Non è banalità né mancanza di fantasia ma, possibilità di titolo regalate dal cognome a parte, la prima giornata di secondi turni del Roland Garros porta la firma di Matteo Gigante. E non solo per l’Italia, che sembra ben lontana dal volersi accontentare nel tennis, con la vittoria del romano, che partiva in sordina, ad aggiungersi a quelle dei grandi. E contro un grande, o quantomeno uno che prometteva di essere tale. La cui storia, triste, è quella che fa da cornice.
Stefanos Tsitsipas e il tempo perduto
Sarebbe potuto essere qualcosa di grande, ancor più di un best ranking come n.3 e due finali Slam, Stefanos Tsitsipas. La vita, sia come infortuni che come disagi mentali, non è sempre stata clemente con lui. Che dal canto suo non sempre ha fatto il massimo per porsi nelle migliori condizioni, con un rovescio che dopo 8 anni di carriera ad alti livelli continua ad essere un facile obiettivo. Devastato da Gigante in un secondo turno in cui la gioia per l’impresa si è mischiata alla malinconia nel vedere un giocatore di tale livello essere l’ombra di sé stesso. Il Mathieu, nello Slam che più gli ha dato, dove più da vicino ha accarezzato il sogno massimo, è stato il teatro della resa.
Una resa che ha tanto a che vedere con i meriti dell’avversario, ma che getta ulteriore luce sul fatto che il greco sia lontano anni luce dai giorni di gloria. Ma non per questo sembra porsi limiti, o più probabilmente è incapace di accettare la realtà dei fatti, come emerge dalle audaci dichiarazioni della conferenza stampa: “Voglio ancora essere il miglior giocatore del mondo e voglio ancora fare grandi cose. La mia attenzione e il mio focus sono sempre su come migliorare ogni aspetto del mio gioco. Sono una persona ottimista”. A Parigi il sole tramonta sempre tardi, l’impressione è che, proclami e sogni a parte, quello di Stefanos sia tramontato troppo presto. Dopo il Roland Garros, per la prima volta dal 2018, uscirà dai primi 20 giocatori del mondo. Sì, stiamo invecchiando.
Casper Ruud ha ragione
Quattro semplici parole, per raccogliere un altro dei temi caldi della giornata. La sconfitta del finalista 2022-23 Casper Ruud, clamorosa, contro Nuno Borges. Onestissimo professionista, capace di qualche picco (e potrà sempre vantarsi di essere l’ultimo ad aver battuto Nadal in una finale), che ha approfittato dei problemi fisici di Ruud. Che per sua stessa ammissione non si è ritirato solo perché era a due game dalla sconfitta. Un problema al ginocchio che si porta dietro da tutta la stagione su terra ne ha compromesso le prestazioni e la capacità di giocare il suo tennis. E allora perché non si è fermato prima? Perché non ha provato uno stop per recuperare? Il regolamento obbliga a giocare certi tornei, e spesso anche quando si sta male per non incorrere in sanzioni, sentendo il dovere incombere, forza la mano.
E si perde subito nel torneo prediletto, uscendo dalla top 10. E Ruud, dando pane per approfondire la questione nei prossimi giorni, non le ha mandate a dire: “Quando ti fermi gli altri giocano, guadagnando punti, e tu no. Inoltre, c’è un certo sistema di bonus che si riduce se non ci si presenta agli eventi obbligatori. È un sistema discutibile, perché da un lato non vuoi presentarti infortunato e dall’altro potresti cedere il posto a un altro. In questo modo si costringono i giocatori a presentarsi infortunati, malati o altro, e questo non mi sembra molto corretto”. No, infatti non lo è, e le cose stanno cambiando. Ancora una volta il norvegese, che ha anche ribadito più volte i complimenti a Borges, ha dimostrato intelligenza e maturità su questioni extra campo. Classe nordica e assist per approfondire e discutere la questione. Chapeau.
Quentin Halys: non è mai troppo tardi
In una sola edizione del Roland Garros Quentin Halys ha vinto più partite di quante ne avesse portate a casa nell’intera carriera nello Slam di casa. A nove anni dalla prima, contro Pablo Cuevas, ha sfruttato il ritiro di Machac per poi battere Kecmanovic in quattro set durissimi. Sul Campo 14, che è quello dei gladiatori, dove più il pubblico sente la partita e spinge i propri giocatori tra quelli laterali. Halys, servizio al fulmicotone e gran dritto, ha sfruttato a pieno tifo e occasione, contro un avversario non coraggiosissimo. Iscrive il suo nome come primo francese a staccare il pass per il terzo turno, nell’entusiasmo generale.
Nonostante fosse in effetti il meno atteso, visto che i suoi treni sono tutti un po’ passati anni fa. Grande promessa junior, finalista Slam, campione a Les Petits As, la transizione nel circuito maggiore è stata più dura del previsto. Dopo anni di gran fatica, in cui è addirittura uscito dai 200, nell’estate si è ristabilizzato tra i 100, in posizioni medio-alte. Arrivava al Roland Garros da n.52, sul campo ha dato tutto ed è già sicuro di migliorare il suo best ranking di n.50. Il terzo turno con Rune, che gli aveva rimontato due set al terzo turno dello scorso Wimbledon, è una di quelle partite che caratterizzano uno Slam. Dove il cuore e il desiderio possono davvero fare la differenza. Da ex promessa diventata condizionale passato, Halys proverà a recitare il ruolo designato di attore protagonista almeno in casa sua. E dopo tanti tentativi vani…forse arriverà domani.
Bernarda Pera: a Parigi si matura
La citazione è chiaramente, e non così imprevedibile, riferita al cognome della giocatrice. Croata naturalizzata americana, che all’età di 16 anni, nel 2010, si trasferì in New Jersey. L’eredità europea si ritrova nella confidenza che ha con la terra rossa, dove ha vinto gli unici due titoli della carriera e conquistato il solo ottavo Slam presente in bacheca. Al Roland Garros di due anni fa, poco prima di toccare il best ranking al n.27, si arrese a Ons Jabeur. Ora punta a tornare a quelle altezze, e i primi due turni sono più di un occhiolino.
La pietra tombale sulla carriera di Garcia, poi la bella vittoria al tie-break del terzo su Vekic (prima su una top 20 in uno Slam dallo US Open 2023), portano ad Elina Svitolina. Un terzo turno non semplice, contro una giocatrice esperta e abituata a certi livelli. Ma il dritto mancino di Pera ha per ora funzionato benissimo, anche in maniera migliore delle più rosee aspettative. Spesso ci sono sorprese nei tornei femminili, che si rivelano dei fulmini a ciel sereno, e poi si perdono nella nebbia. L’impressione è che Pera, 30 anni e sempre costante senza eccessivi picchi, potrebbe regalare una storia da raccontare e trasformarsi in roccia, più che mare, in questo Roland Garros.