L’ultima settimana di Andy Murray è stata eufemisticamente densa di eventi contrastanti: da un lato, ha mostrato ottimi segnali al Mubadala WTC di Abu Dhabi, dove ha battuto Dan Evans e Rafa Nadal prima di soccombere ad Andrey Rublev in finale; dall’altro, ha visto il COVID-19 giocare a dieci piccoli indiani con gli altri partecipanti al torneo, decidendo pertanto di sigillarsi ermeticamente nella sua magione in Surrey per non mettere a repentaglio la partenza per l’Australia, dove con ogni probabilità lo attende una wild card calda calda.
Nonostante il marasma, ha rilasciato diverse interviste che abbiamo riportato nei giorni scorsi, anche perché Muzza è un raro caso di atleta sempre capace di favella stimolante. Non da ultima, una testata con cui ha accettato di condurre un Q&A è Sport Klub, un sito serbo che l’ha interrogato sulle sue condizioni e sulle rivalità che hanno segnato la sua eccezionale carriera.
MISSION IMPOSSIBLE
Durante l’intervista, Sir Andy ha parlato soprattutto delle condizioni in cui i Big Three diventano pressoché invincibili, cosa che sfortunatamente per lui ha potuto sperimentare per molti anni, in particolare contro Djokovic in Australia: “La prima cosa che mi viene in mente quando si parla di Novak è l’Australia, lì è inavvicinabile. Batterlo è una missione quasi impossibile. Penso abbia vinto nove titoli, un risultato pazzesco. In generale, è difficile contro Novak su tutte le superfici, ma lì in particolare, perché tutto gli si addice, soprattutto le superfici“.
Pur riconoscendo la straordinaria completezza di Nole, tuttavia, secondo Murray non è l’avversario più complicato da affrontare a SW19, dove lo scozzese ha vinto nel 2013 (battendo proprio Djokovic in finale in tre set) e nel 2016: “Abbiamo giocato anche sull’erba, l’ho battuto due volte, forse ho trovato il modo di affrontarlo. Contro Federer invece ho perso diverse partite importanti sull’erba, quindi posso dire che è un po’ più dura contro di lui che contro Novak a Wimbledon“.
Discorso a parte per la terra battuta, anche se in questo caso si parla di una superficie sulla quale Murray è riuscito a diventare competitivo ai massimi livelli solo nel biennio 2015-2016, guarda caso il momento di calo del più grande di sempre sul rosso: “Sulla terra non c’è dubbio che la cosa peggiore sia trovare Nadal dall’altra parte della rete. È forse il compito più difficile nel mondo dello sport batterlo sulla superficie più lenta. Soprattutto a Parigi. È completamente diverso quando giochi contro di lui su un’altra superficie. Non sto dicendo che sia facile, ma è molto più facile che sulla terra battuta“.
Nonostante tutto, però, Murray è riuscito a battere ciascuno dei Big Three sulle rispettive superfici preferite: ha sconfitto Djokovic per ben otto volte sul cemento (su 28 confronti, va detto), Nadal per due volte sulla terra (Madrid 2015 e 2016), e Federer una volta sull’erba (nella finale olimpica del 2012). Si tratta di un notevole attestato alla grandezza della sua carriera, grandezza solamente rafforzata dalla pertinacia mostrata negli ultimi anni; ricordiamo che all’inizio del 2019 un Murray in lacrime sembrava ormai prossimo al ritiro in seguito alla sconfitta subìta contro Roberto Bautista Agut all’Australian Open.
LE PROSPETTIVE PER IL 2022
Come detto, Murray ha giocato molto bene ad Abu Dhabi, che, pur essendo un’esibizione, è situata in una posizione nevralgica per i giocatori in cerca di segnali per il nuovo anno. A dispetto della sconfitta in finale, è sembrato molto contento della risposta avuta dal fisico: “Ho giocato contro Evans, Nadal e Rublev. Tre stili diversi, tre abbinamenti di altissima qualità. È positivo che il corpo sia in ottime condizioni, che ho sopportato questa intensità di partite. Certo, ci sono stati anche segmenti negativi, soprattutto nella finale contro Rublev. C’è del lavoro da fare, ma in generale posso ritenermi soddisfatto“.
Nei prossimi giorni (al netto di eventuali strascichi del focolaio creatosi al Mubadala) volerà a Melbourne, dove si è fermato ad un passo dal traguardo per ben cinque volte senza mai trionfare, un record per gli Slam maschili (2010, 2011, 2013, 2015 e 2016): “Amo giocare in Australia. Vorrei aver vinto una delle mie finali lì. Ho giocato la partita decisiva con Novak quattro volte e una semifinale brutale [nel 2012, ndr]. Ho perso una finale contro Federer. Realisticamente non ho nulla di cui vergognarmi, considerando quello che hanno fatto tutti questi ragazzi. Sono i migliori della storia. Forse avrei meritato di vincere il titolo almeno una volta, ma non è successo. Nel complesso, però, Melbourne è uno dei miei posti preferiti per giocare a tennis“.
Come ultima considerazione, l’ex-N.1 ATP ha riflettuto su cosa sarà necessario fare per tornare nel gotha contemporaneo: “Il gioco è leggermente cambiato negli ultimi anni. Tuttavia, non così drasticamente. So ancora cosa ci vuole per essere al top, quali sono quei colpi. Questo è quello che mi resta del periodo in cui sono stato il primo al mondo nel 2016“. Certo, rispetto ad allora ci sono delle problematiche aggiuntive: “Non sarà facile, a causa dell’intervento all’anca ci sono una serie di limitazioni a come posso muovermi in allenamento. Ci sono anche cose fuori dal campo adesso, la famiglia, a cui mi dedico anche io. Il mio desiderio è di provare a tornare fra i primi del circuito. Vedremo quanto sarà realistico e fattibile“.