Il lavoro nel Dna (Cocchi). Musetti dà spettacolo, è il suo primo quarto ATP (Mastroluca). Il colore del tennis (Carotenuto)

Rassegna stampa

Il lavoro nel Dna (Cocchi). Musetti dà spettacolo, è il suo primo quarto ATP (Mastroluca). Il colore del tennis (Carotenuto)

La rassegna stampa di venerdì 16 ottobre 2020

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Il lavoro nel Dna (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Sono gli eroi della «working class», dove “classe” è riferito allo straordinario talento tennistico di cui sono dotati, ma anche dall’ambiente da cui arrivano. Famiglie normalissime, mamme e papà che lavorano e si sacrificano per far crescere i loro piccoli campioni, senza caricarli di aspettative e pressione, ma educandoli all’applicazione e all’impegno. Jannik Sinner e Lorenzo Musetti sono i volti nuovi del tennis italiano, diversi dallo stereotipo del tennista figlio di famiglie altoborghesi. Jannik e Lorenzo conoscono da sempre il valore del sudore e del sacrificio, una lezione che hanno respirato in famiglia fin dalla nascita. Poca mondanità e tanto lavoro, oltre a una grande passione per lo sport che accomuna le due famiglie. Non hanno iniziato in club alla moda, ma al tennis del paese. Musetti al Circolo Polizia Municipale di Carrara, Jannik a Ortisei. Sinner ha il papà cuoco e la mamma cameriera in un rifugio della Val Fiscalina. Il papà di Lorenzo lavora in una cava di marmo a Carrara, la mamma è impiegata part time. Chilometri avanti e indietro per portare i figli a lezione di tennis come fanno migliaia di famiglie ogni anno. Dalle loro fatiche sono sbocciate le soddisfazioni più grandi: due giovani campioni, umili, amatissimi, predestinati. Sinner, fresco di top 50, arriva da Sesto Pusteria. Il papà Hans Peter lo ha avvicinato allo sport ma sono rarissime le occasioni in cui mamma e papà Sinner si mostrano col figlio. Sempre presenti in termini di affetto, di incoraggiamento, di supporto, non si immischiano nelle faccende di Jannik, soprattutto quelle economiche. Riccardo Piatti, il tecnico che lo segue a Bordighera da quando aveva 13 anni, lo ripete come un mantra: «Gran parte del carattere e delle qualità di Jannik derivano dalla famiglia. Che lo ha educato all’importanza e alla cultura del lavoro fin da quando era bambino. Le prime volte che perdeva una partita e chiamava la mamma per ricevere conforto, veniva subito inquadrato: “Guarda che e solo una partita di tennis, qui stiamo lavorando non c’è tempo per queste cose”». Uno degli episodi più emblematici lo ha raccontato Jannik stesso: «Quando giocavo i Challenger, spesso mi ritrovavo senza racchette perché rompevo le corde, allora per risparmiare ho chiesto a mio padre se poteva comprarmi una macchina incordatrice. Lui era dubbioso, non voleva che fosse un capriccio, ma io gli ho spiegato che per un tennista incordarsi le racchette e come per un cuoco come lui saper fare sia la pasta che il sugo. E allora si è convinto». […] A casa Musetti, invece, non si contano più i chilometri sulla Panda a metano di mamma Sabrina. Terminato l’orario d’ufficio, scatta quello della madre-autista: avanti e indietro da Carrara a Spezia, ogni giorno, 37 km andata e ritorno per portare Lorenzo ad allenarsi con Simone Tartarini. A trasmettere la passione della pallina gialla a Lorenzo, però, è stato il papà Francesco, nello scantinato della nonna: «Mi piaceva il tennis e l’ho portato, certo nessuno è partito con l’idea di farne un campione. Adesso la sua vita è cambiata, ma io desidero e spero, assieme a sua madre, di averlo educato all’umiltà e alla semplicità». Spesso, mentre Lorenzo gioca, il padre e occupato nella cava di marmo dove lavora a Carrara: «Non posso tenere il telefono acceso per seguire la partita — racconta — e spesso sono i colleghi ad avvisarmi se ha vinto o com’è andata». E così che Lorenzo ha costruito la sua solidità mentale, imparando dai genitori, sacrificio e dedizione senza farsi trascinare dall’entusiasmo dei soldi facili. […]

Musetti dà spettacolo, è il suo primo quarto Atp (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

La prima volta di Musetti, il ritorno di Marco Cecchinato. Il vento che caratterizza la giornata di Pula spinge i due azzurri verso i quarti di finale al Forte Village Sardegna Open. Il carrarese, che aveva disputato il doppio con Fognini, risultato positivo al Covid-19, ha saputo già nel tardo pomeriggio di mercoledì di non essere stato contagiato. La sfida che lo proietta verso il suo primo quarto di finale Atp non ha storia: 6-2 6-1 contro un Andrea Pellegrino teso e falloso in meno di un’ora di partita. «Ho giocato tutti i punti come fosse il primo. Nonostante le condizioni difficili sono riuscito a governare sempre lo scambio» ha spiegato Musetti, che per un posto in semifinale sfiderà il tedesco Yannick Hanfmann, che ha dominato a sorpresa il norvegese Casper Ruud. La prossima sfida gli offrirà una misura ulteriore dei progressi compiuti e di quelli ancora da compiere. Bella vittoria anche per Marco Cecchinato contro il 23enne statunitense Tommy Paul, ex campione junior del Roland Garros. Nel primo set, il siciliano ha subito la rimonta di Paul da 5-2 a 5-5, ma nel tie-break non c’è stata storia. Un break in avvio del secondo set ha lanciato Cecchinato verso il 7-6 6-4, il primo quarto di finale Atp da aprile 2019 e il ritorno garantito nella Top 100 mondiale. «Ci tenevo tanto a vincere e a tornare in Top 100 – ha detto nell’intervista post-match – Ho lavorato tanto e secondo me molto bene con Massimo Sartori. Spero di poter chiudere questa stagione difficile ancora tra i primi cento». Cecchinato affronterà il mancino spagnolo Albert Ramos.

Il colore del tennis (Angelo Carotenuto, La Repubblica – Venerdì)

C’è quasi tutto nel nuovo tennis italiano baciato in fronte dal futuro dopo quarant’anni di attesa. C’è il top 10 che gioca al Masters come Matteo Berrettini. C’è il predestinato che vale presto uno primi cinque posti al mondo come Jannik Sinner, a 19 anni e un mese ai quarti di finale del Roland Garros. C’è dietro di lui un altro teenager in ascesa, Lorenzo Musetti, così nei paraggi dei primi 100 da fare dell’Italia il solo Paese con due Under 20 tanto in alto. C’è il veterano che pratica l’arte della fantasia come Fabio Fognini, giudicato dal New York Times il braccio più ingolfato di qualità dopo Roger Federer. C’è anche la piccola rinascita del movimento femminile, con Martina Trevisan che a Parigi ha riscattato la flessione seguita al ritiro della generazione Schiavone-Pennetta-Vinci. C’è quasi tutto insomma nel nuovo tennis italiano. Eccetto la Nuova Italia. I figli dell’immigrazione stanno arricchendo e scompaginando allo stesso tempo le scuole tecniche di mezzo mondo. Ventiquattro anni fa il carpentiere Frances Tiafoe e sua moglie Alphina sono scappati dalla guerra civile in Sierra Leone. Hanno vinto una green card per gli Usa, lui s’è messo a fare il custode di un campo da tennis e lei l’infermiera, così il loro bambino, Frances jr, oggi 22 anni, gioca con il passaporto americano e con una classifica intorno al numero 50 al mondo. Oppure ci sono i fratelli Ymer, Elias e Mikael, 26 e 22 anni, figli di un immigrato etiope in Svezia, la nazione di Edberg, Borg e Wilander, che solo tre anni fa non aveva neppure un partecipante agli US Open, neppure un giocatore fra i primi 100. Il Canada è l’epicentro mondiale di questo tennis scosso e reso più vitale dagli immigrati. La legge sull’immigrazione ha portato tra Montréal e Toronto 2 milioni di stranieri fra il 1996 e il 2006. Il 52% della popolazione e il 66% degli studenti di Toronto sono immigrati. La Nazionale di tennis ha giocato nel novembre del 2019 la finale di Coppa Davis contro la Spagna con due ragazzi speciali. Uno è Denis Shapovalov, nato a Tel Aviv da madre ebrea russa e da un uomo d’affari israeliano, ma poi cresciuto a Toronto da quando aveva nove mesi, l’altro è Félix Auger-Aliassime, nato a Montréal e cresciuto in un sobborgo di Quebec City, figlio di Sam, venuto dal Togo. Il terzo, lasciato a casa per un infortunio, è Milos Raonic, figlio di due ingegneri emigrati da Podgorica, Montenegro. Ci sono nazioni per le quali il processo è stato più naturale. La Francia, il Paese di Yannick Noah, figlio di un calciatore del Camerun, ha sperato a lungo di trovare il suo erede in Gaël Monfils, madre della Martinica, padre della Guadalupa, oppure in Jo-Wilfried Tsonga, figlio di un ex giocatore di pallamano originario del Congo, professore di fisica e di chimica. Gli Usa si sono goduti la loro grande rivalità negli anni Novanta tra un ragazzo di origini greche (Pete Sampras) e il figlio di un pugile iraniano (Andre Agassi). Cos’è che allora impedisce al tennis italiano di intercettare una nuova generazione di nuovi ragazzi italiani? Primo: i luoghi di reclutamento. Secondo: la concorrenza di sport più accessibili. Terzo: c’è bisogno di tempo. CAMBIO DI STRATEGIA Michelangelo Dell’Edera è il direttore dell’Istituto Superiore di Formazione “Roberto Lombardi”, la stanza della regia nella quale è stata pensata la trasformazione dei metodi di sviluppo del tennis italiano all’origine del rinascimento. «Ci siamo posti» spiega «un paio di obiettivi. Che ragazzi di talento fossero affiancati da insegnanti di talento e che il processo di formazione fosse continuo». […] Il tennis italiano ha dovuto ricominciare da zero o quasi, adottando un modello simile a quello che ha fatto la fortuna di Spagna e Francia. Ora aspetta di raccogliere i frutti di una seconda fase, partita cinque anni fa con il progetto chiamato Racchette in Classe e pensato per le scuole. È quello il luogo nel quale si può cambiare verso al reclutamento. E lì che hanno trovato un nuovo tessuto sociale e tecnico la pallavolo — soprattutto femminile — e l’atletica leggera. […] Il tennis si rivolge a 100 mila bambini delle scuole primarie. Offre borse di studio a chi mostra «spiccate doti motorie e ottimi dati antropometrici». […] Per allargare la propria platea, il progetto scolastico non prevede barriere economiche all’ingresso. Un corso di mini-tennis costa intorno ai 400 euro ma è coperto dalla borsa di studio, il materiale è incluso perché viene sconsigliato l’acquisto precoce di una racchetta per un bambino. Sarà fornita dalla scuola tennis.

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