L’Italia di Jacobs e Tamberi sogna col tennis. La Cechia di Krejcikova con le tenniste, ma Drobny era un’altra cosa

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L’Italia di Jacobs e Tamberi sogna col tennis. La Cechia di Krejcikova con le tenniste, ma Drobny era un’altra cosa

Lo strano fenomeno di un Paese che ha avuto il doppio degli Slam winner rispetto all’Italia, 9 vs 4, e 41 Slam contro 5. Ma brilla solo al femminile e ha un solo top-100 fra i maschi

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Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi - Olimpiadi Tokyo 2020 (via Twitter, @Coninews)
 

Mi rendo conto che nel giorno successivo a quello in cui l’Italia conquista due medaglie d’oro nelle discipline d’atletica più naturali che ci possano essere, la corsa e il salto, e questo può essere forse considerato il giorno più bello dello sport italiano, tutto il resta passa in seconda linea. Figurarsi il tennis. Già a Londra, quando si erano giocate due finali a Wimbledon e a Wembley, era stata una giornata fantastica, sebbene non si potesse chiedere a Matteo Berrettini di battere quel Djokovic che non era davvero quello visto contro Zverev a Tokyo.

Si tratta di un doppio trionfo senza precedenti, nei 100 metri e nel salto in alto, davvero da leggenda grazie a Marcell Jacobs e a Gianmarco Tamberi, anche se ricordo bene – sebbene bambinetto di 10 anni – mio padre emozionato fino alle lacrime nel vedere davanti alla TV (che mi pare fosse ancora in bianco e nero) Livio Berruti con quegli occhialetti da studente modello, vincere i 200 metri piani alle Olimpiadi di Roma (1960) precedendo per la prima volta tutti gli sprinter di colore che sembravano invincibili.

Vent’anni dopo avevo già quasi 30 anni quando Pietro Mennea vinse di nuovo i 200 metri e Sara Simeoni saltò più in alto di tutte le altre ragazze ai Giochi di Mosca, ma non ricordo invece che quella “doppietta” possa essere arrivata nell’arco di un quarto d’ora come è successo questa volta, con Tamberi avvolto in una bandiera italiana ancora sulla pista per un abbraccio storico, fantastico, commovente a Jacobs.

Non amo in genere le dichiarazioni dei dirigenti quando devono fare discorsi celebrativi, ma quanto ha detto d’istinto Giovanni Malagò, presidente del CONI (“E’ una giornata storica perché l’Italia può dire di avere l’uomo più veloce del mondo e l’uomo che salta più in alto nel mondo!”) l’ho trovato efficacissimo, un piccolo capolavoro di sintesi.

Con Vanni Gibertini ogni sera abbiamo registrato un podcast, Ubi Radio, che riassumesse un po’ il dietro le quinte dell’Olimpiade, la situazione del medagliere azzurro raccontando medaglia per medaglia i successi dello sport azzurro nelle varie discipline, e le vicende del torneo di tennis. Il torneo è finito, ma Ubi Radio continuerà ad andare on line e sembra, a giudicare dai numerosi contatti, che piaccia abbastanza. Qualcuno avrà anche avuto modo di ascoltare i nostri interventi su Radio Sportiva con Stefano Tarantino, il nostro “Patria-Man”, che ha seguito almeno dieci sport intervistando un medagliato dopo l’altro. Anche quelli continueranno fino a fine Olimpiade e saranno dai sei agli otto interventi al giorno da Tokyo.

In queste “gloriose” circostanze, con anche l’altra disciplina regina delle Olimpiadi a fianco dell’atletica, il nuoto, che ha colto sei medaglie azzurre record – anche se a Sydney 3 furono d’oro – scrivere di tennis, dunque, e nemmeno di tennis italiano a conclusione del torneo olimpico che ci ha visto purtroppo ancora una volta a digiuno di medaglie, un po’ mi imbarazza.

Ma credo che Ubitennis abbia il dovere di rispettare i suoi lettori, appassionati di uno sport che comunque quest’anno ci ha dato soddisfazioni cui non eravamo abituati, seppure non a Tokyo. Cioè laddove abbiamo visto vincere il doppio maschile alla formazione croata n.1 del mondo, Mektic e Pavic, che però era stata a pochi punti dalla sconfitta con il nostro improvvisato Sonego-Musetti. E abbiamo visto approdare alla finale del singolare maschile con un pizzico di rimpianto un tennista, il russo Karen Khachanov, più volte battuto dai nostri Sinner e Berrettini.

Jacobs, che ha corso in 9,80 diventando l’erede di un certo Usain Bolt che a Rio aveva vinto in 9,81, non era il favorito dei 100, anche se un vero favorito non c’era. Idem Tamberi. Per questo mi piace pensare che se i due nostri migliori tennisti fossero stati presenti, Berrettini e Sinner, forse qualche bella soddisfazione avremmo potuto togliercela anche nel nostro sport della racchetta. Magari stasera le medaglie azzurre avrebbero potuto essere 30 anziché 29 (diamo già per certa quella della vela, che ancora deve arrivare ma non è in discussione), perché anche un doppio Berrettini-Fognini avrebbe potuto fare molta strada. Pazienza.

Mentre nei prossimi giorni – se gli altri sport non mi distrarranno troppo… e per esempio Italia-Stati Uniti di pallavolo femminile stamattina alla vostra alba mi intrigava parecchio perché volevo capire se davvero le azzurre sono da podio come tanti profetizzano – mi sembrerebbe giusto soffermarmi sui meriti di Sascha Zverev che ha dominato la finale in modo schiacciante, e aveva dominato con notevole personalità anche Djokovic in semifinale dal 2-3 del secondo set in poi, oggi vorrei dedicare qualche riga frettolosa al tennis ceco che mi pare attraversi un periodo particolare. Benissimo le donne, malissimo gli uomini. Proprio come è successo anche al tennis italiano per un lungo periodo.

L’oro conquistato dalle favorite Siniakova-Krejcikova nel doppio donne è una conferma del loro status di numero uno del mondo, ma anche di un periodo in cui il tennis femminile ceco si mantiene all‘altezza delle sue migliori tradizioni, dai tempi almeno di Martina Navratilova, Hana Mandlikova, Petra Kvitova e una Pliskova che è stata n.1 del mondo ma non ha mai vinto uno Slam pur avendo disputato un paio di finali Major, ci sono almeno sei o sette tenniste ceche costantemente fra le prime 100, fra cui magari una Krejcikova capace di vincere uno Slam a anche in singolare.

Però, così come per il tennis italiano, abbiamo visto che c’è stata l’epoca in cui i buoni risultati arrivavano soltanto dalle ragazze, così anche il tennis ceco attraversa un momento piuttosto strano. I cechi, dacché hanno perso Berdych che è stato a lungo un top ten, e si è arreso all’anagrafe anche Stépanek, non hanno praticamente più tennisti fra i top 100 salvo Vesely.

Il tennis italiano negli anni Ottanta, conclusa la golden era di Panatta, ha goduto dapprima dei risultati di Reggi e Cecchini, arrivate a n.13 e n.15 del mondo. A cavallo del terzo millennio Silvia Farina si fermò a n.11 del mondo, chissà con quanti rimpianti per lei non poter dire di essere stata una top ten anche se si tratta di una distinzione piuttosto ridicola. Poi, dal 2010 in avanti con Schiavone, Pennetta, Errani e Vinci, i nostri uomini non reggevano il confronto.

Adesso il tennis ceco sembra vivere una situazione analoga. La Repubblica Ceca ha sempre avuto grandi giocatori, anche se con tendenza a rifugiarsi all’estero. Il primo di grande fama, fu Jaroslav Drobny, campione a Parigi nel ’51 e nel ’52 e a Wimbledon nel 1954 – quando batté Rosewall e aveva 36 anni – e tre volte a Roma, in mezzo a 147 tornei! Mi pare di ricordare che Drobny, che non sopportava il regime comunista che pretendeva da lui un visto per ogni trasferta per ciascun torneo, fu prima apolide e poi prese passaporto egiziano nel ’49, dieci anni primi di prendere quello britannico. Ha vissuto fino alla morte (2001) a Londra, ma era stato a lungo anche in Italia, dove allenò per un periodo anche la nazionale italiana di Pietrangeli e Sirola.

Ma i campioni Slam cechi sono stati più del doppio dei nostri azzurri, che sono solo quattro, Pietrangeli, Panatta, Schiavone e Pennetta. E cioè, Drobny, Lendl, Kodes, Korda, Navratilova, Mandlikova, Novotna, Kvitova, Krejcikova. Quattro più quattro. Con una sostanziale differenza. Gli Italiani hanno vinto in tutto cinque Slam – 2 Pietrangeli, uno gli altri. I cechi ne hanno vinti ben 41: Lendl ha vinto 8 Slam, Kodes 3, Drobny 3 (più 5 finali perse), Navratilova 18 (di cui 9 a Wimbledon), Mandlikova 4, Kvitova 2, Novotna, Korda e Krejcikova 1. Questi risultati ripetuti negli anni hanno costruito una tradizione tale che oggi è ancora più sorprendente che il tennis maschile sia ridotto al solo Vesely a livello di top 100.

I lettori di Ubitennis sanno probabilmente moltissimo di tutti questi giocatori, salvo forse di Jaroslav Drobny, sebbene quel mancino dotato di grandissima classe, e costretto a giocare con gli occhiali e lenti molto spesse a seguito di un incidente patito mentre giocava a hockey – era “centrale” nella nazionale di hockey su ghiaccio che vinse la medaglia d’oro ai mondiali del 1947 e l’argento ai Giochi Olimpici invernali del ’48 a St. Moritz quando marcò 8 gol in 9 partite – avesse vinto tre volte gli Interrnazionali d’Italia (’50, ’51 e ’53).

Mio padre lo aveva visto giocare ed era rimasto impressionato dal suo tocco di palla e dalle sue doti strategiche. Mancino, dotato di un servizio più che discreto per i suoi tempi, giocava la smorzata con il rovescio a una mano che sorprendeva regolarmente gli avversari, ma soprattutto era stato uno dei primi tennisti che dimostrava di aver studiato le geometrie del tennis – a quanto mi ha riferito mio padre – perché nel giocare la smorzata la seguiva costantemente a rete, in modo da tagliare l’angolo alla eventuale ripresa dell’avversario.

Un poco come Ivan Lendl più tardi, anche Drobny perse ben quattro finali Slam (tre delle quali al quinto set) prima di vincerne una, quando ormai aveva compiuto i 30 anni. Avrebbe dovuto vincere quella contro Marcel Bernard a Parigi nel ’46, visto che era due set avanti: 3-6, 2-6, 6-1, 6-4, 6-3. Nella finale di Wimbledon del ’49 perse dall’americano Ted Schroeder (il tennista che ha vinto Wimbledon perdendo otto set, più di chiunque altro!): 3-6, 6-0, 6-3, 4-6, 6-4. E al Roland Garros 1950 contro un altro americano, Budge Patty, Drobny perse 6-1, 6-2, 3-6, 5-7, 7-5. Quella del ’48, sempre a Parigi e sempre contro un americano, Frank Parker, Drobny l’aveva perso in 4 set:  6-4, 7-5, 5-7, 8-6. Ma di finali di Slam Drobny ne ha giocate 13 fra singolo, doppio e misto. Fu finalmente nel ’50 al Roland Garros, contro il sudafricano Eric Sturgess, che Drobny riuscì finalmente a sfatare il tabù degli Slam persi, forse perché vinse molto facilmente con un triplice 6-3, per poi ripetersi l’anno successivo contro il grande campione australiano Frank Sedgman: 6-4, 7-5, 5-7, 8-6.

Jaroslav Drobny – Wimbledon 1953

Dopo le due vittorie in terra di Francia ecco finalmente quella sull’erba di Wimbledon contro il diciannovenne Ken Rosewall nel ’54, 20 anni prima che Muscle Ken giocasse la sua quarta, tutte perse, contro un Jimmy Connors che non ebbe pietà dei suoi 39 anni. Drobny, come accennato, aveva 36 anni e vinse 13-11, 4-6, 6-2, 9-7. Quei 58 game rimasero la finale più lunga fino a metà anni 70 e Jaroslav fu il primo mancino a vincere a Wimbledon dai tempi dell’australiano Norman Brookes che aveva vinto nel 1914 (e le cui foto, a decine, ho potuto ammirare nell’elegantissimo club di South Yarra Tennis Club a Melbourne tre anni fa quando fui invitato a un pranzo e riuscii a farmi fare una fotografia fra Ken Rosewall e Frank Sedgman, i cui segnaposti nel grande tabellone precedevano e seguivano in ordine alfabetico quello di un certo Ubaldo Scanagatta, tennista indegno al cospetto di quei due Grand Slam winners).

Si dice che Jaroslav Drobny, con Billie Jean King e Martina Navratilova, sarebbe l’unico tennista “occhialuto” ad aver vinto Wimbledon. Io ricordo di aver visto anche Arthur Ashe indossare gli occhiali, però può essere che nel ’75 quando battè Connors in 4 set – al mio secondo Wimbledon – Arthur avesse già le lenti a contatto. Dovrei riguardare un filmato dell’epoca per sincerarmene.

Tornando a Drobny, ricordo che Alison Danzig, uno dei giornalisti del New York Times che scrissero per primi che chi avesse vinto i quattro Majors nello stesso anno avrebbe realizzato il Grande Slam, che è quanto si dice nel bridge se uno vince tutte le tredici mani, scrisse di lui: “Nessun atleta ceco, salvo forse Emil Zatopek – l’uomo chiamato cavallo! – ha reso maggior onore al proprio Paese di Jaroslav Drobny!”.

La storia del tennis, in ogni Paese, vive di cicli, positivi e negativi. Per l’Italia ora sembra che tutto fili per il verso giusto per il tennis maschile, e nulla per quello femminile. Per la Cechia è l’opposto. Basta aspettare un po’. Le tradizioni non si smentiscono mai, anche se ci vuole tempo.

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