Il momento del tennis italiano è straordinario: per la seconda volta in uno stesso torneo dello Slam, l’Italia è qualificata sia nella finale di singolare maschile che in quella di doppiomaschile. Successe nel 1959 quando al Roland Garros, Nicola Pietrangeli vinse entrambi i tornei, quello di doppio in coppia con Orlando Sirola. Per gli azzurri è tempo di tifare Bolelli/Vavassori e Jannik Sinner e di incrociare le dita.
Finale meritata per l’attuale n. 4 ATP, di testa, di cuore, che dimostra l’enorme crescita mentale, fisica e dei suoi colpi avvenuta nel giro di pochi mesi. Jannik si iscrive al “partito” di quelli che sono sopravvissuti avanti due set a zero alle rimonte di Djokovic: prima di lui Marat Safin e Roger Federer, non due qualsiasi, oltre al coreano Chung nel 2018. Sinner è poi il più giovane finalista dell’Australian Open proprio da Novak Djokovic nel 2008.
Ci sarà una sorta di maledizione nel n. 33 qui a Melbourne: come il serbo, anche la striscia di vittorie consecutive australiane di Monica Seles si fermò agli “anni di Cristo”. Di divino, c’era anche quella quasi certezza della vittoria di Djokovic appena entrato in semifinale: mai in Australia era uscito sconfitto dalle semifinali in poi. “Mai” sconfitto, più facile a scriverlo che a farlo e a batterlo. In dieci casi, tutte e dieci le volte in cui ha vinto il torneo. Non solo, nelle ultime semifinali Nole in Australia aveva perso solo un set. Ne ha persi ben tre contro Jannik.
Tra l’altro, non era mai accaduto che il serbo, in una gara dello Slam, uscisse senza aver mai avuto una palla break in suo favore. In questa edizione dell’Australian Open, Sinner ha salvato ben 26 delle 28 palle break offerte all’avversario. Il terzo set lo ha chiuso al tre-break dopo aver annullato un match point. Qui l’esempio eloquente dello scatto mentale di Sinner che non si fa travolgere dall’avversario a inizio quarto set ma mette subito la testa avanti e costringe Djokovic a inseguirlo nel computo dei set e in quello dei game. O quando va a servire per il match e piazza l’ace dopo aver fatto registrare il primo doppio fallo della gara. L’anno scorso il suo percorso si era interrotto ai quarti con la rimonta non concretizzata ai danni di Stefanos Tsitsipas.
Quando Nole aveva vinto il primo Australian Open, Sinner aveva appena 6 anni e dal televisore seguiva il serbo asfaltare “Re” Federer in semifinale e liquidare Tsonga in quattro set. All’epoca l’altoatesino si destreggiava tra i paletti di discese e salite con gli sci tra i piedi. Esercizio che gli è servito a destreggiarsi tra le polemiche di chi lo aveva affossato sino a qualche tempo fa. Ma il lavoro paga sempre e il salto in avanti compiuti lo si vede nelle percentuali della seconda di servizio con cui ha ottenuto il 63% di punti. Sinner arriva in finale avendo perso un solo set e con 18 ore e 31’ impiegati in campo per conquistarla. Forza Jannik, pronti ad aggiornare a lungo il libro dei suoi record.