ore del giorno e della notte; e ci sono più tornei, più stampa, più richieste sui social media; più modi per il mondo esterno di entrare nel mondo dei giocatori e distrarli. A marzo, poco prima di giocare a Indian Wells, Alcaraz affronterà un americano di alto livello, Taylor Fritz o Frances Tiafoe, in una “prima esperienza di tennis nel suo genere” all’MGM Grand Garden Arena di Las Vegas. Chiamato “The Slam”, questo combattimento di gladiatori è pubblicizzato con musica metal e si terrà in un luogo probabilmente più noto per l’incontro di boxe in cui Mike Tyson ha morso una parte dell’orecchio di Evander Holyfield.
Siamo molto lontani da tutto questo qui, all’accademia di Ferrero, dove le comodità sono minime e l’ambiente è sobrio. È la prima settimana di gennaio – un presepe accuratamente allestito troneggia su uno scaffale della mensa – e mentre molti giocatori sono già in Australia per l’Open, Alcaraz e Ferrero hanno scelto di trascorrere più tempo a prepararsi a casa. Verso la fine del 2022, Alcaraz ha avuto un infortunio a un muscolo addominale che lo ha portato a ritirarsi dalla Coppa Davis. Sia lui che Ferrero dicono che si è completamente ripreso.
Mi saluta dopo l’allenamento con un ampio sorriso alla Tom Cruise. Ci sediamo a un tavolo fuori. In primo piano, i suoi capelli scuri portano alcune ciocche punteggiate di bianco – come si addice a un prodigio, forse – e il suo modo di parlare è così franco che a volte penso di aver capito male. “Sono sempre stato un ragazzo di grande talento,” mi dice, senza vanteria. “Ma ho sempre lavorato sodo. Perché se hai talento e non ti impegni non arrivi da nessuna parte”.
Alcaraz partecipa a questo gioco, il gioco delle interviste, da quando era bambino. Un video girato quando aveva 12 anni lo mostra strizzare gli occhi verso la telecamera e dichiarare che Federer è il suo idolo. Perché non il suo connazionale Nadal?
“Rafa è qualcuno che ho sempre guardato“, dice ora. “Lo ammiro molto. Ma Federer, la classe che aveva, il modo in cui faceva vedere alla gente il tennis: era bellissimo. Guardare Federer è come guardare un’opera d’arte. È eleganza, faceva tutto magnificamente. Sono rimasto incantato da lui.”
Alcaraz è cresciuto a poco più di un’ora da qui, in un villaggio fuori Murcia chiamato El Palmar, un posto che visita ancora nei fine settimana. Tutti si conoscono, dice, e ha gli stessi amici con cui usciva da bambino. Circa 40 anni fa suo prozio costruì lì un club di tennis, su quello che era un poligono di tiro al piattello e il nonno di Alcaraz, Carlos, si unì all’impresa. Successivamente, il padre di Alcaraz, che ha giocato a tennis professionistico fino a quando non ha più potuto permettersi di continuare, ne è diventato il direttore. Quindi Carlitos è nato, dice, “con il tennis nel sangue”. Suo fratello maggiore, Álvaro (ora 23enne), ha giocato in tornei prima di lui, e i suoi fratelli minori (di 13 e 11 anni) sono appassionati di tennis quanto il resto della famiglia, compresa sua madre, che fino a poco tempo fa lavorava come commessa all’IKEA. Alcaraz ha avuto la sua prima racchetta all’età di quattro anni e, secondo suo padre, piangeva quando la sera doveva smettere di giocare per tornare a casa a cena. La sua vita sociale ruotava attorno al circolo del tennis.
A 12 anni era già un giocatore così promettente da essere sponsorizzato da Babolat e Lotto. Un amico di famiglia proprietario di Postres Reina, un’azienda di yogurt e dolci con sede a Murcia, gli aveva già dato i soldi di cui aveva bisogno per partecipare a un torneo junior in Croazia e ha continuato a coprire gran parte delle sue spese di viaggio. Ferrero lo ha visto giocare per la prima volta proprio in questo periodo. “Avevo già sentito parlare di lui”, dice il suo allenatore. “Soprattutto il fatto che stesse facendo un sacco di cose diverse: palle corte e pallonetti e discese a rete, cose che i ragazzini non fanno, stanno solo dietro, combattono e corrono. Era molto dinamico, lo si vedeva già”.
Alcaraz ha iniziato ad allenarsi con Ferrero quando aveva 15 anni. Ferrero aveva lavorato per otto mesi al fianco di Zverev; a detta del coach spagnolo la separazione è stata causata da posizioni divergenti sul concetto di “professionalità”. (“Siamo molto amici”, dice Ferrero di Zverev, mettendo a tacere eventuali insinuazioni polemiche. “Si è allenato spesso con Carlos.”). In Alcaraz ha visto una sfida: un ragazzo con molta strada ancora da fare.
La routine di Alcaraz consiste in diverse ore di tennis al giorno, oltre ad allenamento in palestra, fisioterapia e una pennichella dopo pranzo. Mangia quello che gli va, ma in maniera sana. La sera si impegna a imparare l’inglese. “Sono migliorato, ma la strada è ancora lunga!”. Ogni tanto si concede un film e, opportunamente, preferisce scegliere tra quelli che lui chiama “di suspence” o “motivazionali”. Film motivazionali? chiedo io un po’ confuso. “Sì,” risponde lui. “Sylvester Stallone. Hai presente, no? Rocky Balboa.”
Quando si vede coi suoi amici il fine settimana gli piace andare al parco e sedersi in compagnia oppure ritrovarsi a turno a casa di uno a fare giochi da tavolo. Gli piace il calcio ed è tifoso del Real Madrid (suo fratello maggiore tifa Barcellona). Secondo i rotocalchi usciva con Maria Gonzalez Gimenez, ma Alcaraz allude a una rottura dicendo che è single da 18 mesi. “Non restando mai nello stesso posto è complicato”, aggiunge. “E’ difficile trovare una persona con cui condividere le cose se ci si ritrova continuamente giro per il mondo.”
Uno dei suoi hobby sono gli scacchi. “Amo gli scacchi. Doversi concentrare, giocare contro un avversario, la strategia – dover prevedere le mosse. Penso che ciò sia molto simile al tennis giocato in campo,” dice Alcaraz. “Devi intuire dove il tuo avversario giocherà la palla, devi muoverti con anticipo e provare a ribattere con una mossa che metterà l’altro giocatore in difficoltà. Per questo ci gioco spesso.”
Qualche mese fa ha iniziato a fare più attenzione al suo abbigliamento e a fare in modo di avere un bell’aspetto quando esce per strada. Gli piace indossare jeans larghi o pantaloni larghi e una maglietta; è anche appena diventato il nuovo volto della campagna di intimo maschile Calvin Klein (slogan: “Calvins or nothing”). “Ci sono persone che indossano solamente brand in voga, ma io ho tirato dritto,” dice. “Mi vesto in modo molto semplice.”
Quindi, vi chiederete, che cosa ci fa coi montepremi delle sue vittorie? Ride. “Beh, se ne occupa mio padre. Sono ancora giovane e ho anch’io i miei capricci, ma sono molto naturale, normale, umile. Non bado molto ai brand e alle auto. Se mi piace qualcosa, provo a comprarlo, ma alla fine è mio padre che si occupa di tutto.”
E quali sono i suoi capricci?
“Sono un fanatico delle scarpe della Nike”, dice. E, sebbene sia sponsorizzato dalla Nike, spiega che ci sono modelli vintage che desidera “che sono piuttosto costosi. Sono esclusivi o difficili da trovare. E questi sono i generi di prodotto che compro, se mi piacciono. Tipo alcune Jordans, alcune Dunk Lows, o altre lanciate da Travis Scott. Voglio farmi una bella collezione – quello, in sostanza, è il mio obiettivo. Al momento ne ho circa venti paia.”
E’ quasi certo che Alcaraz accumulerà più di qualche paio di scarpe di qui ai prossimi anni – anche se non è chiaro quanto gli farà la differenza. Quando gli chiedo degli sponsor deve controllare sul telefono, ma poi si ricorda improvvisamente che la BMW gli ha dato un’auto.
Ferrero, che iniziò ad allenarsi anche lui qui all’età di 15 anni e che ha vissuto nella casa dove ora alloggia Alcaraz, è ben compiaciuto dei progressi fatti dal suo protetto, ma si trattiene fortemente dal cantar vittoria.
“Chi di noi è fra gli addetti ai lavori sa che è meglio essere cauti,” dice. “Penso che Carlos abbia delle qualità tali da poter entrare a fare parte della cerchia dei migliori giocatori nella storia del tennis. Questo mi è molto chiaro. Tuttavia, ovviamente, molte cose possono succedere. E’ giovane. Ci sono molte cose che non vede. Tutti sappiamo che ci sono dei rischi: andare a feste, distrarsi, non concentrarsi sul tennis. Quando hai l’opportunità di conoscere gente ricca e famosa, è facile perdere la bussola. Ora in molti gli diranno che tutto quello che fa va benissimo. Ma chi noi gli sta intorno deve cercare di vedere la realtà delle cose. Deve migliorare in tutto – continuità, mentalità nei momenti difficili, maturità in campo. Dobbiamo lavorare sui suoi punti deboli.”
La famiglia di Alcaraz, secondo Ferrero, “ha un ruolo molto importante” nel tenerlo con i piedi per terra. Il fatto che suo padre conosca il mondo del tennis è fondamentale. Il fratello, Álvaro, viaggia spesso con lui (durante gli US Open i fratelli Alcaraz hanno condiviso la camera d’albergo, allo stesso modo in cui, anni fa, condividevano un letto a castello).
Il team, in senso allargato, comprende Ferrero (“Juanki”, è il nomignolo affibbiatogli da Carlos, a sostituire il “Mosquito” con cui era chiamato da giocatore), un personal trainer, un fisioterapista, un medico, un paio di allenatori a Murcia e, ultimamente, una psicologa di nome Isabel Balaguer.
“Mi ha aiutato molto”, mi dice Alcaraz. “Ero un po’ confuso. Non riuscivo a controllare bene le mie emozioni, ero sempre arrabbiato. Quando avevo 15 o 16 anni lanciavo le racchette un po’ in giro, o ne rompevo, e questo metteva a rischio il mio gioco. Sapevo di dover migliorare sotto quell’aspetto. Grazie a Isabel sono migliorato molto. Sentirsi sereni durante un anno impegnativo è fondamentale. E dal mio punto di vista, è fondamentale scendere in campo sorridendo, sentendosi felici. Ti aiuta mentalmente. Per me è tutto”
Trascorro la notte in una delle capanne di legno dell’accademia, aspettandomi di rivedere l’allenamento di Alcaraz il giorno successivo; tuttavia, il mattino dopo il posto sembra deserto. Alcaraz e Ferrero sono alle prese con il preparatore atletico: “Oggi ci riposeremo”, annuncia Ferrero. Qualcosa non va, un accenno di infortunio, forse. Due giorni dopo, l’account Twitter di Alcaraz riporta la notizia: un movimento fortuito durante l’allenamento ha danneggiato un muscolo della coscia destra. Carlos si ritirerà dagli Australian Open.
“Ognuno di noi conosce il proprio corpo,” spiega Carlos “so dove sono i miei limiti, quando devo fermarmi, quando spingermi oltre. Ho imparato a farlo. È meglio fermarsi in tempo per recuperare il più rapidamente possibile. Anche capire quando fermarsi è una vittoria.”
Avevo chiesto ad Alcaraz quale fosse stato il suo momento più difficile fino a quel momento. “Ho avuto un brutto periodo dopo aver vinto lo US Open,” ha risposto. “Sembra che me lo stia inventando, ma… beh, quel momento mi è piaciuto molto.” (La notte della vittoria ha festeggiato con la sua famiglia e il suo team al Mission Ceviche, un ristorante peruviano nell’Upper East Side, e la festa della vittoria è stata seguita da un servizio fotografico con il trofeo a Times Square nelle prime ore del mattino.)
“Ma la verità è che, quando sono dovuto tornare a giocare, c’è stato un momento in cui mi son detto: “Stress!” … Capisci cosa intendo?”
La testa stretta tra le mani a illustrare il concetto, Carlos prosegue: “Forse non avevo pienamente compreso quello che era successo. O forse, istintivamente, ho perso una piccola speranza. Penso che quello che è successo sia stato che, quando ho visto che avevo raggiunto ciò che sognavo da quando ero un ragazzino, inconsciamente le mie aspirazioni si sono un po’ offuscate. E questo è stato difficile. Perché nessuno si stava divertendo, in campo: non io, e neppure Juanki, vedendomi così spento e privo di scintilla. Ho pensato, dove vado adesso?
Per quanto sia difficile arrivare al numero uno, è molto più difficile rimanerci. Quello che Rafa, Roger e Djokovic hanno fatto è quasi impossibile,“ conferma Carlos, sul mantenere la voglia di vincere nel tempo. “Penso che quando hai vinto il tuo primo Grande Slam ti rendi conto di quanto sia complicato.”
Quindi… cosa farà Carlos Alcaraz da ora in poi? “Continuerò a voler realizzare il mio sogno,” conclude, “anche se l’ho già fatto.”
Traduzione di Michele Brusadelli, Silvia Gonzato, Luca Gori, Massimo Volpati
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WTA Indian Wells, Sabalenka: “Non sono soddisfatta del servizio. Certe volte le vecchie abitudini tornano”
“Questa dura sconfitta mi motiverà di più” ammette Aryna Sabalenka dopo la finale contro Elena Rybakina. “Delusa da come ho affrontato il primo set, ma domani in volo verso Miami l’avrò già dimenticato”

Seconda sconfitta stagionale per Aryna Sabalenka. La tennista bielorussa è costretta a cedere il passo alla kazaka Rybakina in una sfida molto complicata. Condizioni climatiche, tensione e vecchie abitudini hanno pesato sul gioco di Sabalenka che ha ceduto alla distanza alla sua avversaria. Nella conferenza stampa post match la bielorussa analizza l’impatto della sua sconfitta e le ambizioni future.
MODERATORE: Una sfida difficile ma un’altra grande battaglia tra voi ragazze. Cosa ne pensi della partita?
SABALENKA: È stata una brutta sconfitta ma lei ha giocato un tennis incredibile. Direi che non ho servito molto bene oggi; è stata un’altra battaglia difficile e questa volta è stata lei a trionfare. Lo merita, è una grande giocatrice. Spero di fare un po’ meglio la prossima volta.
D. Puoi parlare un po’ di più della partita. Sembrava diventare un po’ ventoso verso la fine.
SABALENKA: Era un po’ ventoso, ma non importa. Giocavamo entrambe nelle stesse condizioni, quindi ero proprio come se io stessi soffrendo un po’ di più. E soprattutto quando perdi il primo set e poi tutto sembra non andare come ti aspettavi, rende ancora più difficile giocare in queste condizioni. Quando vinci il set, invece, e c’è meno pressione su di te, giochi meglio in queste condizioni. Quindi ho sofferto un po’ di più la situazione, ma succede. Continuerò a lavorare e spero di poter fare meglio la prossima volta.
D. Hai avuto quel break di vantaggio nel primo set al 4-2. Cosa è cambiato da lì? Per quanto riguarda i problemi di servizio oggi, è completamente colpa tua o dipende dalla pressione che ti stava mettendo in risposta?
SABALENKA: “Penso che fosse una combinazione di entrambe le cose. Penso di non aver servito così bene e poi ha iniziato a diventare un po’ più ventoso e non sono riuscita ad adeguare il mio servizio. Ovviamente mi sentivo come lei avesse fatto un passo in avanti e iniziato a giocare un po’ più aggressiva. Ho avuto molte opportunità nel primo set e non le ho sfruttate. E come se questo rappresenti un piccolo promemoria che, devo ancora lavorare su così tante cose. Ci saranno giorni in cui non tutto andrà per il verso giusto; quindi, devo ancora lavorare sodo e devo ancora combattere molto.”
D. In che modo l’aspetto emotivo dopo aver perso il primo set ha influenzato il modo in cui ti sei sentita nella prima parte del secondo set?
SABALENKA: “Penso di essere stata super delusa da me stessa dopo il primo set, specialmente quando subisci una rimonta e poi affronti un set point e poi lo annulli. Ho servito circa tre volte penso per il set e non ho mai sfruttato l’occasione e il mio servizio non ha funzionato bene. Sono rimasta molto delusa da questo, e sono andata in bagno per resettare tutto e iniziare tutto dall’inizio. Sembra che nei primi due giochi non fossi presente in campo. Ho cercato di restare con la testa sul campo e lottare ma non ha funzionato oggi.
D. Hai appena parlato che era forse un piccolo promemoria per rimanere concentrato. Puoi dirci qualcosa? Qual è il messaggio che porti con te?
SABALENKA: Ci saranno alcuni giorni in cui le vecchie abitudini torneranno e dovremo solo lavorarci per superarle. Non tutte le partite andranno per la tua direzione e servirai perfettamente. Quindi ricorda solo che va bene lottare. Va bene non giocare al meglio e continuare a combattere e continuare a usare tutte le armi di cui disponi. Oggi direi che sono molto delusa dal mio servizio, quindi ammetto di essere tornato a delle vecchie abitudini. Ho reagito in modo eccessivo per come stavano andando le cose, e non ero presente nei primi due giochi nel secondo set. Questo è ciò che intendo.
D. Non hai perso molte partite quest’anno. In effetti, si tratta solo della tua seconda sconfitta. Quasi come se non fossi più abituata a perdere, che è una buona posizione in cui trovarsi. Come gestirai la cosa? Quanto tempo ci vorrà per superarlo? Penserai molto a questa sconfitta?
SABALENKA: “Per me è abbastanza facile. Penso che rimarrà nella mia testa fino a domani, e domani voleremo verso Miami e lo dimenticherò (sorridendo). È positivo avere statistiche di questo tipo in stagione, ma non mi sto concentrando su questo. Sono situazioni che mi aiutano a rimanere concentrata e a continuare a vincere, a concentrarmi su me stessa e sul gioco e su ciò che devo fare in campo per continuare a vincere. È dura perdere, specialmente in finale. Sei ad un passo dal trofeo e perdi, ma lei è una grande giocatrice.
D. Nella tua mente ci sono uno o due punti che forse avrebbero potuto fare la differenza?
SABALENKA: Penso che sognerò questo stanotte. Fino a domani probabilmente penserò a questo perché c’erano così tanti punti che avrei potuto giocare meglio e nei quali avrei potuto gestirmi meglio. Servire per il set non dovrebbe mettere pressione su di me, perché ho un servizio potente. Dovrei servire al corpo e giocare al punto. Questa è solo un’altra lezione. Imparerò e tornerò più forte di prima.
D. Ovviamente la tua prima finale qui a Indian Wells. Ora si va a Miami. Ti senti più a tuo agio a giocare nelle condizioni che si trovano a Miami o qui ad Indian Wells?
SABALENKA: Non ricordo le condizioni a Miami, a dire il vero (sorridente). Avrò qualche giorno per capire se mi sento a mio agio o no. Questi tornei sono fantastici. Qui è il paradiso del tennis. Miami, è un altro paradiso. Un po’ diverso da qui. Vedremo come saranno i campi, spero di poter fare bene lì.
D. Quanto ti rende determinata questa sconfitta? Tra due settimane potresti giocare nuovamente una finale. Quanto ti senti positiva su questo?
SABALENKA: Penso che sia un bene. Non è bello perdere, ma penso che questa dura sconfitta mi motiverà di più, perché non mi piace perdere in finale. Andando a Miami, penso che sarò più motivata rispetto se fossi arrivata come vincitrice di Indian Wells. Spero che questa sconfitta mi aiuterà nelle prossime partite per rimanere concentrata e continuare a lavorare e combattere per un altro titolo in questa stagione.