Sulla sedia dell’arbitro a Miami: la rivincita dei boomer!

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Sulla sedia dell’arbitro a Miami: la rivincita dei boomer!

Quando la tecnologia complica il torneo, forse è il caso di rimetterla in discussione?

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Nei quarti di finale del Miami Open, 17 minuti dopo l’inizio del match tra Azarenka e Putintseva, l’arbitro è costretto a fermare il match per colpa di un blackout sul campo centrale. Putintseva avanti di un break 2 giochi a 1, sta per servire con il punteggio di 30-0, quando l’arbitro, alle prese con due radioline diverse tra le mani, le chiede di aspettare e di fermarsi. Le due giocatrici confuse si avvicinano alla metà campo e l’arbitro a quel punto scende giù dalla sedia per spiegare che il sistema di Electronic Line Calling Live (ELC Live) è saltato. A causa di un calo dell’energia, non ci sono le luci necessarie per le telecamere e la voce di Hawk Eye è sparita. “Dobbiamo resettare il sistema, dovrebbe essere questione di alcuni minuti” spiega l’arbitro, invitando le giocatrici a sedersi un attimo ai loro posti.

I responsabili in campo e quelli del sistema ELC Live cercano di dare spiegazioni poco precise alle giocatrici disinteressate e sempre più nervose. “E quindi? Cosa facciamo?” chiede Azarenka, scuotendo la testa, con lo sguardo da serial killer. Putintseva, con il punteggio fino a quel momento favorevole, appare più rilassata. Mentre su Twitter iniziano le proteste e le numerose polemiche dei boomer contrari all’eccesiva fiducia riposta nella tecnologia, le giocatrici escono dal campo senza sapere quando rientreranno, quando dovranno riprendere a scaldarsi, o quanto tempo potranno stare sedute ad aspettare. I responsabili del sistema a bordo campo vengono inquadrati da ogni angolo possibile, visibilmente incerti e impreparati di fronte a quel tipo di situazione. Ogni dieci minuti si prevedono altrettanti minuti prima di riprendere il gioco e alla fine, la partita ricomincia dopo quasi un’ora di interruzione.

Solamente due giorni prima, sullo stesso campo, Kasatkina e Cirstea sono alle prese con il terzo turno di Miami. Cirstea, sotto 4 giochi a 2, tira una prima di servizio che finisce fuori di parecchi centimetri. Ma quando si volta verso i raccattapalle per ricevere la seconda palla da servire, l’arbitro le assegna l’ace. La voce di Hawk Eye non ha parlato, quindi la pallina si deve considerare buona, nonostante la chiara evidenza del contrario. Kasatkina resta ferma di fronte al giudice di sedia con le braccia larghe, spaesata, ma l’ufficiale le spiega di non poter fare niente e di volersi (o meglio, doversi) fidare della chiamata dell’occhio di falco. Proprio com’era successo al torneo di Phoenix, nella finale tra Berrettini e Borges, l’arbitro è apparso ancora una volta completamente inutile di fronte al potere della tecnologia. 

Il motivo per cui avevamo parlato di un “raro esemplare di fair-play rimasto” riferendoci a Borges, che aveva sportivamente dato il punto a Berrettini, è il seguente. Nonostante i replay abbiano dimostrato come la stessa tennista rumena fosse pronta a servire la seconda, Cirstea ha deciso di prendersi il punto senza batter ciglio, scatenando l’ira degli haters sui social. Solo al termine della partita vinta ha spiegato: “Era un punto piuttosto importante, per me era la palla decisiva. Il servizio mi è sembrato fuori ma tanto decide l’occhio di falco”.

La questione del fair-play purtroppo, non si potrà mai dare per scontata. Quello che urge essere chiarito a questo punto, è il ruolo dell’arbitro di fronte ai problemi della tecnologia. Non si possono decidere punti importanti sulla base dell’umore dei giocatori: se Borges quel giorno si fosse svegliato con il piede sbagliato e non avesse dato il punto a Berrettini? Se il prossimo errore dovesse arrivare sul match-point di una finale? Quanti saranno i giocatori disposti a opporsi all’indiscutibile decisione di Hawk Eye? E quanti di loro saranno disposti a riconoscere un punto fondamentale al loro avversario?

L’ELC Live è arrivato per sostituire i giudici di linea che dal 2025 non esisteranno più nei tornei ATP. Ma questo non dovrebbe compromettere il risultato, così come l’andamento delle partite. Questo cambiamento non deve annullare il giudizio di chi è seduto in campo, su quella sedia, con le capacità, l’esperienza e un percorso alle spalle che gli permettono di opporsi anche ad una formalità scritta. Il famoso potere chiamato “overrule” è sempre stato esercitato dagli arbitri nei confronti dei giudici di linea e dovrebbe continuare a prevalere anche sugli errori della tecnologia, che non sembrano essere poi così sporadici.

La risposta “Tanto decide l’occhio di falco” dovrebbe farci capire che stiamo prendendo una direzione pericolosa, quella in cui conta di più l’occhio di un animale (finto) rispetto al nostro. Forse sarebbe meglio rimettere in discussione l’affidabilità della tecnologia, al posto di quella umana. Perché in campo non si gioca a un videogame.

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