US Open: Kvitova di cuore e tecnica, vince in rimonta. Quanti rimpianti per Muguruza

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US Open: Kvitova di cuore e tecnica, vince in rimonta. Quanti rimpianti per Muguruza

Una gran partita, salvo qualche tratto, della ceca. Ma Garbiñe paga troppo poco cinismo

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Petra Kvitova - US Open 2022 (Twitter @usopen)
 

[21] P. Kvitova b. [9] G. Muguruza 5-7 6-3 7-6(10)

Sarebbe potuta essere tranquillamente (almeno) una semifinale Slam, per il palmares e il valore delle giocatrici in campo, l’incontro che ha aperto la giornata sul Louis Armstrong tra Petra Kvitova e Garbine Muguruza. Invece si trattava “solo” di un terzo turno, vinto dalla ceca in rimonta dopo quasi 3 ore di spettacolo, intensità e sentimenti contrastanti, con tanti momenti da highlights, prodotti soprattutto dalla vincitrice. Kvitova, infatti, a lunghi tratti ha dominato il match, tra vincenti e soluzioni eclatanti, ma troppo spesso ha staccato la spina, permettendo a Muguruza di andare in vantaggio e a un passo dalla vittoria. La spagnola, dal canto suo, nel momento più importante ha tremato, fin troppo, e non è riuscita a chiudere quando doveva, restituendo fiducia all’altra. Miglior risultato Slam di quest’anno per la ceca, che vince il sesto incontro su sette contro Muguruza, il secondo a livello Slam (l’altro esattamente 5 anni fa, il 3 settembre del 2017, proprio a New York).

IL MATCH – tre game interlocutori per iniziare, con il servizio che sin da subito si mostra come uno dei fattori che più potranno incidere sull’andamento della partita. Le prime palle break dell’incontro arrivano solo nel sesto game, a favore di Kvitova, che anticipa un paio di risposte e prende sempre in mano lo scambio, per poi chiuderlo con il devastante dritto, che se con i piedi ben fissi in campo può fare davvero molto male, anche contando che solo sul rovescio la spagnola è un vero pericolo, e va infatti a perdere il servizio (anche qualche seconda di troppo). Rischia e forza un po’ troppo però nel game successivo la ceca che, con due doppi falli e due non forzati di dritto, concede il contro-break a Muguruza che, senza giocare chissà che colpi, non deve far altro che rispondere un po’ più profondo, e scartare il regalo dell’avversaria. La spagnola da allora ritrova grandi certezze al servizio, mettendo in campo tante prime, una bella dote di punti, di pari passo a una Kvitova che spara a tutto braccio da fondo e già è a 13 vincenti, ma non basta ad evitarle un netto calo di tensione, che la porta addirittura sotto di un break nell’undicesimo game. Nuovamente Muguruza non deve fare molto più che rispondere in profondità e mettere pressione, così che la ceca rischi, anche sulla seconda, con altri due doppi falli, e vada a perdere il servizio proseguire il parziale sfavorevole di 4 giochi a 1 mandare Garbine a servire per il set. E al secondo set point, ancora sfruttando il servizio nell’arco del game (73% di prime in campo e di conversione), la tds n.9 va a conquistare in rimonta il primo set, facendo il suo compito e cavalcando la tensione che ha contratto Kvitova dopo il break.

 

Il secondo parziale procede tranquillamente, evolvendosi su scambi brevi (sotto i tre colpi la media della partita) e su qualche errore di troppo da parte di entrambe, con Kvitova che osa di più e per prima ha cercato la via delle variazioni, mentre Muguruza spinge con consapevolezza e tiene percentuali consistenti al servizio. Va però un po’ a calare l’incisività della battuta della spagnola nel sesto game, dove (come nel primo set) d’improvviso la ceca va a mettere a segno alla prima occasione il primo break del set, salendo di pesantezza in risponda e scavando il solco con il suo micidiale dritto, arrivando a 27 vincenti,12 nel secondo parziale, anche contando il tranquillo game in cui conferma il break, bene anche di rovescio e sull’uno-due. Riesce a rimanere concentrata nel secondo set Kvitova, veleggiando tranquilla fino alla chiusura del parziale, meritatamente vinto e suggellato con un ace, l’undicesimo, nel nono game.

Il terzo set non porta nulla di nuovo, i game sono sempre decisamente tranquilli, con nessuna delle due che cambia il ritmo o prova ad accelerare in risposta, e i servizi che la fanno da padrone, anche se Muguruza smarrisce qualche prima. Ma, ancora una volta, il game incriminato è il sesto, con il primo break del parziale, a favore stavolta della spagnola, che ha ritrovato il proprio rovescio lungolinea, fondamentale, e buona pesantezza, in parallelo a una Kvitova che cala sulla prima e concede un piccolo passaggio a vuoto, andando a perdere il servizio. Petra fa e disfa, tanto della partita passa dalle sue lune, ma intanto Garbine rema, gioca con solidità e si porta ad un game dalla vittoria. Stavolta però è la spagnola a farsi mangiare dalla tensione, e riconsegna il break con un decimo game da dimenticare, infarcito di errori, anche indirizzati dalla pressione che però riesce a mettere in risposta Kvitova. La ceca rischia nel dodicesimo game, facendosi rimontare da 40-0 e con due match point da annullare, sui quali ritrova però lucidità al servizio e spinta da fondo, guadagnandosi il tie-break.

Alza clamorosamente il proprio livello di gioco Muguruza quando si trova sotto 9-7, con un miracolo sul secondo match point, salvato con due recuperi non indifferenti, segnale di forza per la spagnola, che è stata la prima a passare con un mini-break, ancora una volta non sfruttato. Ma, alla fine, la giocatrice migliore nel tie-break decisivo, e probabilmente lungo tutto l’arco del match, è stata Kvitova, che traccia la differenza sul 10-10 con uno scambio in apnea vinto con il suo amato dritto, e un punto vinto, comandato, in progressione sul terzo match point, che si rivela essere quello buono, con un altro vincente, addirittura il quarantunesimo, e ovviamente di dritto. La ceca finisce con la racchetta a terra e in lacrime, sentiva particolarmente questa partita e l’ha portata a casa, centrando per la settima volta in carriera la seconda settimana allo US Open, con il miglior risultato che sono i quarti di finale del 2017 e del 2015 (quando perse contro Pennetta, futura campionessa).

LA PROSSIMA AVVERSARIA – Agli ottavi Kvitova troverà la testa di numero 8 Jessica Pegula che ha bisogno del terzo set per avere la meglio della qualificata cinese Yue Yuan. Primo set che inizia all’insegna dell’equilibrio. Ma serve poco prima che emerga la superiorità di Pegula che con un parziale di 4 game a zero archivia agilmente il primo set per 6-2. Solida prestazione della statunitense al servizio che concede solo 3 punti alla cinese. Il secondo parziale comincia con un game da 22 punti nel quale Pegula manca due palle break. La cinese limita gli errori (erano stati 11 i gratuiti nel primo set) e tenta la fuga strappando il servizio a zero a Pegula portandosi sul 4-1. La statunitense sembra un po’ contratta in campo ma superato il passaggio a vuoto riprende a spingere riportando in equilibrio il match. Si arriva al tie-break che fino al 5-5 segue il ritmo dei servizi. Pegula vicina al traguardo accelera e riesce a portarsi sino al match point. Yuan tuttavia è stata bravissima ad annullarlo portando a casa uno scambio tutto in spinta chiuso con un rovescio lungolinea. Superata la paura la cinese gioca finalmente aggressiva e spensierata portando a casa meritatamente il secondo set.
Dopo un secondo set combattuto da 70 minuti Yuan chiama una timeout medico per un problema alla pianta del piede. Al rientro in campo la cinese viene travolta dall’uragano Pegula. La statunitense entra in campo con un altro piglio fa correre la cinese si apre il campo chiudendo il punto con facilità. 10 vincenti e un solo punto concesso in risposta alla cinese sono il ritratto del dominio della numero 8 del mondo che approda per la prima agli ottavi a New York.

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Robin Haase: “Il livello complessivo si è alzato, ma i top 15 sono meno forti”

L’olandese Robin Haase, ex n. 33 ATP, fa paragoni tra il presente e i suoi primi anni nel Tour, parlando anche di stili e superfici. E suggerisce qualche nuova regola perché “il tennis dev’essere più veloce”

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Robin Haase - Sofia 2019 (foto Ivan Mrankov)

Classe 1987, Robin Haase ha raggiunto il 33° posto nel ranking nel 2012. Numero 3 del mondo da junior, due operazioni al ginocchio durante i primi anni di professionismo non hanno certo aiutato l’ascesa di questo olandese che rientra tra coloro che danno l’impressione di giocare meglio a tennis di quanto non dica la classifica. A una settimana dal trentaseiesimo compleanno, Robin ha parlato con Clay del futuro non solo suo bensì soprattutto del tennis, della necessità di renderlo più veloce, del livello attuale paragonato a quello di dieci anni fa, delle superfici e di altro ancora.

Forse doppio e coaching, ma con moderazione

Con il ranking sceso al n. 269, ora frequenta principalmente il circuito Challenger. Lo scorso gennaio ad Adelaide 2 è però arrivata una vittoria ATP rocambolesca non solo e non tanto per il 7-6 al terzo con match point annullato, quanto per come era arrivato a disputare quell’incontro. L’intenzione, a ogni modo, è di giocare in singolare il più possibile, per poi decidere se dedicarsi solo al doppio. Dopo diciotto anni, “non mi vedo ancora per molto tempo nel circuito” spiega. “Però dipende. Se hai un compagno e siete almeno in top 20 potendo giocare solo 18 tornei a stagione, ok. Ma devi trovare un compare che sia d’accordo”. Per ora ha ripreso il sodalizio con il connazionale Matwe Middelkoop, 14a coppia della Race. È anche un coach certificato e occasionalmente aiuta i giovani olandesi che “sono contenti quando dico loro qualcosa su cui lavorare”. Occasionalmente è la parte facile. “Ma il secondo giorno, il terzo, il giorno 245, cosa dici? Quella parte del coaching è sottostimata dai tennisti”. E, a proposito di parti, quella dei viaggi ogni settimana è da escludere. “Magari un part-time, come la Coppa Davis”.

Tiro dentro vs tiro forte: da dove si comincia?

Un’altra osservazione interessante è la differenza tra la sua generazione e quella attuale. “Noi abbiamo prima imparato a tenere in campo la palla, poi a colpire sempre più forte. Oggi i tennisti crescono tirando più forte possibile, poi iniziano a imparare a non commettere troppi errori. Anche le superfici sono cambiate negli ultimi vent’anni. Ora non importa se duro, terra o erba perché è ancora un po’ diverso il modo di muoversi, ma i rimbalzi sono sinili, quindi non ci sono più specialisti. Non molti che fanno servizio e volée o veri attaccanti né terraioli. Giochi più o meno allo stesso modo dappertutto. C’era più varietà, ma i più giovani stanno aggiungendo cose. Diventano più pericolosi e il loro gioco si sta evolvendo”.

 

Siamo qui per il tennis o per divertirci?

Sorprende un po’ vederlo allineato a quelle affermazioni estemporanee di Jessica Pegula e Frances Tiafoe, secondo i quali sarebbe incomprensibile dover starsene zitti durante quei pochi secondi di ogni scambio e non poter continuamente lasciare il proprio posto e tornarci facendo alzare tutta la fila – neanche fossero al cinema. Per Robin, in modo simile, è inconcepibile dover aspettare dieci minuti prima di poter accedere allo stadio. “Entra e siediti” è la sua soluzione. “Magari con qualche eccezione, tipo le prime file. Se comprassi un biglietto e dovessi aspettare dieci minuti, direi, ‘ma che è sta roba?”’. Una considerazione che rientra nel più ampio discorso secondo cui “nel tennis, l’unico divertimento è lo sport. Non c’è granché oltre quello. Niente musica, niente altro per la gente”. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte, di musica, ce n’è anche troppa e di pessima qualità, ma è un’opinione (la qualità, la quantità è un dato oggettivo). Il tutto partendo dalla tecnologia delle chiamate elettroniche, con il sistema originale che incontra i favori del nostro: “Hawk-eye era molto divertente. I tennisti potevano chiedere il challenge e alla gente piaceva. Ora non c’è più interazione con il pubblico”. Qui sarebbe stata perfetta una citazione del tipo, “il progresso andava forse bene una volta, ma è durato troppo” (legge di Ogden Nash), ma Haase è una personcina seria. In definitiva, l’idea è che “le regole devono cambiare”. Quali regole?

L’inafferrabile concetto del let in battuta

“Non ha alcun senso il let sul servizio. L’unica argomentazione a favore è la tradizione, mentre quelle contrarie sono molto migliori” e fa l’esempio della pallavolo prima di analizzare le obiezioni. “Se tiro una bella battuta che sarebbe ace ma tocca appena il nastro, devo rigiocarla – perché? Se il nastro accomoda la palla per il ribattitore, è perché ho servito male. Poi, il marchingegno costa un sacco di soldi e neppure funziona bene”. Sul costo non siamo troppo sicuri, ma poi Haase cade nella solita retorica: “E, più importante di tutti, la gente non lo capisce”. Ok, Robin, togliamolo, ma che non sia per darla vinta agli stupidi o presunti tali.

Non importa dove, purché ci si vada in fretta

Se non pensa che il tennis sia esattamente noioso, ma dovrebbe andare più veloce e, in quest’ottica, il punteggio della spettacolare vetrina under 21 attualmente in cerca di una nuova casa con cinque set ai 4 game è meglio dei noiosi tre ai 6. Il motivo è presto detto. “Adesso ai giocatori non importa tanto dei primi game. Hai vinto il primo set, 1-1 nel secondo, l’altro è 40-15, a volte pensi, ‘vabbè, quel punto non mi interessa’. Invece, dovendo arrivare a quattro, è meglio che ti giochi quel punto perché non hai tante occasioni per brekkare. Non dico di cambiare adesso, ma possiamo sperimentarlo di più”.

Per Haase, rimane intoccabile il punteggio degli Slam anche perché i numeri in termini di presenze dicono che godono di ottima salute, ma lo stesso non vale per gli ATP 250 ed è lì che si potrebbe cambiare il punteggio: “Diamo al pubblico più divertimento”.

Poche palle, diamogliene di più

Non è però che gli siano venute queste idee ora che ha più anni nel Tour alle spalle che non davanti. “Le ho da 15 anni” assicura. “A casa ho uno schema con tutti questi suggerimenti, di quando ero nel Consiglio dei Giocatori. Nei Challenger, si gioca con quattro palline. Perché mai? Se ne possono usare sei come nell’ATP, non costano più così tanto. Se giochi con quattro, si deteriorano prima e, quando le cambi, è ancora più difficile controllarle. Eppure i Challenger sono parte del Tour ATP – perché non c’è la stessa situazione?

Una volta i top erano più forti, ma…

Lo scorso anno, Toni Nadal ha avuto occasione di affermare che il Rafa 2022 avrebbe perso dal Nadal passato, per esempio quello del 2013, 2011, 2008. Lo stesso valeva per Djokovic. E il fantastico Federer 2017? Inferiore a quello di dieci anni prima. Insomma, il livello si è abbassato. Robin c’era ed perfettamente d’accordo. A metà. “Dipende dal punto di vista. Dieci anni fa, la top 20 o la top 15 erano incredibili. Poche sorprese negli ottavi degli Slam. Roddick, Hewitt, Wawrinka, Davydenko, Nishikori… Toni ha ragione, quelle top ora sono più deboli. Tuttavia, la top 100, 250 o anche 400 sono molto più forti. Il livello complessivo è più alto. Una volta era più facile vincere i Challenger. Adesso è più dura e chi li gioca può far bene nel Tour ATP”.

Collegato a questo, il fatto che solo due Slam siano stati vinti da tennisti ora nei loro vent’anni fa dubitare della forza mentale di quella generazione. Haase vuole precisare la questione: “Se entri nei primi 100, sei fortissimo mentalmente. Chi sostiene che il numero 10 non è forte di testa non ha idea di quello che dice. Vincere uno Slam è diverso, è vero. Thiem e Medvedev ci sono risuciti, anche se Djokovic e Nadal provano di essere ancora migliori degli altri, pur non dominando com’erano abituati a fare – normale per via dell’età”.

Protezione o controllo?

La chiacchierata si conclude con il cambiamento della relazione fra tennisti e media. “Più soldi sono in ballo, più alta è la pressione. I manager e i coach vogliono proteggere i giocatori. Per i manager, tenerli lontani da certe situazioni significa controllarle e di conseguenza i tennisti non sempre sanno cosa stia succedendo. Nei Paesi Bassi, qualche giornalista si occupava solo di tennis, ora anche di calcio e pallavolo e quindi non viaggia più tanto. Ci vediamo una volta all’anno, stesse domande, non c’è più relazione ed è un problema per entrambe le parti. E ci sono i social che permettono ai tennisti di comunicare con i fan”.

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Andreescu, è lesione a due legamenti della caviglia. “Ma poteva andare peggio”

La campionessa dello US Open 2019 riferisce: “Affronterò questo periodo giorno dopo giorno e tornerò presto in campo”

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Bianca Andreescu - Miami 2023 (foto Twitter @SportsHorn)

“Ho subito una lesione a due legamenti della caviglia sinistra”. Così Bianca Andreescu, dopo essersi sottoposta agli esami clinici del caso, fa luce sugli esiti del brutto infortunio rimediato al WTA di Miami. La canadese si è dovuta ritirare durante il match contro Ekaterina Alexandrova uscendo dal campo su sedia a rotelle e facendo preoccupare tutto il mondo del tennis. Un vero peccato anche perché nelle partite precedenti la campionessa US Open 2019 era apparsa in ottima forma, superando Emma Raducanu, Maria Sakkari e Sofia Kenin. “Difficile dire ora quanto tempo ci vorrà per recuperare, ma posso dire che sarebbe potuta andare peggio – dice Andreescu, che aveva affermato di aver sentito il dolore più terribile mai avvertito -. Affronterò questo periodo giorno dopo giorno, sono fiduciosa che grazie al lavoro e alla riabilitazione potrò tornare presto in campo. Il percorso è già iniziato, vi terrò aggiornati”.

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Sinner e le semifinali Masters 1000: ci sono due primati per Jannik

Jannik è l’italiano con più semifinali in questa categoria con Fognini (3), ed è il primo azzurro a qualificarsi al penultimo atto in due Masters 1000 consecutivi

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Jannik Sinner - Miami 2023 (foto Ubitennis)

Con la vittoria sul finlandese Emil Ruusuvuori al Miami Open, Jannik Sinner ha raggiunto la dodicesima semifinale di un italiano ad un Masters 1000 dal 1990, la terza a livello personale. Arrivare nelle fasi finali di un torneo 1000 è già di per se un’impresa, figuriamoci ripetersi per due tornei di questa categoria consecutivi come Sinner ha fatto a Indian Wells e Miami 2023: è il primo giocatore italiano a compiere un simile back-to-back. E con questo traguardo, Sinner ha raggiunto Fabio Fognini in vetta alla classifica degli italiani con più semifinali raggiunte: entrambi sono a quota tre e non è difficile prevedere che Jannik sia destinato a scalzare il ligure ottenendo il primato assoluto. L’elenco delle semifinali Masters 1000 con azzurri in campo è già da aggiornare a due settimane di distanza dalla precedente e probabilmente non sarà l’ultima volta.

Nel 1995 Andrea Gaudenzi era ancora un giocatore, ottimo interprete sui campi in rosso dove vinse tre titoli ATP. In quella fortunata stagione il faentino si spinse fino alle semifinali del torneo di Montecarlo dove perse in due set dall’amico Thomas Muster. Dopo il match seguirono screzi, ma vennero presto dimenticati. Nell’anno di grazia 2007 il livornese Filippo Volandri compì una delle imprese più memorabili della storia del tennis italiano. L’attuale capitano della squadra italiana di Coppa Davis incendiò il Foro Italico in quel maggio di sedici anni fa battendo il n.1 Roger Federer. Il sogno si interruppe in semifinale, contro Fernando Gonzalez.

L’anno seguente, ad Amburgo, Andreas Seppi raggiunse le semifinali (all’epoca era ancora un 1000) perdendo da Roger Federer dopo aver messo in fila Richard Gasquet, Juan Monaco e Nicolas Kiefer, tennista di casa. Abbiamo poi la tripletta di Fabio Fognini: a Montecarlo raggiunse le semifinali nel 2013 (perdendo male da Djokovic 6-2 6-1) e 2019 (dove sconfisse Nadal 6-4 6-2) quando trionfò, in finale contro Dusan Lajovic, nell’unico 1000 conquistato in carriera. L’ultima semi arrivò a Miami nel 2017, sempre contro Nadal, ma a trionfare fu il maiorchino in due set (6-1 7-5).

 

Berrettini centrò la semifinali a Shanghai 2019 (perdendo da Zverev 6-3 6-4). Mentre nel 2021 Matteo si spinse fino alla finale di Madrid, dove ancora una volta venne sconfitto dal tedesco Zverev in rimonta 6-7 6-4 6-3. Sempre in quell’anno ci fu la favola Sonego a Roma. Il piemontese visse la settimana più entusiasmante della sua carriera culminata nella semifinale poi persa contro Djokovic. Infine abbiamo le tre semifinali di Sinner: a Miami nel 2021 dove si spinse fino alla finale, persa, contro il polacco Hurkacz. Il resto è storia recente: la semifinale di Indian Wells persa contro Alcaraz a cui fa seguito quella ottenuta ieri al Miami Open. Ad attenderlo ancora il murciano o Fritz.

La classifica degli italiani con più semifinali nei Masters 1000:
Sinner, Fognini 3
Berrettini 2
Volandri, Gaudenzi, Seppi, Sonego 1

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