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A margine della finalissima scudetto raggiunta dal suo Rungg contro Parioli, scontro poi vinto dalla compagine capitolina, abbiamo intervistato Manuel Gasbarri, ex-giocatore professionista ed oggi Direttore Tecnico del circolo altoatesino, nonché uno degli allenatori di punta del club assieme a suo fratello Valerio.
Buonasera Manuel, innanzitutto grazie per il suo tempo! Ci spiega come dalla periferia di Roma è arrivato, ormai vent’anni fa, a stabilirsi a Bolzano?
Sono due ambienti molto differenti, in effetti [ride, ndr]. Negli ultimi anni di carriera ho giocato il campionato a squadre per il TC Bolzano, quindi mi sono preso carico del settore agonistico del circolo. Dopo qualche anno però, ho capito che non era l’ambiente ideale per me, ed ho accettato di buon grado la proposta del Rungg nel 1999, portando con me i miei ragazzi, tra i quali Mara Santangelo (ex-Top 30 WTA) e Farrukh Dustov (tra i primi 100 al mondo nel 2015).
Di lì è nata una collaborazione proficua con il Rungg...
Sì, nonostante siamo in un paesino ed abbiamo un bilancio non paragonabile a quello degli altri circoli partecipanti alla Serie A, siamo l’unica squadra italiana ad avere una formazione che compete nei campionati di A1 e B1 sia nel maschile che nel femminile. Un risultato incredibile per noi, anche per merito dell’imposizione della regola dei vivai nei campionati a squadre, che ci permette di mettere in mostra tutta la qualità del nostro vivaio, un fiore all’occhiello del nostro circolo.
Abbiamo avuto l’opportunità di vederli all’opera anche nella recente finale-scudetto contro Parioli.
Devo dire che se avessimo potuto giocare con il nostro vivaio in condizioni perfette saremmo stati i favoriti per la vittoria finale, però purtroppo abbiamo avuto qualche piccolo problema di infortuni; detto questo, siamo contenti di aver dato spazio ai nostri giovani più interessanti come Lara Pfeifer e Maximilian Figl, che era uno dei nostri obiettivi nella stagione.
E giocatori più affermati come Gaio e Vilella Martinez come li avete convinti ad unirsi a voi?
Con Mario Vilella (attuale N.177 ATP) ci siamo conosciuti anni fa nel circuito Futures, spesso ci allenavamo insieme e ci siamo trovati da subito bene; quest’anno si è poi aggiunto anche Federico Gaio (N.153 ATP), da me voluto fortemente, che da queste parti aveva vinto un 25.000 qualche anno fa ed aveva lasciato buon ricordo di sé. È un bravissimo ragazzo ed ha risposto alla grande perché ha vinto tutti i singoli e i doppi cui ha preso parte; non dimenticherei anche Marco Bortolotti, che sta diventando un doppista di livello mondiale e da un po’ gestisce la nostra squadra di Serie B. Spero possa restare al Rungg anche una volta chiusa la sua carriera.
Ma parliamo un po’ della sua carriera adesso: come mai il ritiro a soli 24 anni?
La stagione ’95 è stata l’ultima vera stagione che ho disputato, dopodiché ho soltanto fatto qualche apparizione qua e là. La causa principale è stato un infortunio fastidioso alla schiena che mi tormentava già da qualche anno e mi impediva di rendere al massimo. Per cui ad un certo punto ho dovuto prendere una decisione sofferta: peccato, perché ero un atleta promettente.
Era arrivato alla soglia dei primi 200 al mondo a soli 19 anni se non sbaglio...
Cominciavo già a pensare in grande, in effetti. Davide Sanguinetti, per fare un esempio, un mio coetaneo che ha avuto una carriera di tutto rispetto, non mi ha mai battuto fino al ’92. A 19 anni, poi, ho battuto Paolo Canè al Challenger di Salerno, in un periodo dove perdeva molto di rado. Persi poi al turno successivo da Martin Strelba in un incontro molto combattuto, ma consideri che Strelba qualche settimana prima aveva battuto Stefan Edberg che era il numero due al mondo. Sulla terra rossa avevo raggiunto un livello molto interessante, che lasciava presagire tutt’altra carriera per me: come dico sempre, per il tennis professionistico ero pronto su tutti i piani, tranne quello fisico. Paragono la mia traiettoria a quella di tanti ragazzi italiani ancora in attività: giocatori di qualità, che però hanno problemi di infortuni già in giovane età, perché magari hanno giocato troppo a livello giovanile.
Il paragone non fa una piega.
Io dico sempre che Quinzi, Baldi e compagnia hanno salvato la vita a Matteo Berrettini [ride, ndr]: ha avuto modo di fare le cose con più calma, è arrivato dalle retrovie ed ora i risultati sono sotto gli occhi di tutti!
Tornando al suo ruolo al Rungg, vedo che si circonda di uno staff di altissimo livello, come suo fratello Valerio o Marco Panichi, il preparatore atletico di Novak Djokovic.
Sì, a cui si aggiungono il bravo Daniele Ceraudo che si concentra in particolar modo sulla squadra femminile e Georg Winkler che ci dà un grosso aiuto. Per quanto riguarda mio fratello Valerio, mi ha raggiunto a Bolzano circa 15 anni fa per un anno di prova, in quanto avevo bisogno di una mano. Ha capito in fretta che era un percorso che gli piaceva molto e sono fortunato che abbia deciso di continuare con me, perché è bravo in tutto! Lo invidio! Marco Panichi è per me come un fratello, perché sono stato il suo primo giocatore quando eravamo ancora ad Ostia; mi ha sempre aiutato e, quando il calendario glielo permette, viene qui al Rungg ed aiuta ad impostare il lavoro atletico.
C’è anche lui dunque dietro la magnifica stagione del Rungg. A proposito del campionato di Serie A1, ha qualche idea in merito a come accrescere l’interesse nei confronti di questa competizione?
Io credo che la chiave di tutto sia economica: i giocatori come Fognini, Musetti sono portati a snobbare la competizione perché giocare tornei ATP è più redditizio. Gli sponsor presenti attualmente in Serie A sono aziende medio-piccole ad estrazione locale: bisognerebbe trovare il modo di far avvicinare al tennis delle aziende di caratura maggiore, e per far sì che ciò avvenga si potrebbe cominciare dal trasmettere in TV tutte le partite. È importante avvicinare le persone al tennis, pensi a quante persone in più verrebbero ad assistere alle partite se Sinner, altoatesino, tornasse a disputare una partita nel nostro circolo. Il margine per migliorare il campionato c’è, e la base non è così malvagia se prendiamo come esempio Pedro Martinez Portero (N.60 ATP), che dopo aver disputato la Davis ha deciso di venire a giocare le finali-scudetto invece di andare in vacanza.
Su una regola mi pare di capire che vi troviate particolarmente d’accordo: il vivaio.
Quella è una regola che secondo me è fondamentale ed è stata la svolta del tennis italiano, perché ha costretto tutte le realtà ad investire su loro stesse. Per un ragazzino di 17 anni è importante allenarsi e fare qualche scambio con un Fognini, o giocare qualche doppio con lui. Poi qui al Rungg abbiamo adottato questa filosofia da ancora prima che la rendessero una regola [ride, ndr].