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Barbora Krejcikova, tennista ceca, non aveva mai sognato una carriera da professionista. Non tappezzava la sua camera con i poster dei grandi giocatori suoi connazionali, non palleggiava contro un muro a tarda notte, fingendo di giocarsi un match point a Wimbledon, né, a sette anni, trascorreva ore ad allenarsi in palestra. Una volta, dopo aver vinto un torneo giovanile locale, ha ricevuto un poster promozionale di Andre Agassi, ma non ricorda nemmeno che fine abbia fatto.
“Ho sempre amato il tennis, e ho sempre desiderato giocare, ma solo per divertimento”, dice Krejcikova in una video-intervista realizzata ad ottobre. “Solo a 16 o 17 anni, mentre partecipavo agli Slam nella categoria juniores, ho capito che diventare una professionista era ciò che volevo veramente. Volevo ritrovarmi nello stesso spogliatoio delle superstar e confrontarmi con loro”.
Tre anni fa, Krejcikova in singolare era classificata oltre la posizione numero 200 del mondo; poi però ha raggiunto la posizione numero 1 in doppio con la sua connazionale Katerina Siniakova. Adesso è la numero 5 del mondo in singolare [con un best ranking di N.3, ndr], ed è diventata la prima tennista dopo la collega ceca Karolina Pliskova (che ci era riuscita nel 2016) a qualificarsi per le WTA Finals, sia in singolare sia in doppio. Lei e Pliskova hanno entrambe giocato a Guadalajara a novembre; sono entrambe uscite ai gironi, ma in ogni caso la Cechia ha avuto ben due giocatrici in singolare fra le otto partecipanti. Krejcikova si è qualificata vincendo l’Open di Francia a giugno, e approdando ai quarti di finale allo US Open e agli ottavi a Wimbledon.
“Ciò che è successo durante l’ultima stagione è difficile da descrivere”, ha detto Krejcikova. “In pratica è stato tutto perfetto. Una stagione meravigliosa. Quella in cui ho svoltato sul serio. Sono felicissima di come siano andate le cose”.
Krejcikova, 25 anni, è l’ultima di una lunga serie di grandi tenniste ceche. Vera Sukova ha raggiunto la finale di Wimbledon nel 1962. Martina Navratilova ha conquistato due finali Slam nel 1975, quando ancora giocava per la Cecoslovacchia, e ha poi finito per vincere 18 Slam, tra cui nove Wimbledon, dopo aver preso la cittadinanza statunitense.
Hana Mandlikova, Jana Novotna e, più recentemente, Petra Kvitová hanno tutte vinto degli Slam, mentre Pliskova, che quest’anno ha giocato la finale a Wimbledon perdendola contro Ashleigh Barty, è stata numero uno del mondo nel 2017. La figlia di Sukova, Helena, ha vinto 14 Slam in doppio.
La Cechia ha vinto la Fed Cup sei volte in otto edizioni fra il 2011 e il 2018. Krejcikova ha fatto parte della squadra, giocando in doppio nel 2018 e nel 2019. A fine stagione ha debuttato in singolare nel torneo, ora ribattezzato Billie Jean King Cup, a Praga.
“Se così tante giocatrici ceche possono vantare un percorso di successo è merito soprattutto degli allenatori e dell’ottima tecnica che insegnano”, ha detto Mandlikova, vincitrice di quattro Slam negli anni ’80, prima di allenare Novotna, vincitrice di Wimbledon nel 1998 e poi a sua volta allenatrice di Krejcikova. “A volte impieghi del tempo per conseguire determinati obiettivi, ma quello che impari ti accompagna per sempre”.
Krejcikova non era certo una sconosciuta, neppure da ragazzina. A 17 anni, nel 2013, ha vinto i Campionati Europei Juniores sia in singolare sia in doppio. Lo stesso anno, si è aggiudicata ben tre Slam in doppio con Siniakova, ossia l’Open di Francia, Wimbledon e lo US Open.
Sempre insieme nel WTA Tour, la coppia ha vinto l’Open di Francia e Wimbledon nel 2018, e di nuovo l’Open di Francia quest’anno. Dopo aver guadagnato una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo, le due si sono qualificate per la terza volta alle WTA Finals, dove avevano raggiunto la seconda posizione nel 2018, e hanno vinto il torneo. Krejcikova, inoltre, ha vinto per tre volte l’Australian Open nel doppio misto.
“Ricordo quando abbiamo giocato l’Australian Open nel 2020, e lei stava iniziando a scalare la classifica anche in singolare. Allora militava intorno al N.120-130”, ha detto Nikola Mektic, parte della squadra di doppio maschile numero 1 al mondo. “Al momento, essere nella Top 5 in singolare per lei rappresenta un traguardo importante. Ciononostante continua comunque a giocare in doppio, incluso quello misto. È davvero bravissima”.
Tra il 2014 e il 2019, Krejcikova ha cercato di migliorare il suo gioco in singolare, partecipando alle qualificazioni per i quattro Slam ben 16 volte e raggiungendo il tabellone principale soltanto in una occasione. Si è allenata per diversi anni al TK Agrofert Prostejov, lo stesso club in cui si allenava Kvitova.
“Petra è una leggenda”, ha detto Krejcikova. “Non facevo che guardarla e sperare di poter giocare con lei. Poi ci siamo ritrovate insieme nella squadra di Fed Cup, e ciò che sognavo si è avverato – è stato semplicemente pazzesco”.
Secondo Kvitova, il successo in doppio ha reso Krejcikova un’ottima giocatrice anche in singolare. “Il doppio ha aggiunto varietà al suo gioco e le ha consentito di interpretare le partite da entrambe le prospettive”, ha detto Kvitova, due volte vincitrice a Wimbledon. “Può vantare un servizio in kick che poche giocatrici possiedono. Ed è brava nel drop shot, nello slice, nel topspin, nel serve-and-volley, praticamente in qualunque cosa”.
Nel gennaio del 2014, Krejcikova, che aveva da poco compiuto 18 anni, e sua madre, Hana Krejcikova, si recarono da Novotna nella sua casa di Brno, a caccia di consigli. Alla fine, Novotna accettò di diventare l’allenatrice di Krejcikova. “È stata un punto di riferimento fondamentale, e sono felice che abbia deciso di allenare me piuttosto che qualcun altro”, ha detto Krejcikova di Novotna, che è morta di cancro all’età di 49 anni nel 2017. Proprio per commemorare Novotna, Krejcikova ha partecipato alla campagna ACEing Cancer della WTA. “Anche quando le altre facevano già parte della Top 100, mentre io giocavo ancora nei tornei ITF e dovevo fare le qualificazioni, lei mi ripeteva di continuo: ‘Sii paziente, diventerai come me. Continua a migliorare e alla fine ci arriverai’. E, dal nulla, eccomi qui”.
Traduzione a cura di Rossella Carrus