Serena mamma da record a 39 anni (Scanagatta, Cocchi, Azzolini). Mouratoglou: «Serena vuole il record degli Slam, ma è già oltre il tennis» (La Repubblica). Karatsev, l'avversario improbabile (Mastroluca)

Rassegna stampa

Serena mamma da record a 39 anni (Scanagatta, Cocchi, Azzolini). Mouratoglou: «Serena vuole il record degli Slam, ma è già oltre il tennis» (La Repubblica). Karatsev, l’avversario improbabile (Mastroluca)

La rassegna stampa di mercoledì 17 febbraio 2021

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Serena mamma da record a 39 anni (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Quando si parla di diverse carriere e diverse prospettive. Aslan Karatsev, un ragazzone russo di 27 anni sconosciuto ai più (Djokovic che sarà suo avversario in semifinale: “Non l’ho mai visto prima d’ora“), ha giocato il primo Slam in carriera vincendo tre match nelle “quali”, quindi Mager, Gerasimov, Schwartzman, Aliassime e Dimitrov (26 64 61 62). Ha vinto le sue prime 8 partite, raddoppiando (850.000 dollari) i guadagni di 10 anni anonimi. Serena Williams (94 milioni di soli premi) sta giocando il suo Slam n.76. Ne ha vinti 23, persi in finale 10 e in semifinale 6. Ha giocato ieri il 54mo quarto di finale di uno Slam, vendicando (63 63) la cocente sconfitta patita nella finale di Wimbledon 2019 con la rumena Simona Halep n.2 WTA. Serena l’aveva battuta 9 volte su 11, ma l’ultima era stata proprio quella di Wimbledon, quando Serena aveva perso la sua quarta finale Slam di fila senza vincere neppure un set. L’ultimo trionfo in uno Slam risale a Melbourne 2017. Contro Naomi Osaka disputerà la sua semifinale n.40, la prima in Australia dopo esser diventata mamma, ma la sua vittoria con la Halep è la n.362 negli Slam! Ha così eguagliato quelle di Roger Federer (20 Slam vinti), altro quasi quarantenne di classe ’81, lui 8 agosto, lei 26 settembre. Nessuno come loro. La seconda donna per numero di vittorie in uno Slam è Martina Navratilova, 306. Serena, oggi n.11 ma lunedì rientrerà tra le top-10, non sarà favorita con Naomi Osaka, n.3. La giapponese conduce nei precedenti (2-1 anche se ha perso l’ultimo). Ieri Serena si è mossa – ha detto il suo coach Mouratoglou – “come non capitava da molto tempo“. Ha vinto anche due scambi di 20 e 12 palleggi a ritmi feroci. “Non mi accadeva dal…1926!” ci ha riso su Serena.

Serenissima (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

La definizione migliore l’ha data Patrick Mouratoglou, il coach con cui ha vinto di più e che la accompagna verso nuove sfide: «Vintage Serena». Serena d’altri tempi. Vincente come non si vedeva da un po’. Vintage anche come il suo outfit con cui ha voluto lasciare il segno, un completo ispirato a Florence Griffith. A 39 anni, classe ’81 come Roger Federer, la Williams ha superato nei quarti la numero 2 al mondo Simona Halep in due set. È in semifinale, di nuovo vicina all’attesissimo (forse più per il resto del mondo che per lei) record dei 24 Slam di Margaret Court. Ma tra Serena e la finale, domani c’è la sfida con Naomi Osaka, una che fino ad ora, quando ha raggiunto i quarti di uno Slam, lo ha sempre vinto. Serena lo sa bene, perché contro la giapponese cresciuta negli States, ha già giocato allo Us Open. In quella finale dell’edizione 2018 è successo di tutto. La Williams, in preda a un attacco di nervi a causa di un warning per coaching, ha perso la partita scatenando le ire dei 20.000 dell’Arthur Ashe contro la Osaka, colpevole di aver conquistato il primo Slam della vita ai danni della regina. E finita con le due contendenti in lacrime, vincitrice e vinta. Da allora sono passati più di due anni e un po’ di altri incroci, ma nessuno così importante. Stavolta, infatti, sarà diverso: «Una battaglia anche sul piano mentale, di nervi – ci spiega Patrick Mouratoglou dall’Australia dopo il match contro la Halep -. Quegli Us Open hanno traumatizzato Serena che dovrà mettersi alle spalle l’episodio. Per lei sarà una lotta anche con se stessa. Ma sul piano tennistico mi aspetto potenza, lunghi scambi: entrambe vorranno dettare le regole della battaglia». La Serenissima è così tornata a stupire, dal campo al look: dall’inizio del torneo spopola, infatti, per la tuta realizzata insieme a Nike, che lascia una gamba interamente scoperta. Si ispira al leggendario catsuit che la velocista Florence Griffith-Joyner indossò ai Giochi di Seul 1988. Ma, look a parte, mai come ora la Williams è tornata se stessa. Ha ritrovato forza, agilità, consapevolezza. I piedi veloci ricordano quelli di un tempo, la capacità di coprire il campo pure. E i problemi al tendine di Achille avuti durante lo Us Open e il Roland Garros 2020 sono ormai un ricordo. Proprio il ritiro da Parigi in autunno è stato un momento chiave della rinascita: «Fermarsi e dedicarsi completamente alla guarigione è stato decisivo – aggiunge Mouratoglou -. Ci sono volute molte settimane per stare completamente bene e, quando finalmente Serena si è sentita sana e pronta, l’abbiamo ricostruita dal punto di vista atletico e anche tecnico». Adesso è sempre presente sui punti cruciali e negli scambi lunghi non dà segni di affanno. Tanto che, a chi in conferenza stampa le ha chiesto da quanto tempo non si sentisse così “in palla”, la Williams ha risposto con una battuta: «Da un po’. Penso fosse l’estate del 1926…». Poi, facendosi più seria, ha sottolineato la ritrovata fiducia: «Sono forte negli scambi, sono potente, sono brava a colpire anche 100 palle di fila. Sono unica in questo e devo sfruttare le mie caratteristiche». La Williams, proprio a Melbourne nel 2017, aveva trionfato per l’ultima volta in uno Slam, quando già era incinta di Olympia. Ora la piccola, avuta col marito Alexis Ohanian, ha 3 anni compiuti ed è sempre con lei, anche sul campo di allenamento dove si diverte a imitare la mamma. La maternità come valore aggiunto, quindi: «Essere madre l’ha arricchita. Ha una famiglia che ama e la rende felice — continua il coach —. Certo, fisicamente non è stata una passeggiata. Ha visto il corpo trasformarsi e ci è voluto tempo per riprendersi sia fisicamente che emotivamente. Ha rimesso in ordine le sue priorità». […]

Mamma Serena fa rotta su Osaka (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Se non dovesse vincerlo quest’anno, se anche questi Open di Melbourne all’apparenza cosi propizi dovessero smottare verso il fallimento, sprofondando in una nuova finale (la quinta, da mamma) giocata con troppi assilli nella capa per essere davvero lei, quel 24° Slam cosi bramato, inseguito, corteggiato dovrebbero consegnarglielo ugualmente. Come un Oscar alla carriera. Ma valido per le classifiche, e per trascinare Serena Williams alla pari dell’odiata Margaret Court, che dal pulpito della sua chiesa chiede ogni domenica un intervento dall’alto per ribaltare tutte le conquiste in cui l’americana crede di più. La parità dei diritti. L’uguaglianza sessuale. La fine di ogni discriminazione. Forse Serena non sarebbe disposta ad accettarlo, orgogliosa com’è, ma lo merita. Più di ogni altra. Più della stessa Court, che giocava in un tennis diverso, dove i tabelloni degli Slam – in Australia più che altrove – si riempivano di signorine altolocate, di socie del circolo e di figlie di dirigenti cui non si poteva dire di no. E arrivare ai quarti o in semifinale era spesso una passeggiata. Potrebbe essere sembrata tale anche quella di Serena, ieri contro Simona Halep. Salvo dimenticare che la rumena è la numero 2 e anche l’ultima vincitrice a Wimbledon, proprio contro una Serena più confusa che mai. Ma lei, la Sister, vuole vincere davvero, si sente ancora in missione. «Per me e per le donne», come dice sempre, «per Alexis Olympia e per tutte le mamme» che hanno la forza di non rinunciare ai loro desideri. Un match perfetto, di straordinaria intensità, quello di ieri. Da anni non vedevamo una Serena così mobile, così attenta, così armonica nel colpire la palla da qualsiasi posizione. Pallate atroci sulle quali la povera Halep ha prima tentato di intervenire, limitandosi poi a evitare ammaccature. In semifinale c’è Naomi Osaka, e può essere un problema. A parte gli anni di differenza, che sono 16, a parte la qualità delle giocate nelle quali la giapponese non è certo da meno, a fare da spartiacque c’è quella finale di tre anni fa allo US Open, finita quasi in rissa fra Serena e l’arbitro, con la Osaka in lacrime e del tutto dimenticata nel giorno della sua prima vittoria. Naomi è l’unica che abbia mostrato sin qui, colpi e carattere per assumere la successione. Serena lo sa. […]

Mouratoglou: «Serena vuole il record degli Slam, ma è già oltre il tennis» (La Repubblica)

A vederla in campo, con quella tutina ispirata a Florence Griffith, la velocista Usa anni ’80, sembra che Serena Williams sia diversa dal passato. Come se avesse trovato un compromesso tra se stessa e le avversarie, e lo avesse accettato. Lo si è visto come è avanzata fino alla semifinale di questi Australian Open, con umiltà forse inedita. Ora le toccherà Naomi Osaka, l’avversario peggiore verso quel record cui tanto ambisce, il primato degli Slam di Margaret Court che potrebbe eguagliare a quota 24. Se un po’ è cambiata è anche per merito di Patrick Mouratoglou, il suo coach. Lei è l’unico a conoscerla bene. «Beh, all’inizio della sua carriera era un po’ chiusa nel suo mondo, senza tante relazioni sociali. Questo valeva anche per sua sorella Venus».

E questo ha ingenerato degli equivoci.

Forse, ma bisogna capire da dove provenivano e in quale mondo si inserivano le ragazze: un mondo fatto di bianchi al 99%. E con un padre che aveva sofferto in passato, loro mentore. Ma questi erano gli inizi, ora il papà non è più così presente e le due ragazze, diventate donne, si sono aperte al mondo e alle relazioni sociali.

Qual è la difficoltà di allenare Serena? E le differenze uomini-donne?

Il lavoro di allenatore è lo stesso, ma la gestione dei maschi e delle femmine è diversa, la psicologia completamente diversa. I maschi hanno un ego forte e quindi hanno bisogno di una figura forte che gli stia davanti. Invece le ragazze hanno un bisogno diverso, di qualcuno che stia loro accanto per farle sentire bene. La difficoltà con Serena è che lei ha una grande personalità e che qualche volta è difficile da leggere: basti pensare che ancora oggi, dopo dieci anni, combatto per capirla al 100%. E mi ritengo un buon lettore delle persone, ma lei ha una grande capacità di sfuggire agli altri e di riuscire a sorprenderli. È intelligente, furba, non parla molto e le piace avere il controllo della situazione. Con lei non puoi mai mettere il pilota automatico, devi sempre stare sul pezzo, attento e concentrato.

Poi c’è questo maledetto Slam da vincere per il record.

Questo è il motivo per cui gioca ancora a tennis, nessuno lo nega e quello è il suo obiettivo. Ma non è un’ossessione, almeno io penso che non lo sia. Certo, è una fonte di stress ma lei questo lo sa. Gioca perché si è data un obiettivo e non credo abbia un approccio diverso rispetto al passato. A prescindere dal record, però, rimane il suo messaggio. Lei ha aperto una grande porta in un mondo che era composto completamente da bianchi. È stata una piccola eccezione in questi ultimi 20 anni. La sua eredità è avere oggi Coco Gauff, Madison Keys, Sloane Stephens. Probabilmente senza Serena non sarebbero qui oggi. E se nella mia Academy oggi ho molti ragazzi africani con ottime prospettive è anche grazie a lei. Ma non è solo questo: ha cambiato il gioco — insieme a Venus — lo ha reso molto più professionale e fisico, e ha mostrato a tutte le donne che il tennis è lo sport perfetto per loro, anche dal punto di vista della visibilità sociale ed economica. La sua eredità è enorme. Il suo messaggio è andato oltre il tennis, mostrando una ragazza sempre orgogliosa di se stessa nonostante fosse sottoposta a una pazzesca esposizione mediatica.

Karatsev, l’avversario improbabile (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

Novak Djokovic, che sfiderà per un posto in finale all’Australian Open, non l’aveva mai visto giocare prima del torneo. Non è l’unico, verrebbe da dire. Perché di fronte al numero 1 del mondo ci sarà il semifinalista più improbabile di tutti, Asian Karatsev, che a suon di anticipi fulminanti e colpi piattissimi sta ribaltando le gerarchie a Melbourne. Ha ventisette anni, non era mai entrato prima d’ora nei primi 100 del mondo e non aveva mai giocato uno Slam. L’Australian Open ha cambiato tutto. Dopo aver superato a gennaio i tre turni di qualificazione, ha eliminato nell’ordine Gianluca Mager, il russo Egor Gerasimov, l’argentino Diego Schwanzman, il canadese Felix Auger-Aliassime ribaltando uno svantaggio di due set, e in semifinale Grigor Dimittov. Il bulgaro, frenato da evidenti problemi alla schiena tanto che prima del match per il dolore non ritzsciva nemmeno a infilarsi i calzini, ha finito per cedere 2-6 6-4 6-1 6-2. Proiettato a volare dal numero 114 al 42 del ranking mondiale, Karatsev ha guadagnato in queste due settimane 662 mila dollari, più di quanto incassato di montepremi finora in tutta la carriera (618.354 dollari). Con il successo su Dimitrov, è diventato il primo giocatore nell’era Open a centrare le semifinali al primo Slam in carriera. E nessuno dopo Goran Ivanisevic, quando trionfò ai Championships nel 2001, aveva completato un percorso simile con una classifica altrettanto bassa (il croato era precipitato allora al numero 125 del ranking). Nato a Vladikavkaz, Karatsev è di fatto un cittadino del mondo. Ebreo askenazita per discendenza materna (gli askenaziti sono discendenti, di lingua e cultura yiddish, delle comunità ebraiche stanziatesi nel medioevo nella valle del Reno), a tre anni si è trasferito con la famiglia a Tel Aviv «Mi sono allenato fino a 12 anni, poi sono tomato in Russia con mio padre – ha raccontato in conferenza stampa -. Ho vissuto prima a Rostov, poi a Taganrog dove ho trovato uno sponsor. Poi ho cominciato ad allenarmi a Mosca. Ho lavorato con Dmitri Tursunov e mi hanno detto: “Ti aiuteremo a faro andare in Germania ad allenarti ad Halle”. Ci sono rimasto due anni, poi mi sono trasferito a Barcellona e negli ultimi tre anni mi sta seguendo Yahor Yatsyk». Prima del lockdown dell’anno scorso, Karatsev aveva galleggiato tra i tornei Futures e i Challenger. Negli Slam, ha giocato appena 18 set. Proverà a fermare chi cerca di vincere il titolo numero 18 nei major.

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