Federer al NYT: "Mi sento completo, non avevo più nulla da dimostrare"

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Federer al NYT: “Mi sento completo, non avevo più nulla da dimostrare”

In una lunga intervista rilasciata al quotidiano americano, Federer fa un viaggio nel suo mondo e dice di Nadal: “Non dimenticherò mai quello che ha fatto per essere a Londra con me”

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Roger Federer - Laver Cup 2022, Londra (twitter @LaverCup)
 

La misurazione del tempo che passa è una delle poche oggettività democratiche su cui non si possono avere dubbi. Non possono esistere complottismi o associazionismi di più o meno identificata natura e ragione, che possano mettere in dubbio il passare del tempo. Quello che fa la differenza, che può in un certo qual modo, influenzare tutti i nostri ragionamenti è la sensazione del tempo che passa. È già infatti passata quasi una settimana da quell’ultimo dolce e romantico passaggio tra i campi da tennis di Roger Federer che in una sorta di messa laica ha salutato, onorandosi e sedendosi al banchetto dei più grandi di sempre dello sport mondiale. Una settimana che è sembrata un’eternità, come se la percezione del suo ritiro fosse traslata in un tempo infinito o in un tempo sospeso da quel 40-15 e due championship point a Wimbledon.

Nel corso di questa settimana molte sono state le pagine scritte su Federer, ma di interviste vere, poche, pochissime. Una su tutte quella concessa al New York Times e nello specifico a Christopher Clarey in cui Roger prova a ripercorrere il filo rosso che unisce momenti così intensi da essere ancora vivi, in lui, in tutti noi. E per farlo si comincia dalla fine, come spesso accade in questi casi: come si sente adesso, che è tutto finito? “Penso di sentirmi completo. Ho perso il mio ultimo match di singolare. Ho perso la mia ultima partita di doppio. Ho perso la voce urlando e sostenendo la squadra. Ho perso l’ultima volta in un contesto di squadra. Ho perso il mio lavoro, ma sono molto felice. Sto bene. Questa è la parte davvero ironica della faccenda, tutti pensano a dei finali fiabeschi felici. E alla fine per me, in realtà, è finita per essere proprio così, con questo tipo di finale: in un modo che mai avrei pensato sarebbe potuto accadere”.

Ma questa storia, che in realtà come dice Federer, può non avere il finale fiabesco che tutti sognano ha quel pizzico di romanticismo sportivo che consegna quel match e quell’evento, all’elenco delle cose da vedere almeno una volta nella vita. L’apoteosi della rivalità sportiva che si discosta da tutto per diventare qualcosa di più, da traslare oltre il campo da tennis, nella vita. Il rapporto con Rafa Nadal è tutto questo: “L’ho chiamato dopo lo US Open, non mi sembrava opportuno disturbarlo durante lo svolgimento del torneo, solo per fargli sapere del mio ritiro. E volevo unicamente informarlo di questa mia decisione, prima che iniziasse ad organizzare la propria programmazione, non includendo la Laver Cup. Gli ho detto al telefono che probabilmente avevo una percentuale di 50 e 50, o al massimo di 60 e 40 a livello di condizione generale per poter prendere parte ad un match di doppio. Infine ho aggiunto: “Guarda, ti terrò aggiornato. Fammi sapere come stanno le cose a casa, e poi ci risentiamo”. Ma invece, rapidamente, è diventato tutto molto chiaro: “Proverò a fare tutto il possibile per essere lì con te”. E questo sua risposta mi è sembrata ovviamente incredibile, perché mi aveva dimostrato ancora una volta quanto siamo importanti l’uno per l’altro e quanto rispetto reciproco c’è tra di noi. E ho solo pensato che sarebbe stata solo una storia bellissima e incredibile per noi, per lo sport, per il tennis, e forse anche oltre, dimostrando che si può coesistere in una dura rivalità sportiva arrivare a lottare per la conquista più grande e poi dire, “hey, è solo tennis”, per poi venirne fuori alla fine, consapevoli di questa grande rivalità amichevole; ho pensato che fosse finita anche meglio di quanto avessi mai immaginato. Rafa ha fatto uno sforzo incredibile per essere a Londra, e ovviamente non lo dimenticherò mai”.

Come probabilmente quello che nessuno dimenticherà mai è ciò che è avvenuto, in particolar modo tra Roger e Rafa, dopo l’ultimo punto del match (di chi fosse è ininfluente ai fini del racconto). “Penso di aver sempre avuto difficoltà a tenere sotto controllo le mie emozioni, quando vincevo e quando perdevo. All’inizio, si trattava più di essere arrabbiati, tristi e piangere; poi, piangevo di gioia per le mie vittorie. Penso che venerdì sia stato un qualcosa di diverso dal solito, ad essere onesti, perché penso che tutti i ragazzi – Andy, Novak e anche Rafa – abbiano visto la loro carriera scorrere via davanti ai loro occhi, sapendo che tutti in un certo senso abbiamo giocato e alcuni di loro giocheranno di più rispetto a quanto immaginassimo. Invecchiando, raggiungi i 30 anni, inizi a sapere cosa apprezzi davvero nella vita ma anche nello sport”. Come l’amicizia, quella vera. Avere a fianco persone che ti hanno accompagnato per tutta la vita, mano nella mano, come la foto simbolo di quella serata e forse di tante altre a venire: “È stato un attimo, un momento breve: stavo singhiozzando così tanto, tutto mi stava passando per la mente e pensavo a quanto fossi felice di vivere questo momento proprio lì con tutti al mio fianco. Credo che fosse così bello stare lì seduto con l’attenzione per un momento rivolta verso Ellie Goulding (la cantante che si è esibita in quei momenti, ndr), da dimenticare che qualcuno potesse scattare una foto. Credo che ad un certo punto non potendo parlargli perché la musica copriva tutto, l’ho toccato con la mano come a dirgli grazie.

Non era solo Roger; lo ha detto chiaramente durante l’intervista non volendo solo far riferimento ai suoi colleghi/amici, ma rivolgendosi soprattutto alla sua famiglia; a Mirka, ai suoi figli a cui ha detto: “non piango perché sono triste, piango perché sono felice”. Difficile da comprendere, difficile non trattenere le lacrime: “Era difficile ad un certo punto non piangere, per me, per loro, per tutti”. In pratica ha contribuito alla disidratazione del mondo.

Ma cosa e quando hanno fatto capire a Federer che sarebbe stato il momento di dire basta? “Si basa principalmente sulle sensazioni di non riuscire ad esprimermi ai livelli che vorrei, muovermi come vorrei. E l’età fa parte di tutto ciò. Arrivi ad un punto in cui ti rendi conto che dopo un’operazione come quella che ho fatto lo scorso anno, per tornare in campo avrei dovuto percorrere una strada, probabilmente lunga un anno. Nei miei sogni, mi sarei visto ancora in campo a giocare ma poi mi sono scontrato con la realtà dei fatti. L’ho fatto (dire basta n.d.c.) in primis per la mia vita personale. Ho lottato per rientrare perché mi sono detto, se ragiono da giocatore professionista farò una riabilitazione post intervento al 100%, al contrario dovessi ritirarmi non l’avrei fatta come si deve. Quindi ho voluto mettere a posto la gamba con una riabilitazione corretta sperando di poter tornare in campo per un 250, per un 500 o un 1000….magari uno Slam, se la magia accade. Ma non è stato così: col passare del tempo, sentivo sempre meno questa possibilità poiché il ginocchio mi creava problemi mentre lottavo per guarire. Ed è allora che alla fine ho detto, guarda, va bene, lo accetto. Non ho più nulla da dimostrare.

Ma la gente del tennis ha ancora bisogno di Federer, questa sua ultima partita ha mostrato a tutti che lo svizzero ha ancora le capacità per continuare a giocare e divertirsi, anche in semplici esibizioni: “Devo capire cosa fare adesso. Penso che sarebbe bello organizzare una esibizione d’addio che vada oltre la Laver Cup. Molta altra gente avrebbe voluto vedermi giocare e vorrebbe tutt’ora continuare a vedermi giocare, ecco perché mi piacerebbe portare il tennis in posti nuovi o in posti dove mi sono divertito”.

Ma esiste all’orizzonte un nuovo Federer o perlomeno qualcuno che giochi come lui? L’ex numero uno al mondo è piuttosto netto sul tema: “Non in questo momento. Ovviamente, dovrebbe essere un ragazzo con un rovescio a una mano. Nessuno ha bisogno di giocare come me, tra l’altro. La gente pensava anche che avrei giocato come Pete Sampras, una volta battuto, e non l’ho fatto. Penso che ognuno debba essere la propria versione di se stesso. E non una copia, anche se copiare è il più grande segno di adulazione. Ma auguro a tutti loro di trovare sè stessi, e il tennis sarà fantastico. Lo continuerò a seguire, a volte sugli spalti, a volte in TV, e spero che ci siano sempre più giocatori con il rovescio ad una mano e che giocano un tennis d’attacco. Adesso mi siederò e mi rilasserò, guardando le partite da una prospettiva diversa”.

È il primo dei fab four a ritirarsi, il più anziano del gruppo, giusto che sia così anche se ha avuto paura che a farlo fossero i suoi principali avversari, prima di lui, come Rafa con il problema al piede che non lo molla: “Mi ha anche fatto preoccupare Andy. Ricordo quando lo vidi nel 2019 in Australia dopo il match con Bautista. Mi ha guardato dicendomi: “Penso sia finita”. Ci chiesero di fare un video di saluto, ma andai da lui e gli chiesi: “vuoi davvero lasciare?”. Mi rispose: “con quest’anca non posso continuare”. Quindi sapeva che era ad un bivio della sua vita. Alla fine sono felice di aver smesso per primo perché era giusto che a finire per prima fossi io. Ecco perché mi sento bene e spero che tutti possano giocare il più a lungo possibile, a tutti loro auguro davvero il meglio”. E l’augurio sarà sicuramente senz’altro ricambiato, noblesse oblige.

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