“Tommy Paul uno di noi!” sentenzia John Isner e Steve Johnson aggiunge: “amico, sei una leggenda”. Durante il podcast Nothing Major i due showman tornano sul caso del pick-up pignorato e mettono in mezzo il valoroso Tommy Paul, ospite probabilmente suo malgrado in quanto protagonista di una vicenda sicuramente infrequente eppur, come vedremo, significativa.
“Hai riavuto il furgone?” – chiede John. “Sì, ce l’ho” – risponde Tommy – “sono proprietario al 99%”. Paul spiega la vicenda: “ero passato a Goldman Sachs e non avevo pensato di occuparmi delle incombenze relative al passaggio dei pagamenti automatici per completare l’acquisto del mezzo. Dalla Ford hanno incominciato a chiamarmi ma io non rispondevo; poi una volta ho risposto e loro hanno iniziato a parlarmi di nuove promozioni, di occasioni per nuove dilazioni. Ho pensato che mi stessero proponendo una vendita e ho detto loro che non ero interessato. Quelli invece volevano solamente recuperare i loro soldi… Credo di essere in debito di ancora 800 o 900 dollari…”.
La vicenda insomma ha raggiunto il finale previsto, anche perché è chiaramente impossibile che un tennista tra i primi venti del mondo non possa onorare un debito a due zeri. Il problema, secondo noi, è un altro: il circuito sta diventando totalizzante, sta chiedendo tutto ai suoi migliori esemplari (termine che fa molto sfilata canina, un paragone allarmante). Par di sentir echeggiare le parole di Ivan Lendl, che ebbe a paragonare l’ingresso nell’associazione giocatori al rientro in un paese comunista. Voi credete che in un sistema meno asfissiante Tommy avrebbe dimenticato di onorare i propri doveri di pagatore?
Noi crediamo di no. E nel crederlo siamo convinti che, per resistere in una tale realtà, al ragazzo del New Jersey farebbe molto comodo inserire nel proprio organigramma una figura in più, che ritroverebbe la propria passata centralità. Sì, perché in effetti non stiamo parlando di una novità, quanto di una riscoperta, di un profilo generico in controtendenza di fronte alla pletora di pedine iperspecializzate, mental coach e fisio-masso-kinesiterapisti, che affollano il seguito del tennista di grido. Tommy Paul, per evitare un’altra disavventura rateal-finanziaria avrebbe bisogno di un galoppino. Uno che, appunto, galoppa per lui, corre a sbrigare la routine burocratica e gli consente di dedicarsi al tennis anima e corpo, evitandogli per esempio un aggravio alla voce interessi di mora. Non poco, diremmo noi.
Valgano come ulteriore e speriamo definitivo motivo di convincimento per i più scettici le calde parole di riconoscenza pronunciate da un giovane Mats Wilander, che nel suo girovagare per tornei veniva assistito da John Anders Sjögren, uno che aveva guidato la Svezia in Coppa Davis dal 1979 al 1981 e di nuovo nel 1989. Disse di lui Mats: “oh, Mr. Sjögren è davvero quello che ci vuole per noi(all’epoca Wilander si spostava spesso con il collega del nord Jokke Nyström, probabilmente proprio per ammortizzare gli emolumenti di “papà Jonte”). Non mi serve qualcuno che mi dica cosa devo fare in campo, so benissimo da me come giocare. Mr. Sjögren si occupa dei biglietti aerei e di prenotare gli alberghi; è molto efficiente”.
Nel caso specifico di Wilander si possono forse ravvisare gli estremi del demansionamento, ma tra svedesi questi sono sempre stati problemi da poco, quisquilie tra gentiluomini. Pensaci Tom…