Un altro tennis: alla scoperta del wheelchair. Intervista a Luca Spano e Giovanni Zeni

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Un altro tennis: alla scoperta del wheelchair. Intervista a Luca Spano e Giovanni Zeni

Il nostro racconto del tennis in carrozzina con una intervista esclusiva a uno dei suoi protagonisti

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Luca Spano (a sinistra) con il maestro Paolo Zingale (foto: prealpina.it)
 

Abbiamo proseguito il viaggio alla scoperta del tennis in carrozzina – trovate qui la prima intervista a Gianni Gioia, fiduciario lombardo della FIT per questa disciplina – in compagnia di un campione di lungo corso della categoria open: Luca Spano.

Luca, lascio a te l’onore/onere di presentarti ai nostri lettori
Ho 54 anni, sono originario di Borgomanero ma da anni risiedo a Gallarate. Ho giocato a calcio sino a 22 anni quando a causa di un incidente automobilistico ho dovuto abbandonarlo. Ho iniziato a giocare a wheelchair tennis nel 2003, al principio con un po’ di scetticismo che in poco tempo è però stato sostituito da una passione che nel tempo ha reso questo sport il fulcro della mia vita, oltre alla famiglia. Ho un best ranking mondiale di numero 48 raggiunto nel 2017 e oggi – complice la pandemia che mi ha impedito di partecipare a diversi tornei internazionali – sono sceso al numero 88. In Italia sono numero 4. Nel mio palmares figura un campionato italiano assoluto in singolare e doppio.

Dove ti alleni e quanto?
Mi alleno quotidianamente al Tennis Club di Busto Arsizio sotto la guida del maestro Paolo Zingale che mi segue da 10 anni. Mi avvalgo anche della collaborazione di un mental coach e di un preparatore atletico. Se sotto il profilo tecnico credo di potermela giocare alla pari con giocatori intorno alla quindicesima posizione, dal punto di vista fisico talvolta incontro avversari con invalidità meno limitanti della mia e devo quindi essere sempre atleticamente al mio meglio. Il nostro sport richiede notevoli sforzi sia fisici sia mentali, dal momento che un incontro mediamente dura tra i 90 e i 120 minuti.

I tuoi obiettivi e i prossimi impegni agonistici?
Il mio obiettivo è quello di migliorare il best ranking. L’impegno più importante è rappresentato dai mondiali di Alghero, ai quali prenderò parte insieme ad Antonio Cippo e Luca Arca dal 27 settembre al 3 ottobre. Si tratta del sesto campionato mondiale a squadre al quale partecipo.

Quale è la formula del mondiale?
Assomiglia a quella della coppa Davis; si disputano i singolari e in caso di parità il doppio. Dopo l’Olimpiade, il Mondiale costituisce l’evento più importante in assoluto e quindi per noi rappresentare l’Italia è un onore. È commovente sentire il nostro inno prima di ogni incontro. Sotto il profilo fisico sarà un impegno probante perché ci vedrà impegnati in campo ogni giorno e sotto quello tecnico non sarà da meno; l’Italia a questa edizione è stata inserita nel tabellone principale insieme ad altre 15 nazioni, le più forti del mondo.

A livello internazionale a che livello collocheresti l’Italia e quali sono attualmente i Paesi più forti?
In un’ipotetica classifica per nazioni la collocherei subito alle spalle delle migliori. L’attuale numero 1 mondiale è un giapponese ma in Europa ci sono nazioni molto forti come l’Olanda, la Francia, il Belgio e la Spagna. Gli Stati Uniti hanno dominato per alcuni anni, grazie in particolare a Stephen Welch. Negli ultimi tempi hanno avuto un appannamento ma stanno risalendo la china grazie a un paio di giovani promettenti.

Pongo anche a te la domanda già fatta a Gianni Gioia: come mai nessun italiano era presente alle  ultime Paralimpiadi?
Come ha già spiegato Gianni, la partecipazione era riservata a 54 atleti incluse 12 wild card e nessun italiano aveva una classifica sufficientemente alta per fare parte del gruppo; a mio parere alcuni colleghi avevano tecnicamente le carte in regola per esserci, ma purtroppo all’Italia non sono state concesse wild card. Alla prossima edizione però il campo dei partecipanti verrà allargato e io per primo farò di tutto per andarci. Già una volta fallii la partecipazione per una sola posizione in classifica; persi in finale un torneo in Giappone e mi ritrovai al numero 69 del ranking; il numero 68 vi prese parte: non voglio che mi capiti di nuovo.

Gianni Gioia ha accennato ai costi connessi alla pratica del tuo sport. Puoi dirci qualche cosa di più a tale proposito?
Le carrozzine che usiamo in campo sono fabbricate su misura per ogni giocatore e con criteri e materiali speciali per permetterci di muoverci rapidamente e in piena sicurezza; hanno una ruota antiribaltamento per il servizio e – come le carrozzine del basket – hanno una scampanatura che ci permette di muoverci in diagonale, dal momento che non possiamo farlo lateralmente. Il loro costo di conseguenza è significativo e oscilla tra i 4 e i 10 mila euro. Molto dipende anche dalle dotazioni aggiuntive che l’atleta desidera. Sulla mia carrozzina – ad esempio – ho fatto montare delle ruote che usano i ciclisti professionisti il cui costo è di mille euro a coppia.

Il circuito internazionale come è organizzato?
I tornei più importanti e con i montepremi più alti sono i quattro dello Slam, Parigi-NY-Londra e Melbourne. Parteciparvi è però difficilissimo perché il singolare è riservato ai primi 8 giocatori del mondo e il doppio alle prime 4 coppie; considerando la categoria open e quad, in totale vi prendono parte una ventina di persone. Mi auguro che in futuro il campo di partecipazione possa essere sensibilmente incrementato. Per il resto la stagione agonistica ricalca grosso modo quella dell’ATP. Volendo un atleta può giocare tutte le settimane in qualunque continente. Per avere più dettagli è sufficiente consultare il sito dell’International Tennis Federation (www.itftennis.com) .

Economicamente si può vivere di  wheelchair tennis?
Solo se sei tra i primi 10 giocatori del mondo. Io da anni mi dedico solo a questo e partecipo ad tornei in tutto il mondo, attraverso i quali riesco a coprire le spese vive. Insomma, nulla a che vedere con i guadagni dei nostri colleghi del circuito maggiore. Wimbledon nel 2020 aveva un montepremi di 200.000 dollari ma, come ho già detto, è appannaggio di pochi eletti. Spero che in futuro venga allargato il campo di partecipazione a questi eventi.

Ce lo auguriamo anche a noi. Nel frattempo in bocca al lupo per il mondiale.
Grazie e grazie a Ubitennis per l’attenzione che ha dedicato al wheelchair che ha bisogno di casse di risonanza in grado di farlo conoscere ai più.


Nel corso dell’intervista abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con un altro giocatore lombardo, Giovanni Zeni, in più occasioni compagno di doppio di Luca Spano.

Giovanni Zeni – Umago

Giovanni, raccontaci qualcosa di te
Ho 44 anni e vivo a Cremona. Mi sono avvicinato al wheelchair tennis nel 2013; in precedenza ho praticato a lungo il basket in carrozzina che mi ha lasciato in eredità l’abilità nel manovrare velocemente la carrozzina. Attualmente occupo la posizione numero 191 nel mondo e 9 in Italia.

Chi ti ha fatto conoscere il wheelchair tennis?
Il Centro Valdesio di Cremona che – in collaborazione con il Rotary – svolge un’intensa attività sociale sul territorio a beneficio di persone affette da handicap motori e organizza tornei di rilevanza nazionale.

Parlaci delle tue caratteristiche tecniche
Sono mancino e quindi le rotazioni che imprimo alla pallina mettono spesso in difficoltà i miei avversari. Non disdegno il gioco a rete e la palla corta. Prediligo la superficie rapida, seppure mi alleni sui campi in terra rossa del mio circolo.

La tua routine di allenamento cosa prevede
Mi alleno tre/quattro volte alla settimana . Vorrei fare di più ma devo conciliare il tennis con il canottaggio che pratico regolarmente.  

I tuoi obiettivi?
Entrare in top 100.

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