Jannik Sinner: “Una finale è sempre speciale. Sono io a mettermi pressione perché voglio arrivare”

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Jannik Sinner: “Una finale è sempre speciale. Sono io a mettermi pressione perché voglio arrivare”

“Non vedo l’ora di giocare domani”, dichiara Sinner in conferenza dopo aver raggiunto la sua prima finale nel circuito maggiore. Sfiderà Pospisil. “C’è gente che parla, ma non è che li ascolto tanto”

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Jannik Sinner - Sofia 2020 (foto Ivan Mrankov)
 

Con la vittoria contro Adrian Mannarino, Jannik Sinner si è regalato la sua prima finale ATP. Un ulteriore passo in avanti, una nuova tappa nel percorso di crescita del diciannovenne altoatesino. “Arrivare in finale è una bella sensazione, ne sentivo la mancanza” spiega Jannik. “Anche se erano a livello Futures, Challenger o magari Next Gen, una finale è sempre qualcosa di speciale. Quando ci arrivi, cerchi di giocare il tuo tennis migliore, anche se non è così facile perché aumenta la pressione. Cercherò di entrare in campo al meglio e vedremo come va. È un bene giocare la mia prima finale già quest’anno, nell’ultimo torneo, cercando di terminare nel miglior modo possibile. Per questo non vedo l’ora di giocare domani. Alle ore 14, il match andrà in diretta anche su Rai 2.

Un incontro, quello con il francese, preparato e gestito con particolare attenzione, che ha anche richiesto aggiustamenti in corso d’opera. Sinner si è fatto trovare pronto di fronte alle difficoltà proposte da Mannarino:“Ovviamente, si va in campo con un piano, cercando di fare le cose che vorresti. Poi è possibile che cambi qualcosa. Lui stava servendo bene, dovevo capire come riuscire a rispondere. Ha un ottimo rovescio, arriva molto piatto e devi sempre scendere con le ginocchia. È stato anche un match un po’ fisico. Hai un piano ma devi capire come gestire la situazione e penso di esserci riuscito bene oggi. Mi sentivo bene da fondocampo anche se lui ha una palla difficile, ma in qualche modo l’ho tenuta sotto controllo. Quando l’ho brekkato, da destra ho indietreggiato la mia posizione in risposta, mentre mi sono avvicinato dal lato del vantaggio per tagliare l’angolo perché stava servendo slice incredibili. Insomma, si tratta di trovare una soluzione in ogni match e credo che oggi sia stata quella la chiave.

Il direttore Scanagatta gli domanda che cosa significhi arrivare in una finale ATP. Si comincia sognando Wimbledon, ma bisogna fare un passo dopo l’altro e lui ne stai facendo a ripetizione, velocissimi. “È una cosa che viene dall’allenamento. Lavori per vincere e quando vinci dei match, beh, devi sempre aver fiducia nel metodo. Potevo arrivare in finale prima o magari anche dopo. Sicuramente sono molto felice, soprattutto per poter giocare un altro incontro quest’anno. È la mia prima finale ATP, sicuramente un’altra esperienza che posso portare a casa. Ci saranno sicuramente cose positive domani, ma potranno anche essere negative. Vedremo contro chi e come giocherò. Intanto, provo a prepararmi al meglio”. Il suo avversario sarà Vasek Pospisil, che ha fiaccato le resistenze di Gasquet in semifinale.

Durante questa settimana, la prima di servizio non è entrata con grande continuità. Appena metà delle volte oggi, ma secondo Jannik la questione va analizzata sia in prospettiva futura, sia nelle situazioni specifiche. “Per dire che servo bene ci vogliono anni, ci saranno partite in cui servo meglio e altre in cui servo peggio. Sicuramente è importante la percentuale [di primi servizi] e tutto quanto, ma è anche importante quando li metti e alla fine nei momenti importanti in qualche modo li ho messi. Poi, 51%, sì, siamo d’accordo che dobbiamo migliorare. Oggi non era facile, perché lui rispondeva molto bene, molto vicino e dovevo trovare un modo. Ho provato sempre a cambiare, anche se ancora non sono tanto abituato, ma l’80% di punti vinti sulla prima è abbastanza alto. Porto sempre con me le cose positive e proviamo a lavorare su quelle negative”.

Jannik Sinner – Sofia 2020 (foto Ivan Mrankov)

Uno dei problemi che un tennista non ancora ventenne si trova ad affrontare quando comincia a esprimersi su questi livelli è senza dubbio la pressione, visto che addetti ai lavori e appassionati si aspettano risultati sempre più importanti, una sorta di impossibile linea retta che deve obbligatoriamente puntare velocissima verso l’alto. Sono io il primo a mettermi pressione perché voglio arrivare. C’è gente che parla, ma non è che li ascolto tanto. Per quello che c’è il mio team che mi spiega anche cose nei momenti difficili. Sono venuto qua con l’idea di poter andare lontano. È stata importante la vittoria al primo turno contro Marton Fucsovics, perché ci avevo già perso e non è stato molto semplice. Quando sono arrivato, non avevo buone sensazioni, ma in partita ho giocato bene e quindi la fiducia in tutto è salita”.

Dopo la vittoria Next Gen di un anno fa, una nuova finale ancora in novembre, quindi. Ma ci sono differenze rispetto al 2019, anzi “è totalmente diverso. Mi piaceva giocare a Milano con gli italiani a guardare. Anche il campo e le palle sono diversi, ma mi devo abituare alla situazione. Non è semplice cambiare sempre posto. La cosa più importante è che mi sento cresciuto in tutto: fisicamente, mentalmente, come colpi. Qualche volta non riesci a farlo vedere in partita, però dentro di te lo sai. È la personalità che metti in campo, la fiducia che hai dentro. Per un giocatore è fondamentale. Poi ci sono giornate in cui ci riesci bene e delle giornate in cui magari fai fatica”. A proposito di difficoltà, ammette le proprie quando “c’è uno stop, come quest’anno con la pandemia o all’inizio della stagione, ma proviamo a far meglio l’anno prossimo”.

Il break che ha deciso il secondo set e il match è arrivato anche grazie a un gran passante e a un recupero disperato, ma Sinner preferisce un approccio più generale: Non ho vinto perché ho fatto quel colpo o quell’altro, ma perché ho cambiato la posizione in risposta. Poi, sì, ho fatto quel punto sulla palla break con un po’ di fortuna, ma avevo comunque altre due opportunità. Non dico che le avrei sfruttate, ma sicuramente avevo trovato la soluzione migliore per dopo, nel tie-break o nel terzo set. Certo, esci dal campo dicendo all’allenatore ‘hai visto quel passante?’, però per me non è quello lo scopo di una partita”.

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