Taylor Townsend ci sta provando. Sta mettendo tutta se stessa per prendersi quello che agli inizi della carriera da professionista non è riuscita ad ottenere, dopo una brillante avventura nel tennis junior.
In questo Australian Open 2023, la mancina di Chicago ha dominato senza il ben che minimo briciolo di sofferenza la giovane e promettente tennista francese Diane Parry.
Una storia molto suggestiva, quella della 26enne statunitense, rientrata nel circuito la scorsa stagione in seguito alla maternità e che merita un approfondimento con diversi spunti di riflessione. Le sue vicende sono indubbiamente interessanti, a tal punto che in occasione del primo Slam dell’anno anche un quotidiano prestigioso come il New York Times ha pensato bene di dedicarle alcune pagine per far rivivere il suo percorso nel mondo della racchetta attraverso la penna di Matthew Futterman.
Partiamo come sempre dalla cronaca degli eventi più recenti, il doppio 6-1 inflitto alla 20enne transalpina di belle speranze. Un’autentica disfatta subita da Parry, in soli 67 minuti di gioco. Prestazione da cineteca di Taylor, che è stata il manifesto del suo gioco espresso al massimo della propria potenzialità: servizio roboante e rovescio con cui ha dipinto le righe di Melbourne. Ma la soluzione tecnica dell’americana che ha maggiormente impressionato sia per rendimento che per grado di confusione creata nella testa dell’avversaria, è stata senza dubbio la grande frustrata di dritto. Un colpo letale quando è in giornata: preciso, potente, costante e con la giusta rotazione. La povera Diane non è mai riuscita, in alcun modo, ha trovare un rimedio efficacie e ha subito la pioggia di raffiche proveniente dal lato sinistro della giocatrice a stelle e strisce.
Non solo però grandissima performance, un successo che è valso moltissimo anche sul piano delle statistiche personali e di conseguenza che ha toccato le corde della fiducia: per Townsend, infatti, si è trattata della prima affermazione in un tabellone Major dopo un digiuno lungo tre anni.
L’obbiettivo adesso, dopo essersi messa alle spalle il rodaggio post gravidanza per poter ritornare su livelli competitivi, è molto ambizioso come ha confermato l’allenatore della nostra protagonista al termine del match di primo turno. Parole che hanno posto l’asticella decisamente in alto, quasi una dichiarazione d’intenti per il futuro verso le prossime giocatrici che si troveranno al suo cospetto: “Taylor è una tennista che per livello espresso è da Top 20, pur non essendo attualmente posizionata in quella fascia di ranking. Oggi – martedì – ha giocato come dovrebbe giocare una tennista che ambisce ai piani alti del circuito, deve continuare su questa strada“.
Ora però come promesso, portiamo indietro il nastro dei ricordi fino agli albori della sua esperienza con una racchetta in mano. Ovvero, quando era indiscutibilmente la più forte giocatrice Under 18. Lì, tuttavia, nel punto più alto sono incominciati i veri problemi prima ancora di spiccare il volo tra i grandi. Difficoltà che sono facilmente riscontrabili in un aspetto specifico dell’essere una tennista professionista: il fisico. Ebbene sì, tecnicamente infatti non si può discutere potendo contare sul giusto mix tra potenza e manualità. Allora, il corpo di Taylor era ancora in via di sviluppo ma i primi segni che non fosse stata baciata dagli Dei della racchetta per ciò che concerne il telaio fisico erano fin troppo palesi.
E sappiamo quanto valga la capacità aerobica nel tennis moderno, sicuramente più di quanto valore avesse in passato nel confronto con la tecnica. In particolare, la Federazione statunitense – l’USTA – un decennio orsono come adesso dà molta importanza nei suoi programmi di sviluppo relativi agli atleti che si affacciano al professionismo, all’aspetto fisico del gioco dove certamente Taylor possedeva della mancanze.
Nonostante ciò ha sempre rappresentato un fiore all’occhiello, al tempo, del movimento giovanile d’Oltreoceano. Oltre alla vittoria australiana maturata in singolare nel 2011 imponendosi sulla kazaka Yulia Putinseva, un anno dopo arrivò anche il trionfo in doppio a Wimbledon in coppia con Eugenie Bouchard.
Ma proprio qualche settimana dopo il trionfo londinese, come ha riportato il Wall Strett Journal, in seguito ad un KO subito all’esordio di un appuntamento ITF in Canada, i coach sotto l’egida della United States Tennis Association che la seguivano – e che furono al suo fianco durante i primi passi nel tennis che conta – decisero per un cambio di rotta radicale. Era necessario, secondo la loro visione, lavorare duramente sulla forma fisica. Quindi presero la decisione, inevitabile dal loro punto di vista, di far ritirare l’allora 16enne Taylor dai campionati nazionali e rispedirla al Centro di Formazione di Boca Raton in Florida. Townsend non accettò di buon grado tale scelta, sentendosi quasi tradita dal sistema con i rapporti tra lei e la Federazione che da lì si incancrenirono. Il tempo ha lenito le ferite, ciononostante la nativa di Chicago ha sempre considerato quella presa di posizione affrettata ed errata per il prosieguo della sua carriera poiché la minò e non poco sul piano psicologico dopo i tanti successi da junior. Ci permettiamo comunque di affermare che forse i suoi allenatori del tempo non avessero così torto. Adesso, in ogni caso, eravamo giunti al momento della verità. Sul piano fisico le cose non sono migliorate, anche per via della maternità, ma Taylor è convinta di poter arrivare con il fisico che si ritrova lì dove invece chi la seguiva ad inizio carriera sosteneva non potesse farcela essendo supportata da codesti attributi fisici. Un grande torneo avrebbe riscattato Taylor e – probabilmente – avrebbe fatto rimpiangere la decisione presa un decennio fa all’USTA. Ma purtroppo il secondo turno le è stato fatale, rimontata 1-6 6-2 6-3 dalla tds n. 19 Ekaterina Alexandrova. Sconfitta maturata a causa proprio di un crollo fisico. Dunque la Federazione aveva ragione, almeno per il momento, sta adesso a Taylor provare nei prossimi mesi a ribaltare la situazione raggiungendo la tanto agognata Top 20.