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WTA Lione: Paolini esce a testa alta, Garcia troppo superiore nei finali di set
La prima forza del torneo si riconferma nelle ultime quattro dopo l’edizione 2022, a Jasmine Paolini rimane la soddisfazione di essersi dimostrata all’altezza di una Top 5

[5] C. Garcia b. J. Paolini 7-5 7-5
Aveva disputato un solo quarto di finale in tornei sul cemento indoor del circuito maggiore fino al settembre 2021, ma poi Jasmine Paolini si è resa protagonista di un deciso cambio di marcia ottenendone sette nel successivo anno e mezzo. E difatti nel terzultimo atto dell’Open 6ème Sens Métropole di Lione – WTA 250 –, pur raccogliendo una sconfitta al cospetto della prima forza del tabellone nonché padrona di casa Caroline Garcia, ha dimostrato gli enormi progressi compiuti su questa superficie esprimendo un tennis valevole la Top 20, sensazione vidimata dall’aver affrontato una giocatrice fra le prime cinque del mondo oltre che “Maestra” in carica e semifinalista Slam.
Con il solito invidiabile atteggiamento, tuttavia alla fine dei conti si è dovuta arrendere con un doppio 7-5 maturato in quasi due ore complessive di sfida (1h47′ per l’esattezza, con il primo set che è durato un minuto in più del secondo: 54′ e 53′). A tratteggiare la differenza nei rush finali dei parziali, la maggiore efficacia ma anche la superiore potenza dei fondamentali d’inizio gioco della francese che hanno sottratto costantemente tempo all’azzurra, la quale però ha tenuto botta finché ha potuto grazie alla sua ottima reattività atletica. Per Caroline è la seconda semifinale consecutiva in quel di Lione, nel 2022 si arrese alla cinese Shuai Zhang.
IL MATCH – Il terzo match di giornata a Lione mette di fronte la N.5 del mondo Caroline Garcia alla nostra Jasmine Paolini. Un match proibitivo non solo per la differente classifica delle due ragazze (Jasmine è N.66) ma perché nei 3 precedenti tra le due, l’azzurra non era mai arrivata a 4 giochi in un set, incluso un severissimo 6-1 6-2 nella semifinale di Varsavia dello scorso anno.
La prova di Paolini però oggi è di ben altro spessore: con grande coraggio e grande senso dell’anticipo gioca per lunghi tratti alla pari nel primo set arrivando fino al 5 pari dopo aver annullato un set point sul 4-5. La differenza al servizio però è notevole, con Caroline che serve 5 ace in 6 turni di battuta.
E dopo aver tenuto il servizio per il 6-5, Garcia si carica decidendo di rispondere 2 metri dentro al campo sulla seconda avversaria. Un paio di volte Jasmine non controlla il colpo e sul set point Garcia si inventa una clamorosa demi-volée di dritto vincente degna di Pete Sampras per chiudere il parziale su un passante notevole della nostra giocatrice.
Dopo un primo set nel quale Paolini avrebbe quantomeno meritato di giocarsi le proprie chances al tie-break, vista l’elevata qualità del tennis da lei espressa, l’incontro riparte per dare vita alla seconda pellicola. Rompe il ghiaccio nel migliore dei modi anche nella seconda frazione Garcia, continuando ad avere un rendimento inappuntabile con il proprio fondamentale d’inizio gioco che è in grado di variare in maniera perfetta per evitare di fornire punti di riferimento alla giocatrice toscana. A complicare le dinamiche del match, poi, osservandolo dalla metà campo azzurra, è stato finora il fattore riguardante la ribattuta transalpina. La numero cinque del mondo non ha fatto trasparire per tutto il primo parziale il minimo calo neppure in risposta, imprimendo con costanza mortifera pressione alla sua avversaria e senza perciò concederle la più piccola frazione di tempo per preparare al meglio il primo colpo in uscita dal servizio. Tuttavia la 27enne di Castelnuovo di Garfagnana facendo affidamento alla sua strabiliante reattività, conseguenza anche del proprio mirabolante gioco di piedi, ha tenuto botta alla grande mettendo particolarmente in mostra nel secondo set qualche soluzione bimane di ottima fattura – da notare fluidità di movimento e impatto filante della sfera. Caroline inizia comunque a far intravedere qualche crepa perdendo per qualche minuto le misure del rettangolo di gioco in risposta, mentre invece alla battuta prosegue in versione rullo compressore che asfalta tutto ciò che trova dinanzi al suo cammino. E così nonostante una grande Jasmine nel suo secondo turno di risposta del set, sull’1-1, la beniamina di casa fa la voce grossa ricorrendo a tutto il proprio repertorio in battuta per risolvere brillantemente l’enigma propostole dall’italiana: un 30-30. Dopodiché, vanno a referto due giochi consecutivi vinti a zero da chi serve con la trottolina italica che risponde colpo su colpo alla sua dirimpettaia d’Oltralpe.
Ecco che però quelle primordiali titubanze, instillate prontamente dall’indomito atteggiamento italico, appurate in risposta si trasferiscono anche nei game di servizio andando ad intaccare le sicurezze fino a quel momento inossidabili del servizio a disposizione della “Maestra” 2022: un settimo gioco in cui si sommano chirurgiche ribattute azzurre ad alcuni pacchi regalo provenienti dal bimane della testa di serie numero uno. Perciò servito sul piatto d’argento lo 0-40 e subito dopo il primo break di Paolini alla prima occasione utile avuta nell’intero incontro. Per la prima volta, la n. 66 WTA si trova a condurre. Ma purtroppo l’effimera ebbrezza del sorpasso e della sensazione di potersi realmente intascare la frazione incoccia in brevissimo tempo con la cruda e nuda verità, dei fatti palesatisi da lì a poco. La n. 4 d’Italia avverte la tensione e concede il fianco, Garcia non si lascia pregare e si riprende immediatamente il break di svantaggio. Purtroppo il primo vero svarione, peraltro comprensibile, a marca italica condanna la toscana. Perché, difatti, potendo riprendere il comando delle operazioni la semifinalista dell’ultimo US Open torna a far valere la sua maggiore potenza. Per cui inevitabilmente arrivati al momento decisivo, con Paolini al servizio per restare nella sfida nel decimo game, Caroline intensifica i suoi sforzi e si arrampica alla palla match. Ma ancora una volta è la splendida tenacia, oltre che la proverbiale consistenza, dell’allieva di Renzo Furlan a respingere gli assalti napoleonici – anche se ad onor del vero la francese ci mette del suo mandando lunghe diverse catenate sprigionate in ribattuta. Dunque la contesa non è finita, anzi.
Si passa ad undicesimo game, in cui la Top Five dimostra chiaramente i propri dubbi amletici nonostante il costante supporto del pubblico di Lione: va fuori giri con i fondamentali da fondo, per cui viene sospinta ad arrembaggi garibaldini in avanti, e Jasmine è lì al varco per approfittarne. Tuttavia il 15-40, con due break point di fila a favore dell’azzurra, sfuma inesorabilmente a suon di frigoriferi vincenti scagliati dal servizio. Jas non ci sta e costringe la transalpina ad altri due vantaggi estraendo dal cilindro un fantasmagorico passante bimane e un portentoso dritto alla “Garcia”. Però alla fine della fiera è di nuovo 6-5 Caroline, e come nei più classici canovacci del genere “gioco alla grande, faccio tutto quel che posso ma alla fine l’altra mi frega sul rush finale perché fisicamente più dotata da madre natura” va in scena la replica del primo cortometraggio. I fantasmi del primo set, infatti, rifanno capolino e appongono il sigillo alla seconda semifinale agguantata al WTA 250 di Lione da parte di Caroline Garcia. Sabato troverà Camila Osorio, tennista che nell’occasione si è dimostrata intelligente e capace nell’imbrigliare il talento nascente di Linda Noskova imponendosi per 6-4 7-6(3). Avanti di un set e 4-2 nel secondo, la colombiana subisce il rientro di Noskova sul 5 pari, poi si disunisce al momento di chiudere dopo che a referto è andato il quinto break del parziale. Disastro di Linda nel finale del tie-break, con il doppio fallo a separare uno smash e una volée non complicati eppure falliti.
La prima semifinale vedrà invece di fronte l’americana Alicia Parks (22 anni, N.79 WTA) che ha battuto Danka Kovinic col punteggio di 7-5 6-2 e la belga Maryna Zanevska che ha battuto a sorpresa in 3 set la N.5 del seeding Anastasia Potapova 3-6 6-1 6-2.
(ha collaborato Luca De Gaspari)
IL TABELLONE DEL WTA 250 DI LIONE
ATP
ATP Miami: discontinuo ma cinico, Medvedev batte Khachanov ed è in finale
Khachanov prova a prendere l’iniziativa ma Daniil prende il controllo del match nei momenti importanti: affronterà Sinner o Alcaraz

[4] D. Medvedev b. [14] K. Khachanov 7-6(5) 3-6 6-3

Fra alti e bassi, errori e blackout, un discontinuo ma cinico Daniil Medvedev ha la meglio su Karen Khachanov, amico-rivale che ha disputato un match coraggioso, tentando di spezzare la ragnatela del suo avversario, riuscendoci, per altro, soprattutto nel secondo set; Ma non basta: Daniil raggiunge la prima finale a Miami, Karen manca il ritorno in top ten. L’avversario del numero cinque del mondo verrà deciso stanotte nel nuovo capitolo della recente ma promettente saga Sinner-Alcaraz.
Primo set
Prima semifinale del Miami Open. Nel giorno dell’annuncio della revoca del bando a Wimbledon, in campo due tennisti russi: Daniil Medvedev, in striscia positiva (se si esclude la finale contro l’intoccabile Alcaraz ad Indian Wells) dal torneo di Rotterdam, parte nettamente favorito contro l’amico Karen Khachanov, tornato dopo anni a battere un top ten (23 le sconfitte consecutive dalla vittoria a Bercy 2018 su Djokovic) e di nuovo a ridosso dei primi dieci dopo la recente semifinale slam in Australia. Daniil è in vantaggio 3-1 negli h2h, l’ultimo quest’anno ad Adelaide. Chi vince trova Jannik Sinner o Carlos Alcaraz, in campo nella notte italiana.
Dopo umide giornate di pioggia, il clima di Miami sembra quasi apprezzabile (al 62 per cento l’umidità). E sembra Khachanov il giocatore in grado di approfittare delle favorevoli condizioni climatiche: la testa di serie numero 14 si procura subito due palle break, ma Medvedev è bravo ad annullarle con i primi due ace della partita. I suoi turni al servizio rimarranno macchiati da qualche sbavatura, mentre intonsi saranno quelli di Khachanov, che tiene a zero i primi tre. Escluse alcune magie (non andate a buon fine) da parte di Medvedev, è calma piatta sul centrale, finchè sul 3-4, con le palle nuove, la striscia di Khachanov si interrompe all’improvviso: all’improvviso Daniil si accende, intrappola Karen nella sua tela, e basta qualche seconda che il numero cinque del mondo si prenda tutto il braccio, si procuri due palle break e si trovi a servire per il primo set.
Come si accende in un attimo, basta poco perché l’attenzione di Medvedev cali: un doppio fallo e un nastro sfortunato non arridono al campione dello US Open 2021, che si fa recuperare immediatamente il vantaggio, mancando fra l’altro un set point sul quale commette un doppio fallo. Ora Khachanov prova a sciogliere la trama del suo avversario, prende più volte l’iniziativa e tiene con autorità i turni successivi, nonostante l’esasperata difesa di Medvedev: è tiebreak. Qui fa tutto Daniil: si prende un minibreak, lo getta via con un errore di rovescio, se lo riprende e infine, nonostante il coraggio e i tentativi di Khachanov, chiude 7-5 dopo un’ora e due minuti. I numeri sono a favore di chi rincorre: 75 percento di seconde palle contro il 33 dell’avversario, addirittura tre punti in più, ma chi passa a condurre è col suo solito cinismo Medvedev, che ora si dirige verso il bagno dove sosterà per ben sette minuti e mezzo.
Secondo set
Il toilet break, in realtà, sembra favorire Khachanov piuttosto che Daniil: Il vincitore di Parigi Bercy 2018 parte forte, brekkando a 15 Medvedev, scomparso dal campo (a volte letteralmente: la telecamera fatica a inseguire le sue stoiche difese). La tattica del logoramento non sortisce più alcun effetto su Khachanov, che ora esce in maniera relativamente agevole dallo scambio: dopo i primi tre giochi in cui vince 12 punti su 15, Karen tiene il suo avversario a debita distanza, sia nel punteggio che dalla linea di fondo, e chiude in breve tempo, senza particolari patemi ed in completo controllo, per 6-3. Si va al terzo e decisivo set. Medvedev è chiamato a riaccendersi un’altra volta.
Terzo set
Il buon momento di Khachanov continua anche in apertura di terzo set: subito palla break nel game d’apertura, ma Medvedev alza le percentuali al servizio e suggella col nono ace un game molto complicato. È la svolta: i turni di battuta di Khachanov sono ora un lontano ricordo di quelli del primo set, e, probabilmente accusando la stanchezza fisica e mentale a cui il suo avversario l’ha inevitabilmente condotto, concede due palle break e con ben tre gratuiti perde il servizio e torna a inseguire. Per la prima volta, Medvedev è davvero in controllo della partita: i suoi game di battuta seguono trame predefinite e, nonostante alcuni caparbi colpi di coda di Khachanov in scambi da venticinque punti, il numero cinque chiude 6-3 e dopo due ore e diciassette si qualifica per la quinta finale consecutiva. Un Khachanov sfinito ci prova fino all’ultimo punto ma alla fine si avvicina alla rete con il sorriso sportivo dello sconfitto. Chiunque vinca stanotte, sarà una bella finale.
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Torino, non solo ATP Finals ma anche Piemonte Open Intesa Sanpaolo (14-20 maggio)
La forza della tradizione: storia di cinque Coppe Davis, Nicola Pietrangeli che batté Rod Laver (1961) e a maggio, un challenger (175.000 €) al Circolo della Stampa – Sporting con un probabile cast di partecipanti da ATP 250. Fabrizio Paschina, Executive Director Comunicazione e Immagine di Intesa Sanpaolo: “Ecco un altro tassello alla nostra strategia di partecipazione…”

Il “Piemonte Open Intesa Sanpaolo”, evento premium della neonata categoria Challenger 175, sarà il nuovo torneo ATP della città di Torino che va ad arricchire il già importante scenario e calendario tennistico offerto dal capoluogo piemontese. Dal 14 al 20 maggio saranno i campi in terra rossa del Circolo della Stampa Sporting ad ospitare i campioni affermati e le giovani promesse che vi prenderanno parte, per un appuntamento che promette di offrire grande spettacolo per tutti gli appassionati di tennis. “Essere Title Partner di questo nuovo evento che si svolgerà a maggio è fondamentale per aggiungere un altro tassello alla nostra strategia di partecipazione sia sul territorio, sia su Torino, sia verso gli appassionati di tennis” ha dichiarato Fabrizio Paschina, Executive Director Comunicazione e Immagine di Intesa Sanpaolo.
Un ritorno ai fasti del passato per l’impianto torinese, dato che lo Stadio del Tennis vanta una ricca storia avendo ospitato gli Internazionali d’Italia del 1961 e la Nazionale italiana per alcune sfide di Coppa Davis e Federation Cup tra gli anni ’60 e ’70.
Questi gli incontri della nazionale italiana di Coppa Davis disputati al Circolo della Stampa Sporting Torino:
1949 – Italia b. Cile 4-1 (Zona europea, quarti di finale, 9-16 giugno)
1953 – Italia b. Svezia 4-1 (Zona europea, quarti di finale, 10-14 giugno)
1960 – Italia b. Cile 3-2 (Zona europea, quarti di finale, 10-12 giugno)
1964 – Svezia b. Italia 3-1 (Zona europea, quarti di finale, 11-14 giugno)
1973 – Italia b. Spagna 3-2 (Zona europea, semifinali, 20-22 luglio)
Intervengono Pietro Garibaldi, Presidente del Circolo della Stampa Sporting Torino, Giorgio Di Palermo, Direttore del Torneo, Gianni Ocleppo, Presidente Comitato d’Onore Nitto ATP Finals, e Fabrizio Paschina, Executive Director Comunicazione e Immagine di Intesa Sanpaolo
Ed ecco la ricostruzione della famosa finale vinta da Nicola Pietrangeli su Rod Laver pubblicata da OK Tennis.
Il giorno che Pietrangeli distrusse Laver
di Raffaello Esposito
1961, gli albori dei mitici Sixties.
Mentre ad Amburgo la bionda Astrid Kircherr sforbiciava alla Giulio Cesare i capelli a quattro teddy boys di Liverpool, a Berlino prende forma concreta l’incubo della “cortina di ferro” evocato quindici anni prima da Churchill. Nella capitale tedesca ha inizio la costruzione di un muro che per quasi trent’anni separa amici e fratelli, simbolo visibile di un mondo diviso a metà. Il 26 giugno di due anni dopo è una giornata ventosa e quel muro una dolorosa realtà. Da un podio imbandierato eretto in Rudolph-Wilde-Platz il ciuffo alla James Dean di John Fitzgerald Kennedy è spettinato mentre celebra “the fighting spirit of West Berlin” con il celebre passaggio “Today, in the world of freedom, the proudest boast is Ich bin ein Berliner!”. Oggi quella è la sua piazza. Gli fu intitolata tre giorni dopo l’assassinio di Dallas.
Il loro muro gli uomini con la racchetta lo aveva costruito ben prima.
Il passaggio del grande Tilden fra “le puttane dei pro” (ipse dixit) alla fine del 1930 non poté essere ignorato e fino al 1968 una barriera, invisibile, impenetrabile, ipocrita, tagliò in due il mondo del tennis. Chi passava di là pagava l’affronto con l’esclusione dal circuito ufficiale che comprendeva Wimbledon, la Davis e tutto il resto. Il risultato fu che per decenni i campioni veri erano altrove, con pochissime eccezioni. Una di queste fu Roy Emerson, l’australiano scolpito con l’accetta che si credeva sempre il più forte di tutti.
Un’altra fu Nicola Pietrangeli, nato a Tunisi lunedì 11 settembre 1936.
“I miei nonni materni russi e nobili , quelli di mio padre tedeschi e svedesi. Insomma, sono un bel bastardo ma avrei potuto farmi chiamare conte”.
In questa dichiarazione c’è tutto il personaggio.
Cosmopolitismo, consapevolezza del proprio valore, furbizia e quel pizzico di ribalderia che quando è ben dosata non guasta.
Ma poi c’era la pigrizia, caratteristica , quella sì, tutta italiana fin dagli ozi capuani di Annibale Barca, il fulmine di guerra.
Il talento evidente gli avrebbe consentito qualunque tipo di gioco, ma quanto era più comodo governare scambi e avversari da fondocampo con quel rovescio olimpico – più forte del dritto al pari di grandi come Budge e Jimmy Connors – che era pura sinfonia?
Solo il piccolo maestro Rosewall rivaleggiava con lui in quel colpo.
Era bravo come i pro, li batteva spesso in allenamento e nel 1960 Jack Kramer riuscì finalmente a fargli firmare un contratto per passare l’Acheronte.
Ricco, ricchissimo. Faraonico.
Ma significava essere banditi dal salotto buono dei circoli più prestigiosi del mondo, nei quali il suo sguardo ceruleo faceva strage di cuori. In cambio scompartimenti di treno e sedili d’aereo per dieci mesi l’anno, arene improvvisate e spogliatoi fatiscenti con un chiodo per appendiabiti. Decise che i soldi non valevano quella vita scabra, alla quale per natura era poco incline. Preferì l’esistenza comoda del circuito ufficiale, nel quale comunque circolavano cospicui “Under the table money”, come li chiamava lo sgamato Bobby Riggs, uno che ne capiva e che forse li aveva pure inventati.
Nicola Pietrangeli fu un tennista sublime pur non sfruttando al massimo tutte le doti che possedeva. Resistentissimo e solido, sapeva essere potente ma preferì sempre l’accuratezza del piazzamento, il controllo totale della palla. La sensibilità del tocco gli consentiva comunque un’agevole frequentazione della rete, come stanno a mostrare i notevoli successi in doppio con Orlando Sirola e un giovane Panatta.
Quando si aprono gli Internazionali d’Italia 1961 Nick è considerato il più forte tennista del mondo sulla terra battuta. Ha vinto i due precedenti il Roland Garros e anche quell’anno Parigi lo vedrà in finale. Perderà al quinto contro l’astro nascente Santana, pagando forse carissima una fuga a Roma per la nascita del figlio.
“…vado dal giudice e gli dico che parto. La domenica sono partito, mio figlio è nato e ancora oggi non so perché l’ho fatto ma sono rimasto a Roma altri tre giorni”.
Novello Annibale, appunto.
Si celebra il centenario dell’Unità d’Italia e quell’anno il torneo si gioca a Torino, capitale fino al 1865, sui campi rossi del Circolo della Stampa.
I nomi sul tabellone certificano durezza e lignaggio della competizione. Oltre a Nicola e Beppe Merlo ci sono lo spagnolo Manolo Santana, inventore del lift estremo, e tre australiani uno più forte dell’altro. Nell’ordine Neale Fraser, Roy Emerson e un ventiduenne dall’occhio di falco che è solo all’inizio ma ha già fatto parlare di sé.
Il suo nome è Rodney George Laver, per tutti Rod.
Pietrangeli ci ha già perso due volte, entrambe sull’erba dove il suo tennis è certamente meno redditizio. Nella semifinale di Wimbledon 1960 però mancava tanto così… Nicola si era arreso solo al quinto per 6-4, pagando salatissimo un calo di concentrazione in battuta all’avvio del set decisivo. Adesso però si gioca sulla sua superficie preferita, è in gran forma e in quella primavera ha trionfato dal Cairo a Montecarlo e sembra non conoscere sconfitta. A Torino sorvola il torneo senza perdere un set, annichilendo in semifinale Roy Emerson, un tipino capace di dodici Slam in carriera.
Dall’altra parte dell’arena Laver deve lottare molto più duramente per arrivare alla finale di lunedì 15 maggio. Non è ancora il consapevole monarca del tennis ma il suo gioco appare comunque rivoluzionario. Anticipo estremo, uso del polso, top spin violento anche dalla parte del rovescio, assalto della rete. L’anno dopo sarà Grande Slam, il primo di due. Spende moltissime energie per domare l’orgoglio di Beppe Merlo prima e di Santana poi e quando arriva l’incontro decisivo non ne ha più.
L’australiano dà tutto nel primo set, nel quale predominano scambi entusiasmanti soprattutto perché Nicola accetta il gioco pesante per non farsi intimidire.
Laver sembra padrone quando gli strappa due servizi per un 5-1 illusorio quanto una fatamorgana. Da quel momento Rod vincerà solo sette giochi in tre set e mezzo. Pietrangeli ci ha messo un po’ a scaldare il fisico massiccio e ora tutto gira a meraviglia. Esalta i duemila spettatori presenti sul Centrale con una rimonta furiosa che lo porta al 5 pari. Si va ad oltranza e solo due rovesci lunghi – vos quoque! – consentono a Laver il break decisivo per un 8-6 sfiancante.
Ed ecco che Pietrangeli Nicola da Tunisi decide di non sbagliare più. Letteralmente. Oltre la rete c’è un combattente vero, uno che dai suoi allenatori, prima Hollis poi Hopman, è stato cresciuto nel culto della resistenza fisica, della lotta su ogni palla. Ma gli servirebbe un bazooka per sfondare il muro che gli si para davanti, non la sua misera Dunlop.
Nick adesso piazza i colpi negli ultimi cinque centimetri del campo, impedendo al suo avversario qualunque aggressione per mezzo della sola lunghezza di palla. Poi, quando decide che è il momento giusto, chiude. Sono colpi di stiletto continui che pian piano dissanguano il grande australiano, costretto ad attaccare da lontanissimo e ripetutamente battuto da passanti piazzati col mirino. I due stanno ancora giocando ma la partita non c’è più. Nello spazio di tempo occupato del primo combattuto set Pietrangeli ne vince tre col punteggio di 6-1 6-1 6-2.
È il suo secondo titolo agli internazionali d’Italia, uno degli ultimi urrah importanti di una carriera irripetibile.
Adesso tutti sapevano che poteva essere il più forte, in fondo a lui bastava così.
“Parva sed apta mihi”.
15/05/1961
Internazionali d’Italia, Torino – Finale
N. Pietrangeli b. R. Laver 6-8 6-1 6-1 6-2
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WTA Miami, Rybakina oltre la stanchezza: “Avevo poche energie ma sono riuscita a tirarle fuori”
Elena ringrazia l’allenatore per il supporto durante il match con Pegula e si prepara alla terza finale stagionale: “Spero di riuscire a fare quest’ultimo sforzo”

Solo Kim Clijsters, Vika Azarenka, Iga Swiatek e Steffi Graf (quest’ultima due volte) sono riuscite a fare doppietta tra Indian Wells e Miami nella storia del tennis femminile. Non può quindi stupire che Elena Rybakina, a una sola vittoria dall’entrare, mostri a parole (e non solo) tutta la sua stanchezza in sala stampa dopo la vittoria su Jessica Pegula in due set molto equilibrati e con varie interruzioni per pioggia. In totale sono diventate oltre 20 le ore passate in campo dalla kazaka nelle 11 partite disputate tra la California e la Florida e così, come lei stessa ha ammesso, le energie residue sono tutt’altro che abbondanti: “Oggi è stata una partita difficile, e in realtà le due settimane sono state davvero dure. Forse non avevo abbastanza energia. Quando ero sotto nel punteggio, però, mi sono arrabbiata un po’ e così ho cercato di spingere me stessa oltre il limite. E anche il mio box, il mio allenatore mi ha aiutato”.
Elena potrà però sfruttare il giorno di riposo per ricaricare almeno parzialmente le batterie in vista di una finale in cui partirà in ogni caso da favorita. Contro Cirstea o Kvitova (in campo stasera non prima delle 21 italiane), infatti, sarà lei, che è diventata la sesta donna a raggiungere l’ultimo atto a Melbourne, Indian Wells e Miami nello stesso anno (dopo Seles, Graf, Davenport, Hingis e Sharapova), ad avere in mano le sorti del match: se servizio e dritto funzioneranno come nelle ultime settimane, difficilmente la stanchezza potrà diventare un fattore.
D: Non sono molti i giocatori che hanno fatto il cosiddetto Sunshine Double. Quanto è difficile affrontare un torneo per due settimane e poi andare da un’altra parte e rifare tutto da capo?
RYBAKINA: È davvero difficile, anche a causa delle condizioni diverse in queste due settimane, dalle partite si può vedere che è molto più difficile per me qui che a Indian Wells. La doppietta sembra vicina ma allo stesso tempo è ancora lontana. Farò del mio meglio e spero di farcela.
D: Hai detto di non essere al 100% dal punto di vista fisico, in termini di stanchezza e cose del genere ma sei riuscita a reagire dopo essere stata in svantaggio di un break. Ti sei accorta che dopo aver subito il break hai iniziato a colpire più forte, quasi più liberamente?
RYBAKINA: Sì, credo di aver iniziato a essere un po’ più aggressiva, anche perché sapevo che se si fosse arrivati al terzo set sarebbe stato molto più difficile. Quindi forse ho rischiato un po’ di più anche alla fine del secondo set. Ho cercato di spingere sulle sue seconde di servizio. Sapevo di poter vincere in questo modo nonostante i possibili errori. Pensavo che fosse l’unico modo per sfondare.
D: Quando sei arrivata a Miami dopo Indian Wells, prima di giocare il tuo primo match, se avessi saputo che saresti arrivata in finale, sarebbe stato un risultato sorprendente per te, visto come ti sentivi, o è quello che ti aspetti da te stessa ora?
RYBAKINA: No, non mi aspettavo di arrivare in finale. Sapevo che sarebbe stata molto dura fin dall’inizio, fin dalla prima partita. E così è stato, in effetti. I primi due incontri sono stati molto duri. Non mi aspettavo nulla. Ho cercato di giocare un match alla volta, di concentrarmi, di spronarmi e di lottare fino alla fine, quindi anche quando ero sotto, ho cercato di trovare una soluzione. Per ora ci sono riuscita.
D: La prossima avversaria sarà Petra Kvitova [1-1 i precedenti] o Sorana Cirstea [2-0 per Elena]. Puoi dirci quali sarebbero le difficoltà con l’una e con l’altra e quanto l’esperienza di queste grandi finali può aiutarti sabato?
RYBAKINA: Penso che entrambe siano avversarie molto difficili. Entrambe colpiscono forte, sono aggressive e hanno ottimi colpi. Contro Petra ho giocato all’inizio dell’anno [ad Adelaide, vittoria in due set per la ceca, ndr] e lei ha giocato molto bene, ma lì i campi erano molto più veloci. Penso che sarà diverso se giocherò di nuovo contro di lei, ma di sicuro sarà molto importante l’aspetto fisico, perché qui i campi sono piuttosto lenti, soprattutto dopo la pioggia. Quando è così umido, non è facile. In ogni caso sarà una finale molto dura. Spero di riuscire a fare l’ultimo sforzo e che le cose vadano per il verso giusto [sorride, ndr].