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Lacoste sul caso Djokovic: “Stiamo facendo le nostre valutazioni”. Cosa succederà con gli altri sponsor?
Il coccodrillo è il primo partner del N.1 ATP a parlare di quanto successo all’Australian Open. Gli altri sponsor in silenzio…o quasi.

L’assioma da cui nasce la cosiddetta “Legge di Murphy” recita così: “Se qualcosa può andare storto, lo farà“. Quest’ultima però è solo una semplificazione, attribuibile a Arthur Bloch, scrittore statunitense. In realtà, se volessimo andare al fondo della questione, Edward Murphy, ingegnere dell’United States Army Air Corps, non disse esattamente così. La frase storica, quella da cui prese il via il tutto fu: “Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo“. Quel qualcuno declinato al mondo del tennis, in questo momento, non può non avere le fattezze di Novak Djokovic. Il perché lo sapete; se così non fosse vi consigliamo di rileggere l’editoriale del direttore sul tema.
L’affaire Djokovic è stato affrontato sotto molti punti di vista: giuridico in primis, poi sportivo, il piano politico e ovviamente d’immagine. Su quest’ultimo punto vorremo soffermarci, partendo dai riflessi che quanto accaduto potrebbero avere su quello che è il rapporto tra il numero uno al mondo e i suoi sponsor. Sì perché le sue posizioni abbastanza controverse e discutibili sulla questione vaccinale non potranno non imporre delle riflessioni a quei brand come Lacoste, Asics, Head, Peugeot, Hublot, Raiffeisen Bank International, che prima degli accadimenti delle ultime settimane hanno sborsato milioni di dollari per associare la propria immagine a quella di Djokovic. E adesso?
Per ora, una sola voce si è espressa in maniera piuttosto netta sulla vicenda, ma è una voce che ha un suo peso nell’economia delle sponsorizzazioni del serbo, nonché una discreta influenza nel mondo tennistico. Lacoste, attraverso un comunicato, ha fatto presente di “voler rivedere e analizzare gli eventi che hanno scatenato una battaglia legale di quasi due settimane e impedito al serbo non vaccinato di difendere il suo titolo agli Australian Open. Il prima possibile ci metteremo in contatto con Novak Djokovic per rivedere gli eventi che hanno accompagnato la sua presenza in Australia. Auguriamo a tutti un eccellente torneo e ringraziamo gli organizzatori per tutti i loro sforzi volti a garantire che il torneo si svolgesse in buone condizioni per giocatori, staff e spettatori”. Se a questo aggiungiamo il fatto che il Governo francese abbia di fatto, e ad oggi per le stesse motivazioni figlie del Novax pensiero, estromesso Djokovic dal Roland Garros, dalla Francia non arrivano buone notizie per Djokovic, anzi.
Dagli altri fronti tutto tace per ora o quasi. Hublot, di cui vi abbiamo raccontato, solo qualche mese fa, la genesi dell’accordo con Djoko e l’orologio per lui pensato, ha dichiarato al Financial Times una mezza frase che suona più come un voler prendere tempo per analizzare gli sviluppi, senza però dimostrarsi particolarmente tranchant: “Sono decisioni personali e come tali, non possiamo commentare e giudicarle”. Per ora, aggiungeremmo noi.
Più delineata la posizione della banca cooperativa austriaca Raiffeisen che nell’aprile scorso aveva concordato un accordo pluriennale sfruttando “l’alta reputazione del tennista nell’Europa centrale e orientale”, aggiungendo però che la partnership era stata concordata “molto prima dell’attuale rapporto su Novak Djokovic e il suo stato di vaccinazione contro il Covid-19, o la sua partecipazione agli Australian Open“.
Ma non è solo una questione astrattamente legata alla sfera economica. La questione sicuramente più incerta sugli sviluppi del tema è quella legata ad Unicef, di cui Djokovic è Goodwill Ambassador dal 2015, e il cui vicepresidente Yoka Brandt lo aveva introdotto così: “Novak Djokovic è un vero campione e un esempio per i bambini di tutto il mondo”. Sappiamo bene quanto abbia fatto il serbo per i bambini della sua nazione e per i tanti che attraverso la “Novak Djokovic Foundation” sono stati aiutati direttamente attraverso programmi di sviluppo. Ma è altrettanto vero che questa vicenda e quello che accadrà nei prossimi mesi non possa non avere ripercussioni sull’alone generale dell’atleta e dell’uomo. E come in quest’ultimo caso, it’s not just about the money.
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Sabalenka tra passato e futuro: “Pensavo ai doppi falli e non riuscivo a controllarmi. Ora voglio vincere altri Slam”
La nuova numero uno del mondo si racconta a Tennis Magazine, dall’amicizia con Badosa alla sua passione per la velocità

Uscita dallo US Open senza quello che sarebbe stato il suo secondo titolo Slam, ma con in mano lo scettro di nuova regina del tennis mondiale, Aryna Sabalenka ha ancora davanti qualche giorno di riposo e allenamenti prima di rientrare nel circuito. La bielorussa ha infatti deciso di saltare il 1000 di Guadalajara e ha optato per la stessa soluzione anche in relazione al 500 di Tokyo. Il suo primo match da numero uno del mondo sarà quindi a Pechino, nell’ultimo ‘mille’ della stagione femminile. Così, nel frattempo, Aryna ha concesso un’intervista a Tennis Magazine in cui ha affrontato argomenti tennistici e non. Innanzitutto, la campionessa dell’ultimo Australian Open ha ribadito ancora una volta la sua fame di Slam, scoperta proprio dopo la vittoria a Melbourne: “E’ stato il risultato più importante della mia carriera fin qui. Le sensazioni provate dopo quel successo sono così meravigliose che non si provano in nessun altro ambito della vita, quindi voglio viverle di nuovo, molte altre volte”.
Tra i temi extra-campo ma che comunque hanno punti di contatto con il tennis giocato c’è il grande rapporto di amicizia con Paula Badosa, alle prese con un infortunio alla schiena che ha già messo termine alla sua stagione. Le due hanno disputato alcuni tornei di doppio insieme e, in carriera, si sono scontrate quattro volte (con due vittorie a testa): “nessuna delle due si arrabbia e nemmeno esulta per un bel punto – dice però Aryna – durante la partita ci sono momenti in cui si pensa troppo, momenti in cui vorrei urlare, ma so che non devo farlo perché lei è mia amica e non voglio che si arrabbi con me. Continueremo a supportarci a vicenda, come facciamo sempre”.
A proposito di doppi, la bielorussa ha poi spiegato la scelta di ridurre drasticamente il suo impegno in questa specialità, in particolare durante i tornei del Grande Slam: “È molto difficile competere in entrambi i circuiti, anche mentalmente. Ci sono state volte in cui ho disputato singolare e doppio negli Slam, ma durante il doppio stavo lì a pensare al singolare del giorno dopo. Non sapevo se dare il massimo o meno, come gestire le mie energie. Pensavo troppo e poi perdevo il singolare. Nonostante i successi in doppio (ha vinto, in coppia con Elise Mertens, lo US Open nel 2019 e l’Australian Open nel 2021, oltre a due 1000 e altri tre tornei, ndr) il mio obiettivo principale è sempre stato il singolare. Ne ho parlato con la mia squadra e abbiamo deciso di smettere di giocare il doppio nella speranza che la mia concentrazione sul singolo migliorasse. Questo mi ha aiutato molto”.
Con un collegamento un po’ forzato, ci spostiamo dal doppio ai doppi falli, che hanno a lungo rappresentato un vero e proprio incubo per Sabalenka. Prima della svolta di fine 2022, Aryna, pur essendo riconosciuta da tutti come un’ottima giocatrice, doveva fare i conti con la poco onorevole nomea di regina dei doppi falli. Con grande abnegazione e capacità di lavorare su se stessa, la numero uno del mondo è però riuscita a mettersi alle spalle questo tormento: “Era una questione innanzitutto psicologica, mi sono successe molte cose negli ultimi anni, molte emozioni nella mia testa, e poi sono arrivati i problemi tecnici. Ho lavorato molto duramente per risolverli, individuando il problema. Ora ho cambiato la meccanica del servizio, sia il mio movimento, sia il lancio, sia l’atteggiamento. Ero in estrema difficoltà, era assurdo iniziare a commettere così tanti doppi falli. Ci pensavo così tanto che non riuscivo nemmeno a controllare il mio corpo o il mio braccio… era come se fossero staccati dal resto. Abbiamo lavorato molto sulla biomeccanica e questo ci ha aiutato”.
Infine, Aryna ha provato a descrivere brevemente la sua personalità fuori dal campo, non così simile a quella a cui siamo abituati: “[Nella vita di tutti i giorni] non sono esattamente come in campo… forse solo quando guido, amo le auto sportive e mi piace guidare veloce. Ma nella vita in generale non sono così impulsiva, mi piace divertirmi, sono abbastanza rilassata, non troppo frenetica. È un buon equilibrio, quindi quando mi ritirerò dovrò continuare a praticare sport per scaricare le energie”.
ATP
Nadal: “Sarebbe fantastico giocare la mia ultima Olimpiade in doppio con Alcaraz”
“Io presidente del Real? Mi piacerebbe, ma Perez è un grande. Djokovic il più forte nei numeri, ma il tennis non è solo questo”. Altra intervista del maiorchino

Il giorno seguente la sua apparizione video su Movistar+, Rafa Nadal rilascia la prima intervista alla stampa scritta a quattro mesi dall’annuncio del suo temporaneo ritiro. Il resoconto appare mercoledì 20 sul quotidiano sportivo madrileno AS, nel giorno dell’inizio dei corsi accademici all’Università Alfonso X il Saggio, con la quale collaborano sia l’asso di Manacor che il periodico in questione. Nadal si presenta in maglietta bianca, jeans e giacca blu e con la consueta affabilità risponde alle domande in merito alle sue condizioni e al suo futuro tennistico.
Rafa torna ovviamente sulla questione delle sue condizioni e, riprendendo quanto già esposto nell’intervista precedente, parla del buon evolversi delle proprie condizioni fisiche ma anche delle incertezze legate al livello che riuscirà a raggiungere una volta che riprenderà con continuità in mano la racchetta. “La stagione potrebbe essere per me l’ultima, ma non è detto: dipenderà da quanto io potrò essere competitivo. Sinceramente non mi attira fare come Murray, ossia giocare e non vincere. Vedremo” – continua il campione iberico – “potrei anche non tornare del tutto se non mi riprendo davvero, ma spero proprio di no”.
Il discorso passa poi a due argomenti tennistici che stanno molto a cuore di Rafa: la Coppa Davis e le Olimpiadi. E qui il 22 volte campione Slam, ispirato dalle domande del giornalista, confessa un sogno “olimpico”. “Il mio paese è stato appena eliminato dalla Coppa Davis, altrimenti avrei potuto provare a farmi trovare pronto per novembre. Ma ovviamente così non sarà.
“Per quanto riguarda le Olimpiadi sì, terrei molto a giocarle, tutti sanno quanto io ami il clima olimpico e le sensazioni meravigliose che ho provato vivendolo. Per quanto riguarda un doppio con Carlos, premetto che né io né lui ne abbiamo parlato, ma sarebbe bellissimo poter giocare la mia ultima Olimpiade insieme alla stella nascente di questo sport”.
Il discorso scivola subito sulla finale di Wimbledon e il maiorchino parla con grande ammirazione del suo connazionale. “Ritengo” – è il suo pensiero – “che Carlos stesso non sia affatto stupito dei risultati che ha ottenuto fin qui. In questo momento è l’unico vero avversario di Djokovic, è un gradino sopra gli altri. Quando lui è in campo per il 90% delle volte tutto dipende dal suo talento. La grande notizia per questo sport è proprio il livello che Alcaraz riesce a raggiungere e il tempo che ha davanti a sé per tagliare nuovi traguardi”.
Lo spagnolo non si sottrae all’inevitabile domanda su un confronto con Djokovic su chi sia il più forte; lui riconosce il valore dell’asso serbo, pur andando oltre i freddi numeri dei titoli vinti. “Non c’è dubbio che se ci mettiamo a contare, lui ha vinto più di me e più di ogni altro. Non ho un ego così forte da negare l’evidenza. Mi complimento con lui, che da questo punto di vista è il migliore della storia.
“Tutto il resto possono essere considerazioni, come il numero maggiore di infortuni che ho avuto, e poi anche gusti personali, ispirazione, sensazioni ed emozioni che ognuno di noi trasmette e che raggiungono il cuore degli appassionati. Sicuramente” – chiude l’argomento – io sono pienamente soddisfatto di quello che ho saputo fare”.
Alla domanda sul suo non impossibile ingresso nel Real Madrid, Nadal non si nasconde ma nello stesso tempo glissa. “Concettualmente non mi dispiacerebbe essere il presidente del Real Madrid o avere un ruolo nel club ma questo non vuol dire che succederà. Soprattutto perché non sono certo il più preparato per il ruolo, che oltretutto oggi è ricoperto da uno dei migliori di sempre, Florentino Perez. Quindi la risposta è sì ma nello stesso tempo magari non accadrà nulla”.
Nel finale della chiacchierata con Nacho Albarran protagonisti sono i sentimenti. “La cosa più bella e più difficile da spiegare è quello che provo quando rientro a casa e vedo l’allegria sul volto di mio figlio. Inoltre” – racconta Rafa – “ovunque sia stato in questi mesi, ho trovato grande affetto. In Grecia, per esempio, non sapevo di essere così popolare. Anche alla mia Accademia ricevo tutti i giorni visite, tantissimi bambini e testimonianze di vicinanza. Per questo sono grato a tutti”.
ATP
Matteo Arnaldi: “Dopo la sconfitta con Alcaraz ho capito che non sono distante dai top player”
Le parole dell’azzurro su ciò che resta della stagione: “L’esordio in Davis è stato positivo. Ma con la squadra al completo non c’è posto per me”. Per l’immediato furuto: “Punto ad essere testa di serie in Australia”

Sulla carta, stando ai calcoli del computer, è il n.4 d’Italia. Nella pratica, può essere definito pienamente in questo momento il n.2, per le emozioni suscitate e i progressi costanti mostrati. Matteo Arnaldi infatti sta compiendo una crescita vertiginosa, ma non precipitosa, bensì graduale, a piccoli passi. La prima vittoria ATP, prima vittoria su un top 10 (Ruud), primi ottavi in un Major, fino alla soddisfazione dell’esordio in Coppa Davis. Tutto questo in nove mesi scarsi, in cui ha saputo salire alla ribalta delle cronache, iscrivendosi a pieno merito anche nel tennis del presente, oltre che come speranza del futuro. Ma, nonostante le prestazioni, i grandi avversari affrontati, rimane sempre un ragazzo di 21 anni, in cui l’emozione sgorga facilmente, specie guardandosi indietro e rendendosi conto di dove sia arrivato. E, la Nazionale, come rivela in un’intervista a Tuttosport, per Matteo è l’ideale culmine di questo percorso.
L’emozione Davis non ha eguali
“Non so esprimere fino in fondo le emozioni provate nel giocare per il mio Paese“, spiega il n.48 ATP, “devo dire che mi piace giocare con la pressione del pubblico: bello sentire il tifo tutto per me, un’iniezione di energia. All’inizio non ero neppure convocato, poi essere io a condurre la nazionale alle fasi finali è una cosa pazzesca. Però è stato un lavoro di squadra, non solo merito mio“.
Umiltà e spirito di sacrificio, due elementi che sono parte fondante dell’essere di Arnaldi, il cui gioco è anche spesso contraddistinto dall’entusiasmo e la passione che sa mettere in campo, come dimostrato nelle vittorie contro Borg e Garin. Ma specie in quella sul cileno: “Le mie due vittorie sono state entrambe importanti, però se devo scegliere diciamo che la prima non si scorda mai…Una settimana veramente fantastica, ho giocato più di quanto mi sarei aspettato. Ma da un certo punto di vista penso di averlo meritato: venivo da New York dove ho disputato il miglior torneo della mia vita, avevo un buon feeling e abbastanza fiducia in me stesso“.
Anche dalla sconfitta si impara
Lo US Open ha lanciato Arnaldi in prima pagina, e soprattutto sull’Arthur Ashe, dove si è arreso, a testa alta, a Carlos Alcaraz. Una partita, seppur persa, che il sanremese considera un punto di svolta della sua giovane carriera: “L’avventura agli US Open mi ha permesso di vivere il debutto in azzurro con meno apprensione. Giocare nello stadio più grande del mondo, pieno di gente e contro il n.1, è stata l’esperienza migliore da portarsi dietro. E ne sono uscito con la consapevolezza di non essere distante dai top player. Certo, ci sono ancora tanti aspetti da migliorare, ma il match con Alcaraz è stato un punto di riferimento per capire ciò che questi campioni fanno meglio“.
Il primo obiettivo stagionale, grazie a questo e i tanti buoni risultati accumulati (vedasi la prima semifinale ATP), è stato raggiunto, con l’ingresso in top 50. Ma Matteo non si pone limiti, guarda sempre più in alto: “Sono uno che ha sempre aspettative alte su sé stesso, con continue sfide. La prima è appunto mantenere la top 50, difendo un centinaio di punti da qui a fine anno e non è un traguardo scontato. E uno degli obiettivi stimolanti può essere cercare di chiudere il 2023 in modo da essere testa di serie all’Australian Open“.
Senza dimenticare che c’è anche un’Olanda che ci aspetta in Andalusia, ad aprire il percorso delle Final 8 di Davis, dal 21 al 26 novembre. Un ennesimo scalino che sarebbe la realizzazione di un ulteriore sogno per Arnaldi, consapevole certamente della folta schiera da cui ha da scegliere capitan Volandri. “Nella squadra al completo non credo ci sia posto per me“, ammette con tranquillità e lungimiranza Matteo, “per il momento mi godo l’esordio. Malaga è tra due mesi e ci sono altri giocatori davanti a me in classifica“.
In fin dei conti ci spera, di poter essere nei rappresentanti di quella che potrebbe essere una storica Final 8 per i colori azzurri. E ha ampiamente dimostrato che, quando spera e crede in qualcosa, ben presto fa in modo di realizzarla.