Tra i segreti di Medvedev, il parere del data analyst: "A Bercy più fortuna che merito dei numeri"

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Tra i segreti di Medvedev, il parere del data analyst: “A Bercy più fortuna che merito dei numeri”

Prima parte della chiacchierata con Fabrice Sbarro, esperto di numeri e artefice di molti dei successi di Medvedev. “Non voglio criticare Nadal, ma tagliare contro Daniil non era l’opzione migliore”

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Fabrice Sbarro
 

Durante i tempi duri del primo lockdown, abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Fabrice Sbarro, l’analista di fiducia di Gilles Cervara, coach di élite nel circuito maschile e allenatore storico di Daniil Medvedev. Potete rileggere la prima intervista a questo link, mentre se volete approfondire il lavoro di Sbarro fate un salto sul suo sito internet.

A fine 2020 abbiamo pensato di ricontattare Fabrice per fare un recap dell’anno appena concluso, e ne abbiamo ricavato anche questa volta diversi spunti interessanti. Prima di tutto, eravamo curiosi di saperne di più sul finale d’anno scoppiettante del russo, che ormai sembra pronto a vincere uno Slam; l’interessante cronistoria degli ultimi match del 2020 di Medvedev trova spazio in questa prima parte. Nella seconda parte, che verrà pubblicata nei prossimi giorni, abbiamo discusso di giovani stelle in ascesa come Felix Auger-Aliassime e Jannik Sinner.

Prima di partire, un piccolo riepilogo delle puntate precedenti: il periodo che va dall’estate 2019 alla fine del 2020 è stato un periodo di montagne russe per Medvedev, che possiamo riassumere più o meno in tre fasi, anche rispetto al tipo di utilizzo dei dati statistici:

 
  • La prima fase va da Montreal a Shanghai 2019, quando Daniil sembra praticamente inarrestabile, e infatti l’unico in grado di sbarrargli la strada è Nadal, che specie nella finale dello US Open deve letteralmente svuotare le tasche e tirare fuori tutto quello che ha per battere il giovane russo. In questo periodo, Fabrice aiuta Cervara nella preparazione dei match in modo molto lineare.
  • La seconda fase va da Parigi-Bercy 2019 al lockdown. In questo periodo gli stimoli sono ormai troppi e impediscono a Daniil di seguire i piani di gioco determinati a tavolino, come invece era successo nel corso dell’estate 2019. Fabrice collabora in pratica solo con analisi ex post. In occasione della sconfitta all’Australian Open, “non stava eseguendo il game plan, stava improvvisando sulla base di quello che gli passava per la testa in quel momento” – dichiara Fabrice. È un periodo di burn out mentale per il russo, costretto a fare i conti con la pressione derivata dai grandi risultati ottenuti.
  • La terza fase, che va dalla ripresa del gioco ad oggi, è un mix di match preparation e di analisi ex post. La preparazione dei match non è più riconoscibile in campo come all’inizio, ma senza dubbio Gilles Cervara ha ormai incapsulato gli input statistici nella sua preparazione dei match per il tennista russo: “Non posso dire adesso cosa deriva puntualmente dalle statistiche; all’inizio era tutto molto riconoscibile, adesso il processo va visto nella sua globalità”.

Per chiudere questa premessa, possiamo dire che quando si è ripreso a giocare le statistiche erano ancora parte integrante del processo di coaching di Medvedev. A fine 2020 qualcosa si è acceso; andiamo allora a vedere in dettaglio cosa è successo con le parole di Fabrice.

“Ho il mio punto di vista, come Gilles Cervara o Daniil Medvedev. Posso dirti come la penso come analista di dati dietro le quinte. Iniziamo con Bercy, per rendere le cose più facili, analizzando partita per partita. Prima di Bercy Daniil non era in buona forma. Ha perso al primo turno in un paio di tornei. Non era davvero sicuro di sé. A Bercy ha ricevuto un bye al primo round e poi ha dovuto affrontare Kevin Anderson al secondo round, e Kevin lo aveva appena battuto a Vienna; ok, ci siamo detti ‘non è un buon sorteggio. Se Kevin lo ha battuto a Vienna, ha la possibilità di ripetersi anche a Bercy’. Penso che in questa partita Daniil sia stato un po’ fortunato perché Kevin si è fatto male e ha dovuto abbandonare sul 6-6 nel primo set“.

“Quella che pensavo sarebbe stata una partita molto difficile, all’improvviso è diventata una passeggiata” continua a raccontare Sbarro. “In questo primo match le statistiche non hanno influito. Poi, nella seconda partita Daniil è andato sotto di un set contro de Minaur; all’improvviso Daniil ha vinto il secondo e il terzo set, 6-2 6-2. De Minaur non giocava più a tennis, non sappiamo neanche cosa sia successo. Non voglio sminuire le statistiche perché sono un vero sostenitore, ma c’è da essere onesti. Di solito, un buon piano di gioco dovrebbe aiutarti di più all’inizio di una partita; in quel caso sembrava che de Minaur potesse vincere in due set ma all’improvviso ha smesso di giocare a tennis. In questo caso, per me è più fortuna. Certo, Daniil non stava giocando male ma possiamo dire che le prime due partite di Bercy non hanno avuto nulla a che fare con le statistiche dal mio punto di vista”. Anche chi si guadagna da vivere con i numeri, è costretto ad ammettere l’impatto decisivo del caso in alcune situazioni di gioco.

“Nei quarti di finale Medvedev ha giocato contro Schwartzman. Diego aveva conquistato il giorno prima la matematica qualificazione alle Finals, un traguardo per lui storico. Praticamente non è sceso in campo, non c’è stata assolutamente partita e Daniil ha vinto in due set 6-1, 6-3. Ancora una volta, le statistiche non sono servite a granché in questi successi. Poi c’è stata la semifinale contro Raonic, che aveva appena battuto Hugo Humbert 7-6 al terzo. Non era fresco contro Daniil: non sto dicendo che fosse infortunato, semplicemente risentiva della battaglia del giorno prima. Per fronteggiare Milos avevamo delle strategie e penso che abbiano funzionato più o meno, ma ancora una volta ci tengo a sottolineare che Raonic non era fresco”.

Si giunge poi alla finale contro Zverev: “Sascha ha giocato davvero bene nel primo set ed è andato avanti nel punteggio. Il secondo set è stato fantastico e si sono intraviste alcune cose che avevamo preparato e hanno funzionato. Forse Daniil ha iniziato a cambiare le cose da solo, penso sia più venuto dal giocatore che dalle statistiche. Recuperare un set di svantaggio è stato merito della tenacia di Daniil, è stato bravo a dare tutto e portarla al set decisivo dove Zverev è rimasto senza benzina. Aveva giocato il giorno prima contro Nadal ed è crollato”.

“Questo è il torneo di Parigi-Bercy”, riassume Fabrice. “La fortuna ha giocato un ruolo decisivo, e anche la forza mentale di Daniil quando era in svantaggio. Certo, ogni partita è preparata con le indicazioni di Gilles, ma non era così ovvio come tra Montreal e Shanghai nel 2019. Come ho detto prima, il processo di preparazione è adesso più sfaccettato, anche se le statistiche rimangono una componente. È come lavorare con un fisioterapista, che è lì tutti i giorni. Ma non si può dire che un risultato sia direttamente dovuto alla fisioterapia; è un processo globale e durante il torneo di Bercy per me è stata più fortuna e forza mentale che merito delle statistiche.

Daniil Medvedev – Bercy 2020 (via Twitter, @RolexPMasters)

IL CAMMINO TRIONFALE DI LONDRA

Dopo Parigi-Bercy, sono arrivate le Finals di Londra e la magia è continuata: “Daniil è entrato nel Master con fiducia. L’anno precedente era arrivato cotto. Aveva giocato troppo mentre quest’anno era totalmente fresco perché non aveva giocato molto, e in secondo luogo aveva appena vinto un master 1000 a Parigi-Bercy: quindi era arrivato con una miscela di fiducia e freschezza, racconta Sbarro, che poi inizia ad analizzare le singole partite giocate da Medvedev a Londra.

“Ancora una volta Daniil ha giocato contro Zverev e lo ha battuto. Conoscevamo il piano; sapevamo esattamente cosa fare dopo Parigi-Bercy. Poi è stato il turno di Djokovic, ma il serbo chiaramente non era mentalmente al 100%. Infine l’ultima partita del girone è stata contro Schwartzman, che era già fuori dal torneo. E quindi sono arrivate la semifinale e finale: abbiamo preparato molto con Gilles Cervara queste due partite e avevamo delle strategie che hanno funzionato davvero bene. Dal punto di vista statistico posso parlare meglio di semifinale e finale, perché le altre partite non sono state combattute”.

“La semifinale era contro Nadal e sapevamo che con Rafa dovevamo giocare di più sul suo diritto. Sapevamo che quando giochi di più contro il suo diritto e lo attacchi da quella parte – specialmente nei campi indoor – i suoi numeri non sono buoni come quando giochi contro il suo rovescio. Quindi sapevamo più o meno che Daniil doveva andare un po’ di più sul dritto di Nadal e attaccarlo quando se ne presentava l’occasione. Penso che sia stata una delle cose che ha funzionato”.

Sbarro prosegue poi analizzando la tattica usata da Nadal: “La maggior parte dei giocatori contro Medvedev pensa di dover giocare lo slice sul suo rovescio. Voglio dire, questo non è ovvio e ne parliamo con Gilles da un anno e mezzo. E ogni volta dico a Gilles che giocare lo slice in un scambio dà risultati in media solo nel 46% dei casi, al di sotto della barriera del 50%; quindi perfetto, non c’è bisogno di farsi prendere dal panico: se gli avversari vogliono giocare tagliato contro Daniil, lasciamoli fare. E il piano di gioco di Nadal era quello di usare lo slice di rovescio ed è divertente quando vedi che l’avversario sta adottando una strategia che non funziona. Quindi, non voglio criticare Nadal, che è una delle migliori menti tattiche del tour, ma tagliare contro Daniil non era l’opzione migliore. Anche se Nadal avesse vinto, lo slice di rovescio non sarebbe stata la chiave della partita. Sarebbe stato qualcosa di negativo ma lo spagnolo avrebbe compensato e vinto in altri modi. Quindi per quanto riguarda la semifinale questa era la strategia che ha funzionato, e ancora una volta è emersa la forza mentale di Daniil”.

“Il bello di lavorare a lungo con lo stesso giocatore è che si inizia ad avere una base dati composta da tante partite e si possono riprendere i vecchi match per sapere qual è la storia. Conoscevamo tutta la storia con Nadal perché Daniil aveva giocato contro di lui a Montreal, nella finale degli US Open e l’anno prima al Master, quando tra l’altro era avanti 5-1; di conseguenza, quando ho preparato la partita contro Nadal, ad esempio, ho messo insieme tutta la serie storica e ho visto cosa aveva funzionato per Daniil e cosa non aveva funzionato. E questo fa parte della mia preparazione per la partita. Prendere vecchie partite contro l’avversario per vedere se c’erano alcune cose specifiche che funzionavano”.

Medvedev giunge così alla finale contro Dominic Thiem: “Contro l’austriaco è stata un po’ la stessa cosa. Avevamo molte partite contro Dominic, in particolare la più recente, la semifinale dello US Open. Abbiamo preso questa partita come riferimento principale e sono emerse due cose: 

  1. Daniil doveva essere più aggressivo in risposta, non tanto sulla prima dove riceveva molto arretrato, quanto sulla seconda per dare meno opportunità a Thiem di dominare i punti direttamente con la sua potenza; quindi uno dei piani di gioco era prendere un po’ più di rischio in risposta sulla seconda; 
  2. trarre insegnamento dalla semifinale degli US Open in cui penso che Daniil abbia giocato l’85% di colpi incrociati di rovescio. Ma quel 15% lungolinea all’epoca aveva funzionato, quindi il piano di gioco per la finale del Master era anche quello di andare di più con il rovescio lungolinea per attaccare Thiem sul suo diritto. Thiem è quello che io chiamo un ‘pouncher’ (picchiatore). I pouncher sono giocatori con un buon diritto, che non amano essere attaccati sul loro punto forte. Con Nadal in semifinale era un po’ lo stesso; certo, se giochi l’intera partita sul dritto di Nadal o Thiem verrai distrutto, ma se li sorprendi di tanto in tanto con un attacco sul dritto è un’altra cosa, e questa strategia penso abbia funzionato bene in finale”. 

“Non dimentichiamo però che Thiem è stato avanti di un set”, ammette Sbarro. “Per questo motivo non sottovaluterei la tenacia mentale di Daniil e la fiducia che ha ottenuto dalla vittoria di Parigi-Bercy. E poi forse le statistiche lo hanno aiutato in qualche punto strategico”.

Sbarro conclude ripensando al 2019 e al periodo trascorso tra Montreal e Shanghai: Le statistiche in quel caso hanno avuto sicuramente più peso. Oggi, onestamente, non le metterei al primo posto. Come ho già detto nella prima fase era diverso, l’ho potuto vedere. Credo che abbiano aiutato molto più di adesso. Ora le statistiche fanno parte di un processo, fanno parte della mentalità di Gilles e di questa squadra. Come sai, non sono più nel team di Medvedev, sono solo una parte del team di Gilles. Forse nel 2021 tornerò a far parte in pieno anche del team di Daniil, ma per il momento ancora no”.

Nel futuro di Fabrice Sbarro – e forse già nell’immediato futuro – sembrano esserci altri progetti. L’analista ha già fatto sperimentare i suoi servigi a Felix Auger-Aliassime, ma spera di poter fare lo stesso con un giovane tanto rossiccio e dinoccolato quanto pieno di talento: “Mi piacerebbe avere la possibilità di mostrare il mio lavoro alla squadra di Sinner“, ci ha raccontato Fabrice. Ma di questo, e del suo parere sul processo di crescita di Jannik, parleremo nella seconda parte dell’intervista.

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ATP

Murray pensa ai Giochi Olimpici di Parigi: “Voglio dimenticare l’edizione del 2021”

Nel mirino di Andy Murray quella che sarebbe la sua quinta partecipazione ai Giochi: “Mi piacerebbe avere un’altra occasione”

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Andy Murray – Coppa Davis 2023 (credit: Getty Images for ITF)

A riportare la mente alle ultime Olimpiadi, ci si sofferma sulla finale olimpica di Wimbledon del 2012. Andy Murray batte Roger Federer con un netto 6-2, 6-1, 6-4: che sia stato merito dello scozzese o demerito dello svizzero stremato dalla semifinale con Del Potro durata 4ore e 26’, sarà una medaglia d’oro indimenticabile.

Undici anni dopo, Federer continua a bazzicare il suo giardino reale, Wimbledon, ma dagli spalti, Murray continua a regalare emozioni ai suoi fan. Attualmente si trova in Cina a Zhuhai dove ha esordito battendo al primo turno Ye Cong Mo, n.668 del ranking.

In conferenza stampa Sir Murray ha dichiarato di nutrire speranze di partecipazione a quelli che sarebbero i suoi quinti Giochi Olimpici: “Mi piacerebbe davvero partecipare ad altre Olimpiadi. Ho avuto esperienze entusiasmanti durante la mia carriera ai Giochi Olimpici. Ho amato tutte le edizioni alle quali ho preso parte”.

 

Il palmares olimpico di Murray è fin qui straordinario: due medaglie d’oro nel 2012 a Londra e nel 2016 sul cemento di Rio de Janeiro. Nel 2021 fu grande la delusione per il suo forfait obbligatorio nel torneo singolare dettato da uno stiramento alla coscia avvenuto prima dell’avvio dei giochi olimpici. Recuperò in fretta ma fu costretto a fare una scelta tra i due tornei di singolare e di doppio. Una promessa fatta a Salisbury gli aveva fatto optare per l’iscrizione al torneo di doppio: arrivarono sino ai quarti. Che fosse storia finita con i Giochi Olimpici? Su twitter si era lasciato andare a un lungo tweet nel quale dichiarava: “Se questa è la fine del mio viaggio a cinque cerchi, voglio ringraziare di cuore la squadra della Gran Bretagna e tutti voi per il supporto: mi avete aiutato a dare il massimo in questi anni. È stato un privilegio assoluto rappresentare il mio Paese a quattro Olimpiadi e mi ha regalato alcuni dei ricordi più belli della mia vita”.

Ora, a distanza di due anni, la pena diversamente e vuole cancellare la delusione patita nell’edizione 2021, nota perché disputata in piena pandemia: “L’ultima volta sono rimasto molto deluso perché mi ero infortunato prima del torneo e avevo promesso al mio compagno che in caso di problemi avrei dato priorità al doppio rispetto al singolare. Ed eravamo arrivati vicinissimi alla medaglia: nei quarti eravamo avanti un set e 4-3, al servizio con palle per il game e avevamo davvero una buona occasione, ma non ce l’abbiamo fatta. Mi piacerebbe avere un’altra opportunità di giocare l’anno prossimo a Parigi. Sarebbero i miei quinti Giochi Olimpici e molto probabilmente gli ultimi”.

Per Murray al secondo turno dell’ATP 250 di Zhuhai ci sarà la sfida con Karatsev che aveva eliminato Arnaldi nel primo turno.

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Flash

WTA Finals: Sabalenka, Swiatek, Gauff e Rybakina già qualificate

La WTA finalmente annuncia le prime qualificate al torneo di fine anno in programma a Cancun dal 29 ottobre. Coco Gauff si è garantita la partecipazione anche in doppio con Jessica Pegula

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Aryna Sabalenka - Australian Open 2023 (foto Twitter @wta)

Aryna Sabalenka parteciperà alla sua terza edizione di fila delle Finals. Il suo miglior risultato rimane quello dell’anno scorso quando arrivò in finale. La venticinquenne bielorussa ha disputato la miglior stagione della sua carriera, vincendo il suo primo Slam di singolare, l’Australian Open, oltre al WTA 1000 di Madrid e il WTA 500 di Adelaide. Nello score stagionale anche tre finali perse, a Indian Wells, a Stoccarda e allo US Open.
Questi risultati le hanno dato il trono n. 1. nel ranking femminile.

Terza presenza alle WTA Finals anche per Iga Swiatek: deve cancellare l’eliminazione in semifinale dell’anno scorso. Quattro i titoli vinti nel 2023 dalla campionessa polacca. Ha trionfato nuovamente al Roland Garros, al WTA 500 the Qatar TotalEnergies Open di Doha e il Porsche Tennis Grand Prix di Stoccarda. In più ha portato a casa il titolo di Varsavia nel WTA 250 BNP Paribas. Vanta un fantastico record di 56 vittorie e 10 sconfitte quest’anno nel Tour.

Gran colpo dell’americana Coco Gauff che si è qualificata per le Finals nel torneo singolare e in quello di doppio. Partecipa alle Finals per la seconda volta. Quattro i titoli vinti quest’anno: ad Auckland e poi nel corso di una fantastica estate dove ha trionfato al WTA 500 Mubadala Citi DC Open di Washington DC, al WTA 1000 Western & Southern Open di Cincinnati e poi il trionfo nel suo primo Slam della sua carriera allo US Open, salendo al n. 3 nel ranking.

 

Elena Rybakina, invece, sarà la prima donna kazaka a far parte delle WTA Finals. I successi di quest’anno vanno dal titolo ottenuto a Indian Wells a quello di Roma. Ha raggiunto la finale all’Australian Open e a Miami.

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ATP

Il team di Sinner si racconta: “Ognuno svolge il suo compito con estrema serietà. Il più competitivo? Jannik senza dubbi”

In un video-intervista all’ATP il team del tennista altoatesino si racconta a tutto tondo, da come svolgono il proprio lavoro al rapporto tra i membri della squadra, per finire con un ritratto di Sinner atleta ma anche persona

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Jannik Sinner - US Open 2023 (foto Twitter @usopen)

Il tennis, espressione massima della solitudine nel proprio palcoscenico, è ormai da molti anni descritto dalla totalità dei giocatori del circuito ATP e WTA come uno sport certamente individuale, ma nel quale il team è la colonna portante dell’intera struttura. Dal coach al super coach, dal fisioterapista al mental coach, dal preparatore atletico al manager. Tutti ingredienti fondamentali dietro le quinte – o meglio, nel famoso ‘box’ a bordo campo molto inquadrato dalle telecamere e osservato, chi più chi meno, dai giocatori in campo – che possono rendere un tennista il tennista, capace grazie alla propria forza di volontà e a tutti questi tasselli nel background di raggiungere, o meno, il successo e i propri obiettivi. La storia del tennis è colma di coach che hanno fatto la differenza: da Toni Nadal mentore di suo nipote Rafa, da Patrick Mouratoglou allenatore per un decennio di Serena Williams, per poi arrivare ai colori azzurri con Andreas Seppi e Massimo Sartori, Lorenzo Sonego e Gipo Arbino, Lorenzo Musetti e Simone Tartarini, per concludere con Jannik Sinner e…

Questo è un capitolo bello corposo da trattare: il team del n.1 italiano. Chi c’è dietro quella folta chioma rossa? Certamente i primi che vengono in mente sono Simone Vagnozzi e Darren Cahill – entrambi ex giocatori –, che per Jannik svolgono rispettivamente il ruolo di coach e supercoach. Un’intervista molto approfondita dell’ATP analizza ai raggi X la squadra del tennista altoatesino, che numerosa è dir poco. “Sono persone buone e felici; ognuno sa molto bene di cosa si deve occupare. Mi sento fortunato ad avere un team così”, le prime parole di Sinner sul proprio team, che come dirà poco dopo è come una famiglia. Vedo più spesso loro che i miei genitori”. Si capisce sin sa subito quello che il n.7 ATP cerca tra i propri membri della squadra: competenza e affinità. Infatti, “per me ognuno è fondamentale. Quando qualcuno entra a far parte del gruppo non è importante solamente che sia uno dei migliori nel suo lavoro, ma è essenziale anche come io mi senta con questa persona. Devo essere a mio agio e sapere che posso parlare di qualunque cosa che mi passi per la testa con tutti quanti”.

Successivamente la palla passa agli allenatori di Sinner, Vagnozzi e Cahill. La collaborazione con il primo inizia a febbraio 2022, come ricorda anche il 40enne di Ascoli Piceno, mentre la più fresca entrata – a giugno 2022 – è quella dell’ex semifinalista allo US Open Darren Cahill, coach in passato di personaggi come Andre Agassi, Lleyton Hewitt, Andy Murray e Simona Halep. Il mio ruolo è più quello di trasmettergli la mia esperienzaci informa l’australiano, “sono stati dei primi mesi di collaborazione molto buoni e produttivi”. Si sapeva già l’attitudine di Jannik in campo, ma il tennista italiano ci tiene comunque a farlo sapere chiaro e tondo: Sono il più competitivo, odio perdere, e sia Vagnozzi che Cahill dicono all’unisono che Jannik vuole vincere dappertutto, in ogni cosa che fa”.

 

L’ex allenatore australiano di Coppa Davis tira in ballo anche il preparatore atletico di Sinner, Umberto Ferrara, definendolo come il più serio. Nel tennis il corpo deve essere il tuo tempio, di conseguenza probabilmente lui ha il lavoro più importante di tutti. A cena dice sempre a Jannik quello che sarebbe meglio mangiare e ciò che si deve evitare”. E conferma anche Umberto che, mettendo le mani avanti, informa subito che quando lavoriamo siamo tutti seri. Quando è terminato l’allenamento, invece, si può scherzare tutti insieme. Ma non mancano nel team Sinner momenti di svago conviviali, rigorosamente nella maggior parte dei casi con le carte da gioco. Il ‘Burraco’ è quello che va per la maggiore ed è stato Giacomo Naldi, fisioterapista dell’altoatesino, a introdurlo a tutta la squadra. Jannik vuole giocare tutti i giornifa sapere Giacomo, che spiega questa ‘tradizione’ del 22enne di San Candido chiarendo che “la prima volta che abbiamo giocato insieme Jannik ha vinto il torneo a cui stava partecipando; quindi è per questo che vuole sempre giocare secondo me”.

Passando alla routine, invece, tutti i membri del team intervengono dicendo la propria, precisando che Sinner innanzitutto svolge qualche esercizio di mobilità e prevenzione, soprattutto alcuni specifici movimenti che lo proteggono da infortuni avuti in passato, come ad esempio quelli alla caviglia”. Poi arriva il turno di Naldi prima e dopo l’allenamento. Quest’ultimo è di un’ora e mezza, in cui il campione azzurro viene seguito da Vagnozzi, Cahill e consiste in palleggi di ritmo con uno sparring partner, per finire con qualche punto. Nel pomeriggio, invece, un’ora di tecnica in cui ci si concentra sul servizio, sulle volée, sullo slice…”, mentre la maggior parte del lavoro di Giacomo Naldi, come lui stesso afferma, avviene dopo: “Faccio qualche massaggio, qualche ulteriore esercizio di mobilità, lavoro con i suoi muscoli e cerco di far sì che il suo corpo possa recuperare al meglio”.

Come dice anche Sinner, non è un rapporto unilaterale quello tra coach e giocatore, infatti loro mi spingono a dare il meglio di me, ma anche io li sollecito parecchio. Ogni giorno è una sfida, ed è fondamentale non solo che loro siano miei amici, ma che sappiano anche essere onesti con me”. Cahill, poi, interviene facendo sapere un aspetto molto importante della persona-tennista che è Jannik Sinner: Non c’è molta differenza tra lo Jannik che si vede in campo e quello che si osserva al di fuori di esso. Lo si può vedere nei suoi occhi da volpe, che al momento giusto possono diventare quelli di una tigre”. Vagnozzi, invece, si sofferma sul fatto che Sinner quando entra in campo vuole sempre migliorare, è costantemente col sorriso, quindi per un coach è più semplice svolgere il suo lavoro”. Mettendo sul piatto della bilancia i risultati di quest’anno “Jannik è soddisfatto, ha più fiducia dopo la semifinale a Wimbledon e il titolo a Toronto. Questi erano suoi obiettivi”.

Un team solido, unito, familiare, dove ognuno ha un preciso compito e allo stesso tempo è un pezzo fondamentale del puzzle finale. Jannik ha solamente ventidue anni, ha già conquistato vette importanti del ranking, ha vinto tornei 250, 500 e 1000, è stato semifinalista Slam e, cosa più importante, è seguito da persone che credono nei suoi mezzi e lo stimolano al meglio. Dopo la parentesi US Open seguita da quella – mancata – di Coppa Davis, per Sinner ora è il momento di tuffarsi nell’ultimo periodo della stagione, con gli ultimi due tornei 500, due tornei 1000 e le Finals di fine anno dove non è ancora qualificato ufficialmente, ma gli mancano pochissimi punti per raggiungere la quota sufficiente per parteciparvi. Sappiamo che dopo New York Jannik si è dedicato al puro allenamento in vista dei prossimi appuntamenti. Il team ora lo conosciamo, sappiamo come lavorano, quindi non ci resta che metterci comodi e osservare le gesta del nostro n.1. Cinture allacciate, direzione Pechino!

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