Le Nitto ATP Finals hanno visto l’acme della stampa tennistica presenziare al Pala Alpitour di Torino per il gran finale della stagione maschile (al netto della Davis ancora da disputare). Fra i nomi più noti del settore presenti in situ c’è quello di Christopher Clarey del New York Times: il suo nuovo libro su Roger Federer, “Il Maestro”, è appena stato pubblicato in italiano (tradotto dal quasi omonimo di Stetone, Stefano Travagli, ed edito da Baldini + Castoldi).
L’autore ne ha parlato con il direttore Ubaldo Scanagatta alla lounge Intesa Sanpaolo nei giorni conclusivi del torneo; tra i due c’è un rapporto di lunga data che risale al primo Slam di Christopher, vale a dire quello Wimbledon 1990 che vide Stefan Edberg e Boris Becker sfidarsi in finale per la terza volta di fila. Di seguito l’intervista in inglese:
Clarey si è detto felice di essere tornato nel capoluogo piemontese, dove gli era già capitato di seguire degli eventi sportivi: “È bello essere di nuovo a Torino, non tornavo dai tempi delle Olimpiadi del 2006. Infatti per me è stato strano tornare al Pala Alpitour, perché l’ultima volta che ci ero stato si giocava ad hockey su ghiaccio – per quanto siano veloci le condizioni dei campi da tennis, vi posso assicurare che quelli lo erano di più!”
A proposito della velocità dei campi, ha fatto una previsione poi rivelatasi corretta sulle fortune di Novak Djokovic nel torneo (l’intervista è avvenuta poco prima delle semifinali): “Credo che prima o poi possa conquistare il suo sesto titolo alle ATP Finals, ma credo che questa superficie sia un po’ troppo rapida per il suo gioco”.
In ogni caso, è stato molto colpito dal coinvolgimento a 360 gradi della città di Torino nel torneo: “Sono arrivato da Parigi mercoledì scorso e ho passato il primo giorno in centro, volevo tornare in un paio di ristoranti che avevo provato 15 anni fa. Sono rimasto sorpreso perché mi sono recato in farmacia e ho visto che c’era una racchetta in vetrina – la città è davvero parte del torneo!”
FEDERER E L’ENERGIA POSITIVA DI UN CAMPIONE
Per quanto riguarda “Il Maestro” (“The Master” in lingua originale), il successo è stato pressoché istantaneo: “Era un anno che avevo questo libro in testa. È uscito durante l’estate negli Stati Uniti, mentre ora la versione tradotta è stata pubblicata in Italia e Germania. Sono molto felice del responso che abbiamo avuto: abbiamo già venduto oltre 100.000 copie nel mondo. Il libro era nella mia testa da un anno. È il mio primo libro di una certa dimensione, quindi non è stato semplice”.
Al momento il suo testo è già il secondo più venduto sul tennis negli Stati Uniti alle spalle del celeberrimo e ubiquo “Open” di Andre Agassi, un risultato per il quale Clarey trova una spiegazione molto semplice: “Negli Stati Uniti non era mai uscito un libro su Federer, e sembrava il momento giusto per scriverlo – la sua carriera è ad un crocevia, lui vuole tornare a giocare ma non so se ci riuscirà. Negli USA c’è grande rispetto per come si è approcciato al gioco e ai rapporti umani”.
Ma cosa scopriremo in questo libro che non sia già stato detto e scritto su una leggenda di tale proporzioni? Per rispondere a questa domanda, Christopher si è richiamato ad una storia che a suo parere racconta più di tutte “l’energia positiva” di Roger Federer: “Nel 2019 mi ha raccontato un aneddoto sui problemi psicologici che ha dovuto superare ad inizio carriera. Alla fine degli anni ’90 doveva andare dal dentista a Basilea, e mentre il dentista lo visitava gli chiese, ‘cosa fai nella vita, Roger?’. Lui aveva appena deciso di diventare un professionista, quindi rispose, ‘sono un tennista’. E il dentista, stupefatto, gli disse: ‘Sì, ma cosa vuoi fare nella vita?’ Roger mi ha detto: ‘Non sono mai più andato da quel dentista’. Secondo me è una storia che dice molto di lui e della sua energia, vuole essere circondato da persone che credono in lui e nei suoi progetti, perché lui crede in sé stesso”.
Nonostante il libro sia stato tradotto nella nostra lingua, Christopher non parla in italiano, mentre conosce il francese e lo spagnolo. L’intenzione però è di porre rimedio a questa “mancanza”, e visto l’impegno quinquennale dell’ATP con Torino dovrebbe avere tempo di fare pratica: “Non sono ancora abbastanza sofisticato da sapere l’italiano, ma prima di morire imparerò, lo prometto!”