Roland Garros: a bordo campo nella pandemia

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Roland Garros: a bordo campo nella pandemia

PARIGI – Impressioni dal nostro inviato allo Slam parigino

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Giudice di linea con mascherina (foto Twitter @Rolandgarros)
 

Dal nostro inviato a Parigi

Finalmente un torneo di tennis! Dal vivo, quello dove ti siedi a bordo campo e senti il rumore della palla, il “pof, pof” di panattiana memoria! D’accordo, qui a Parigi tra la pioggia, i campi bagnati e i pallettoni grossi e zeppi è più un “plof, plof”, ma dopo quasi sette mesi chi se ne importa!

Certo la gioia del ritorno è smussata dai protocolli sanitari, dal tampone da effettuare che è condizione necessaria per ottenere l’accredito, dalla mascherina da indossare sempre, comunque e ovunque, dalla consapevolezza di essere in una delle città più calde al mondo a questo punto della pandemia di COVID-19. Ma almeno si gioca, e a bordo campo ci siamo anche noi.

È dispiaciuto molto non essere andati allo US Open, che alla fine forse si è dimostrato un evento tenuto in condizioni di grande sicurezza. Forse perché la USTA, quando il 16 giugno aveva preso la decisione di procedere con l’organizzazione del torneo, pensava che avrebbero dovuto disputare l’evento in mezzo a un’apocalisse o giù di lì, e invece si sono ritrovati a metà agosto in una situazione relativamente tranquilla. Il Roland Garros, invece, era partito con l’intenzione di mettere in scena un torneo quasi normale (i primi proclami per l’edizione autunnale ambivano ad avere 20.000 spettatori al giorno e ai giocatori venivano offerte 21 scelte di hotel diversi per l’alloggio) e si è visto le sue ambizioni travolte dall’aumento di casi registrati in Francia che ha costretto a un numero di spettatori giornalieri limitatissimo.

Sì perché 1000 spettatori al giorno per uno Slam, soprattutto durante i primi turni, quando ci sono una ventina di partite in corso contemporaneamente, sono davvero pochi. E non avrebbero mai deciso di aprire i cancelli al pubblico se avessero saputo che la situazione sarebbe stata questa, perché dover mettere in moto tutta l’organizzazione di cancelleria esterna ed interna, servizi sanitari e servizi ausiliari per così poche persone probabilmente costa più di quanto non faccia guadagnare.

Ma per quelle 1000 persone è una pacchia: tantissimo spazio a disposizione, possibilità di spostarsi liberamente da un campo all’altro, andarsi a sedere proprio vicino al terreno di gioco, niente file per i bagni, niente file per i punti di ristoro (che a dire la verità sono pochini, ma tant’è), niente folla nei vialetti o nei vialoni, davvero un’esperienza più unica che rara.

Ovviamente tutto ha un prezzo: la mascherina deve essere indossata “en tous temps”, sempre e ovunque all’interno dell’impianto, eccetto che per quando si mangia o si beve. E la soluzione di bere e mangiare continuamente non è poi così praticabile. Non ci sono allenamenti su campi avvicinabili, dal momento che ai giocatori è fatto divieto di accedere all’impianto durante le giornate nelle quali non giocano, quindi le possibilità di incrociare gli atleti sono molto meno elevate. Poi naturalmente tutti rimangono a debita distanza, come è ormai accettato, per cui la pratica di selfie e autografi è di fatto quasi scomparsa.

La situazione rappresenta certamente una sfida per l’appassionato fisionomista, dato che è molto meno semplice riconoscere i vari campioni mentre indossano la mascherina: oggi più che mai è imperativo rispondere ai cenni di saluto a distanza anche se non si riconosce minimamente chi si è incrociato, pena la distruzione di rapporti faticosamente costruiti.

Per quel che riguarda noi rappresentanti dei media, l’ambiente è sorprendentemente familiare: a parte le onnipresenti mascherine, i gel lavamani e il distanziamento delle postazioni di lavoro (che ora sono spaziosissime), tutto è abbastanza simile a quanto succedeva prima che il mondo cambiasse l’inverno scorso. La differenza più sostanziale è rappresentata dall’impossibilità di parlare direttamente con i giocatori: tutte le conferenze stampa avvengono attraverso strumenti di teleconferenza (era Zoom allo US Open, è Microsoft Team al Roland Garros), nonostante le sale interviste principali siano proprio a pochi metri dalle postazioni di molti reporter. Si vedono tranquillamente i giocatori arrivare dagli spogliatoi ed entrare nelle sale interviste, li si vede seduti dal tavolo con i microfoni attraverso una parete a vetri trasparente (con eleganti vetrofanie del logo Roland Garros), ma bisogna parlare attraverso computer o telefono.

Dopo diverse settimane a parlare con i giocatori attraverso uno schermo ormai la procedura è diventata piuttosto consueta, e presenta anche qualche vantaggio non indifferente: se ci si trova su un campo e viene chiamata una conferenza stampa, non è necessario tornare fisicamente alla sala interviste ma ci si può collegare via telefono appena fuori dal campo. Un bel risparmio di tempo che consente di rimanere per più tempo vicino alle partite, dal momento che la possibilità di vedere i match dal vivo è l’unico vantaggio che si può godere quando si è presenti sul luogo del torneo.

MA ESISTE UNA BOLLA?

A livello di protocolli sanitari, non esiste la “bolla” come allo US Open: i giocatori e il loro staff sono testati a cadenze regolari ma non esiste un “contenimento forzato” come a New York. Gli hotel non sono ad uso esclusivo dei partecipanti al torneo, sono presenti altri ospiti e questo è stato motivo di preoccupazione per alcuni giocatori – Shapovalov in testa – che vedono le aree comuni, specialmente quelle ristrette come gli ascensori, come potenziali rischi di contagio.

Per quel che riguarda i rappresentanti dei media, è stato necessario fornire un test negativo (eseguito autonomamente prima della partenza o immediatamente all’arrivo a Parigi) per ottenere le credenziali, ed è necessario effettuarne uno ogni settimana. I rappresentanti della stampa italiana sono molti meno di quanto non accada di solito: alla fine saranno probabilmente quattro o cinque ad effettuare il viaggio a Parigi, con la maggior parte degli altri che hanno deciso di seguire il torneo da casa approfittando del collegamento fornito dalla Federazione Francese al sito media del torneo (con transcript delle interviste, statistiche dettagliate ed altre informazioni utili) e alle conferenze stampa.

Alla fine, comunque, ciò che importa è che si giochi e che lo si riesca a fare in sicurezza. Anche se bisogna stare mascherati per 14 ore al giorno, che pure con l’elegante mascherina Lacoste fornita dal torneo sono parecchie. Ma ci sono medici e infermieri che lo fanno per una vita, possiamo farlo anche noi.

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