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Quando poco prima dell’inizio del torneo è stato ufficialmente inaugurato il tetto retrattile sul Court Suzanne Lenglen forse nessuno si aspettava che in questo suo primo anno di via il suo utilizzo sarebbe stato così frequente. La struttura disegnata dallo studio di architetti Dominique Perrault è stata “dispiegata” in tutte le prime sette giornate di questo piovosissimo Roland Garros, fornendo a tennisti, spettatori, ma soprattutto alle TV un’altra partita “fresca” da guardare oltre a quella del Philippe Chatrier.
Tuttavia l’utilizzo così assiduo di quella che in teoria sarebbe una forzatura per un torneo considerato indoor sta creando una disparità sempre più evidente tra i giocatori di punta che sono sempre programmati sui campi “copribili” e tutti gli altri che invece hanno dovuto sorbirsi ritardi, sospensioni, riavvii e quant’altro, dovendo molto spesso tirare a indovinare per quel che riguarda il tempismo di riscaldamento, pasti ed esercizi propedeutici alla partita.
Certamente non si tratta di un problema unico al Roland Garros: tutti gli Slam hanno i campi principali con un tetto retrattile, e anche alcuni Masters 1000 possono permettersi lo stesso lusso. Ma la terra battuta è una superficie che reagisce molto di più alle condizioni atmosferiche di quanto capiti al cemento: sebbene coperti dai teloni impermeabili, i campi esterni sono rimasti esposti in maniera prolungata alla pioggia e all’umidità, rendendo la superficie decisamente più lenta di quanto non fosse stato percepito all’inizio del torneo, quando il sole e l’aria secca facevano saltare molto di più i colpi dopo il rimbalzo.
Inevitabilmente i campi outdoor, utilizzati quasi sempre anche fino a tarda sera, finiscono per assorbire maggiore umidità, che poi si trasferisce alle palle, che soprattutto quando vengono trasferite da una parte all’altra del campo sono fatte rotolare sulla terra battuta diventando sempre più pesanti.
E quindi continua ad aumentare il divario di condizioni tra il torneo “indoor”, con orari regolari (per quanto possono essere regolari gli orari del tennis) e campi perfetti, e quello “outdoor”, con programmi aleatori in balia del meteo e campi che possono essere quasi delle paludi. Basta chiedere a Sara Errani, che impegnata giovedì sera sul campo 3 contro Emma Navarro si è lamentata di un fondo di gioco in condizioni disastrose: “Il campo era allagato, non riuscivo quasi a stare in piedi. Io patisco molto la mancanza di appoggi sicuri e nel primo set era molto difficile correre. Non capisco come sia possibile che un campo coperto da un telone si sia potuto bagnare così tanto: ne ho visti altri che erano perfetti, hanno dovuto addirittura annaffiarli”.
Il tennis è già uno sport intrinsecamente classista: le teste di serie spesso hanno un bye, oppure hanno spogliatoi separati, addirittura qualche volta lo spogliatoio personale, l’autista dedicato, oltre ovviamente alla sicurezza di non incontrare nessuno classificato meglio di loro fino al terzo turno. E oltre a essere più forti (perché alla fine hanno conquistato più punti degli altri… il ranking funziona così) vengono anche fatti gareggiare nelle condizioni migliori.
Si potrà dire che è così in tutti i campi: i migliori riescono spesso ad ottenere le condizioni più favorevoli per loro stessi, mentre gli altri devono arrangiarsi con quello che hanno. Tuttavia qui ci si comincia a chiedere se non si stia esagerando. Soprattutto perché siccome i turni decisivi verranno giocati sui campi principali, anche chi uscirà indenne dai turni preliminari giocati facendo lo slalom tra acquazzoni e campi paludosi sarà sicuramente svantaggiato a competere in una situazione nuova contro chi invece quella situazione l’ha già vissuta per diversi turni. Oppure entrambi si troveranno a giocare le finali in condizioni outdoor, calde e soleggiate, nel qual caso non sarebbe un vantaggio per nessuno. In poche parole: solo nella migliore delle ipotesi sarebbe una situazione equa. Ma che fare? Purtroppo non c’è molto da fare, se non accettare la situazione e riconoscere che è ingiusta. Come il mondo in cui viviamo. Avere la sicurezza di poter giocare i match più appetibili dalle TV non è ormai più rinunciabile, quindi purtroppo i tornei a due velocità continueranno e probabilmente aumenteranno di numero.