Il bocadillo da cui nacque la leggenda di Manolo Santana (da Slalom)

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Il bocadillo da cui nacque la leggenda di Manolo Santana (da Slalom)

La storia del panino dimenticato dal fratello Braulio che favorì la scintilla d’amore tra Manolo, all’epoca Manolín, e il tennis

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A due giorni dalla scomparsa di Manuel Santana, il grande tennista spagnolo vincitore di quattro titoli dello Slam durante gli anni ’60 – Wimbledon compreso, primo del suo Paese a riuscire nell’impresa finora replicata solo da Rafael Nadal –, viene da più parti ricordata la storia del “bocadillo olvidado”. Il panino dimenticato dal fratello Braulio fu infatti galeotto, favorendo la scintilla d’amore tra Manolo, all’epoca Manolín, e il tennis. Tra coloro che l’hanno raccontata, ci è piaciuta la versione di Angelo Carotenuto pubblicata sul suo Lo Slalom, che di seguito riportiamo. Non resta quindi che immergerci nella lettura di questo favoloso episodio mentre facciamo risuonare le parole di un Maestro della musica nostrana: “forza Panino”.

Storia del bocadillo da cui nacque la leggenda di Manolo Santana

«Manolín, porta el bocadillo a Braulio, lo ha dimenticato a casa». La voce di mamma Mercedes Martínez arrivò dalla cucina. Manolín forse sbuffò, prese la merenda dal tavolo, uscì da calle Lope de Rueda e corse a consegnarla a suo fratello, raccattapalle al circolo Velázquez, dove oggi ci sono gli uffici madrileni della Iberia. Braulio portava lo stesso nome di papà, un elettricista repubblicano incarcerato durante la guerra civile e morto sei anni dopo essere tornato in libertà, un’embolia cerebrale, aveva già perso la vista. Sbrighiamoci, si disse Manolo. Voleva solo liberarsi in fretta di quel pacchetto e della seccatura. Uff, i fratelli. Ma quando entrò al circolo, gli bastò guardarsi intorno per scoprire che di andarsene non aveva affatto voglia. Vide una sfilza di campi uno di fianco all’altro, vide le signore ben vestite e ne sentì il profumo, vide i gilet degli uomini che in famiglia nessuno aveva portato mai. Fu quello il momento in cui Manolo Santana decise che la fretta di tornare a casa era sparita, che l’urgenza era diventata un’altra e quell’urgenza si chiamava tennis. 

Era un mondo bello e impossibile, affascinante come una cosa proibita. Manolo non aveva neppure bisogno di chiedere a sua madre, sapeva che i soldi per comprare una racchetta non c’erano. Se ne costruì una con i resti dello schienale ovale di una sedia e persino con quella dimostrava di saperci fare. Enrique Yunta sul quotidiano Abc racconta che allora intervenne la famiglia Romero Girón, tutti abbiamo avuto una famiglia di ricchi come vicini, dentro una gamma di sentimenti che va dall’invidia all’odio. Con le loro tasche piene “si fecero carico della formazione del ragazzo, lo avevano visto giocare quasi di nascosto. Quel talento non era comune e si assunsero la responsabilità dei suoi studi, della sua crescita e della sua educazione, quasi adottandolo durante le estati passate a El Cañizar. Lì, su un campo da tennis vicino alle fabbriche, Manolo perfezionava i suoi colpi, con l’innocenza di un bambino che non avrebbe mai immaginato dove sarebbe finito”.

Se Braulio non avesse dimenticato il suo bocadillo sul tavolo, forse la Spagna non avrebbe mai avuto i suoi primi Slam da Manolo, quattro in tutto, il Roland Garros 1961 e 1964, gli US Open 1965, Wimbledon 1966. Quattro perle in mezzo a 72 tornei vinti. Per il primo titolo a Parigi dovette battere una dietro l’altra le prime tre teste di serie, Emerson ai quarti di finale, Laver in semifinale, Pietrangeli in finale, rimontando da due set a uno, per chiudere 6-0 6-2 e restare chiuso nello spogliatoio un’ora a piangere di gioia. Pietrangeli fu l’avversario sconfitti anche nella finale del 1964. Prima di Santana, la Spagna non aveva mai vinto a Wimbledon. Prima di Santana, un europeo non trionfava a New York dal 1928.

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