Archiviati iracondi ed eretici, è ora giunto il momento di lasciate spazio ai lussuriosi ed ai violenti contro sé stessi.
I LUSSURIOSI: AGASSI E GRAF
Se qualcuno non ha ancora letto la bellissima autobiografia di Andre Agassi intitolata “Open”, se ne faccia regalare copia per Natale e rimedi. Nelle ultime pagine del libro, troviamo Agassi e Graf intenti a palleggiare in un campo da tennis pubblico. Andre descrive così quel palleggio con la sua compagna: “…Le nostre spalle si sciolgono i muscoli si scaldano. Il ritmo accelera. Colpisco la palla forte e pulita e mia moglie fa lo stesso. Passiamo dal palleggiare oziosamente a scambiarci colpi energici. Lei tira un diritto perfido. Io colpisco un rovescio bellissimo – in rete. È il primo cross di rovescio che sbaglio da vent’anni. Fisso la palla a terra contro la rete. Per un attimo la cosa mi disturba. Glielo dico. Mi sto irritando. Poi rido e anche Stefanie ride e ricominciamo….”
A differenza di Paolo e Francesca, per loro galeotto non fu il libro e chi lo scrisse, ma bensì un comune destino che li rese potenziali anime gemelle sin dalla più tenera infanzia. Entrambi furono forzatamente avviati al tennis dai rispettivi padri (due energumeni che avrebbero ben figurato nel libro “Padre-padrone” di Gavino Ledda).
Entrambi furono fenomeni di precocità: Andre debuttò a 16 anni nel circuito professionistico, Steffi a 13. Nell’ottobre del 1982, a Stoccarda, Graf venne sconfitta 6-4 6-0 da Tracy Austin, seconda testa di serie del torneo ed ex numero 1 del mondo. Le incaute parole pronunciate dalla vincitrice al termine della partita furono: “Ci sono centinaia di giocatrici come lei negli USA”. Dodici anni dopo, a Indian Wells, Austin fu ringraziata per la scortesia con un duplice 6-0 nel loro secondo e ultimo confronto.
Il primo grande trionfo di Graf arrivò a Parigi nel 1987; nei successivi quattro anni vinse altri 9 Major. Nel 1988, a 19 anni, realizzò il Golden Slam: oro olimpico più le quattro prove dello Slam. Nessuno – né uomo né donna – è mai riuscito a fare tanto.
Il suo regno fu messo in crisi da Monica Seles. Quattro anni più giovane di Graf, Seles tra il 1991 e il 1993 conquistò otto titoli dello Slam e la vetta della classifica. La sciagurata coltellata di un folle ammiratore della giocatrice tedesca il 30 aprile 1993 la mise fuori combattimento per oltre due anni e permise a Graf di tornare a dominare quasi incontrastata sino al 1996. Nel 1997 iniziarono i problemi fisici che la indussero a ritirarsi due anni dopo, nell’agosto del 1999; l’ultima stagione vinse per la sesta volta il Roland Garros e raggiunse la finale a Wimbledon. Al momento del ritiro occupava la terza posizione mondiale.
Graf fu una tennista straordinaria e un’atleta ancora migliore; a tale proposito l’ostacolista Harald Schmidt – medaglia di bronzo olimpica – dopo averla vista allenarsi in pista affermò: “Se avesse deciso di dedicarsi all’atletica sarebbe sicuramente diventata una campionessa olimpica”. A queste eccezionali doti fisiche faceva adeguata compagnia il diritto; meno dotata sul lato sinistro, era però capace di difendersi molto bene con lo slice, che sul manto erboso in mano sua diventava una temibile arma offensiva, come anni prima lo era stato per Bjorn Borg.
SCHEDA DEL GIOCATORE
Nome | Stefanie Marie Graf |
Nato il | 14/06/1969 |
Nazionalità | Tedesca/Statunitense |
Titoli vinti | 107 |
Titoli Slam | 22 (7 W, 6 RG, 5 USO, 4 AO) |
Oro Olimpico | 1 (1988) |
Fed Cup | 2 |
Miglior Classifica | 1 (377 settimane) |
Andre Agassi non ha vinto tanto quanto Steffi Graf, ma è comunque uno dei giocatori più vincenti della storia del tennis maschile. È infatti membro dell’esclusivo club composto dagli otto giocatori che hanno vinto almeno una volta tutte le prove dello Slam. I restanti sono: Fred Perry, Don Budge, Rod Laver, Roy Emerson, Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic. Non male per uno che a inizio carriera fu sprezzantemente definito da Ivan Lendl “un taglio di capelli e un diritto”.
Se Lendl non si offende, aggiungiamo che Agassi ha un ruolo forse ancora più importante del suo nella storia del tennis: fu infatti il primo giocatore a meritare il titolo di “attaccante da fondocampo” grazie alla sua preternaturale capacità di colpire la palla in anticipo da fondocampo e di essere sempre in perfetto equilibrio con i piedi; doti probabilmente dovute alle infinite ore passata da bambino a ribattere palline scagliate a velocità supersonica da una macchina spara-palle costruita dal suo affabile papà, Emanoul. Sulle sue qualità di “attaccante a rete” è invece meglio sorvolare.
Nessuna pena per loro nell’Oltretennis: i loro rispettivi padri sono stati una pena più che sufficiente nell’al di qua.
SCHEDA DEL GIOCATORE
Nome | Andrè Kirk Agassi |
Nato il | 29/04/1970 |
Nazionalità | Statunitense |
Titoli vinti | 60 |
Titoli Slam singolare | 8 (4 AO, 2 USO, 1 RG, 1 W) |
Miglior classifica ATP | 1 (101 settimane) |
IL VIOLENTO CONTRO SÈ STESSO: JIRO SATO
Settantun anni prima di Kei Nishikori, il Paese del Sol Levante diede i natali ad un altro grande campione, il primo della sua storia tennistica: Jiro Sato.
Sato all’inizio degli anni ’30 fu infatti uno dei migliori giocatori del mondo. Arthur Wallis Myers – il più eminente giornalista sportivo dell’epoca dedicato al tennis – nella sua classifica lo mette al terzo posto in singolare nel 1933 dietro Jack Crawford e Fred Perry. Sato acquisì fama mondiale quando nel 1932 batté a Wimbledon nei quarti il campione in carica Sidney Wood per poi essere sconfitto in semifinale da Bunny Austin. L’anno successivo al Roland Garros, sempre ai quarti di finale, colse la sua vittoria più prestigiosa contro Fred Perry.
Raggiunse le semifinali di Parigi e Londra per due volte ed una volta quella dell’Australian Open; allo US Open non andò mai oltre gli ottavi di finale. Risultati di tutto rispetto ma non sufficienti per garantirgli un posto negli annali del tennis oltre i confini del suo Paese. A garantirglielo è il gesto che Sato compì “nel più crudele dei mesi” secondo T.S. Eliot, ovvero aprile. Più precisamente giovedì 5 del 1934.
Quel giorno Sato si trovava a bordo di una nave che solcava lo stretto di Malacca per portare lui e i suoi compagni di squadra in Gran Bretagna, dove erano attesi dalla squadra australiana per disputare il secondo turno del torneo oggi noto come Coppa Davis (o quel che ne resta) ed all’epoca come International Lawn Tennis Challenge.
Da tempo Sato soffriva di forti dolori allo stomaco e aveva chiesto alla sua federazione di essere esonerato dalla trasferta europea. Invano. Poco prima della mezzanotte di quel giorno di aprile scomparve. Nella sua cabina vennero trovate due lettere: una indirizzata alla sua squadra ed una al capitano della nave. Nella prima esprimeva dubbi riguardo alla possibilità di essere d’aiuto in campo date le condizioni fisiche in cui versava ed esortava i compagni a dare il meglio di loro stessi per vincere; la lettera si concludeva con le seguenti parole “io sarò sul campo con voi in spirito”. Nella seconda si scusava per il disturbo che il suo gesto avrebbe causato. Vennero trovate altre prove che conducevano ineluttabilmente alla conclusione che il tennista si fosse gettato in mare, e il 6 aprile sul ponte del transatlantico vennero celebrate cerimonie commemorative per onorarne la memoria. Fred Perry disse che Sato “era una delle persone più allegre che avessi conosciuto”; forse non lo conosceva così bene.
Nessuna pena neppure per lui nell’Oltretennis. L’ha già scontata sulla Terra.
SCHEDA DEL GIOCATORE
Nome | Jiro Sato |
Nato il | 05/01/1908 |
Morto il | 05/04/1934 |
Nazionalità | Giapponese |
Titoli vinti | 18 |
Titoli Slam | – |
Coppe Davis | – |
Miglior Classifica | 3 |
I LUSSURIOSI DANTESCHI: PAOLO E FRANCESCA (a cura di Gianmarco Gessi)
«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
(Inferno V, vv 100-107)
Paolo e Francesca nell’immaginario universale da settecento anni rappresentano la quintessenza della passione amorosa. Tanto forte è lo sdegno che il Poeta mostra nell’ottavo canto nei confronti di Filippo Argenti, tanto grande è la compassione che egli prova nel quinto per questi due sventurati amanti e in particolare per la portavoce della coppia, Francesca; con queste parole l’apostrofa infatti Dante dopo averne udito il racconto: “Francesca i tuoi martiri a lagrimar mi fanno triste e pio” (VV 116-118).
La vicenda letteraria di Paolo e Francesca è nota: due giovani che in circostanze occasionali si innamorano l’uno dell’altra e che per questo furono uccisi dal marito di lei. Meno nota è la loro vicenda reale. Francesca – che apparteneva alla famiglia ravennate dei Polenta – fu data in sposa al riminese Gianciotto Malatesta, detto “lo sciancato”, nel 1275 quando era ancora quindicenne, al fine di rendere più forti i legami tra le due potenti famiglie. Paolo Malatesta – detto “il bello“ – era il fratello minore di Gianciotto e quindi cognato di Francesca.
È storicamente certo il fatto che Paolo e Francesca furono uccisi – o fatti uccidere – da Gianciotto in una data presumibilmente compresa tra il 1283 e il 1285, ma le reali cause che portarono Gianciotto a tale gesto sono ignote. Il movente della gelosia è solo un’ipotesi popolare priva di riscontri storici alla quale Dante diede credito, dando così vita a una delle più memorabili creazioni artistiche di tutti i tempi.
Dante – per quanto commosso dalla loro tragica vicenda – non risparmia però loro la dannazione eterna e la relativa pena, consistente nell’essere trascinati a destra e a manca da un’incessante bufera, simbolo della passione che in vita li travolse e li perdette: per Dante le leggi morali pesano più delle ragioni del cuore. Dura lex sed lex.
IL VIOLENTO CONTRO SÈ STESSO DANTESCO: PIER DELLA VIGNA (a cura di Gianmarco Gessi)
«L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto».
(Inferno XIII, vv 70-72)
La voce proviene da un arbusto secco che costituisce la dimora eterna di Pier della Vigna, il quale con queste alate parole ammette di fronte ai due viandanti la colpa che lo ha condotto alla dannazione perpetua: il suicidio. La scena si svolge nella Selva dei Suicidi del tredicesimo Canto.
Da quale disdegno voleva fuggire lo sventurato dandosi la morte? Pier della Vigna fu uno dei più importanti esponenti della prosa latina e medioevale; visse tra la
fine del dodicesimo e la metà del tredicesimo secolo e rivestì l’importante incarico di giudice imperiale presso la corte di Federico II di Svevia, l’imperatore che per le sue doti straordinarie fu appellato “Stupor Mundi”, ovvero meraviglia del mondo.
In questo ruolo fece parte fece parte della commissione che presiedette alla realizzazione delle Costituzioni di Melfi (1231), codice legislativo considerato tra i più importanti nella storia del diritto.
All’apice del suo successo cadde in disgrazia, ma sulle cause che ve lo condussero esistono solo delle ipotesi; la più accreditata è che si macchiò di corruzione per mere ragioni di arricchimento personale. È invece certo che fu arrestato a Cremona all’inizio del 1249 come traditore, e poi accecato con un
ferro rovente a Pontremoli per ordine di Federico II.
Secondo Francesco da Buti, uno dei più autorevoli e antichi commentatore della Commedia, Della Vigna fu portato in prigionia a Pisa, dove si suicidò sbattendo volontariamente la testa contro la parete della cella. I suicidi nella Commedia sono trasformati in alberi ed arbusti, e le Arpie lacerano i loro corpi vegetali. Non andrà loro meglio dopo il giudizio universale: essi potranno riprendere i loro corpi ma solo per portarli nella selva dove ogni anima appenderà il proprio ad un albero.