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La speranza è una scelta: la lezione di Tathiana Garbin in un libro commovente (e istruttivo)

"In una società dove bisogna quasi farsi vedere sempre super performanti e perfetti, chiedere aiuto pare quasi una forma di debolezza - racconta Tathiana Garbin -. Invece è un atto di coraggio"

Last updated: 21/06/2025 14:14
By Giovanni Pelazzo Published 20/06/2025
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6 Min Read
(da sx) L. Bronzetti, E. Cocciaretto, J. Paolini, T. Garbin, S. Errani, M. Trevisan – Billie Jean King Cup Finals 2024 Malaga (foto Florin Baltatoiu)


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MILANO – Nel pomeriggio di mercoledì 18 giugno, presso il Policlinico di Milano, Tathiana Garbin ha presentato insieme alla ‘Fondazione Libellule Insieme’ il suo libro “Il mio match per la vita, tra gioie e cicatrici”, scritto insieme alla giornalista della Gazzetta dello Sport Federica Cocchi. Già presentato in precedenza lo scorso maggio agli Internazionali d’Italia, Garbin ha scelto un altro luogo tutt’altro che banale per raccontare la scoperta della malattia e la successiva genesi del libro, nato dagli appunti del suo diario personale con l’idea di aiutare il prossimo. “Un racconto intimo e potente, che attraversa la fragilità, la lotta, la rinascita. E che parla a chiunque stia cercando il coraggio di non mollare, anche quando tutto sembra perduto” – si legge sulla copertina sul retro.

“Il mio match per la vita” è un racconto personale certo, incentrato su un tumore rarissimo (lo pseudomixoma peritonei, che ha un’incidenza di 1/2 casi su un milione), ma offre chiavi di lettura più profonde, che possono anche andare oltre la malattia e il dolore. È un libro in cui ci si può immedesimare persino se non si deve fare i conti con un brutto male, ma anche solo se si sta attraversando un momento difficile della propria vita, non per forza di carattere fisico, dove le nostre sorti non dipendono da noi. Garbin ci insegna che “Non esiste battaglia o partita che non valga la pena di essere combattuta“ e lo fa in modo semplice, quasi amichevole, con autorevolezza ma senza autorità. Con le doti rare di chi guida sapientemente una nazionale campione del mondo.

“In una società dove bisogna quasi farsi vedere sempre super performanti e perfetti, chiedere aiuto pare quasi una forma di debolezza. Invece è un atto di coraggio“ – ha raccontato Garbin nella sala conferenze del Policlinico di Milano. La capitana di BJK Cup ha affrontato la malattia proprio con quel coraggio che non le è mai mancato, prima in campo e poi in panchina. Da quando al Roland Garros 2004 sconfisse l’allora n. 1 al mondo Justine Henin (divenendo la prima italiana a battere una n. 1 WTA) fino a quando, 20 anni dopo, decise di far esordire Lucia Bronzetti – al battesimo assoluto con la maglia azzurra in BJK Cup – nella delicatissima semifinale mondiale contro la Polonia di Iga Swiatek (entrambi gli episodi sono raccontati nel libro in maniera decisamente più dettagliata).

Dalla scoperta della malattia alla sua dolorosa ma necessaria accettazione, passando per la difficoltà nell’esternare una condizione psicofisica complessa. Con i giusti tempi, ma senza troppi giri di parole. Qui un piccolo estratto del libro (capitolo 4, ‘La sconfitta’): “Devo ammetterlo, a volte il peso di quel segreto era troppo pesante da sostenere […]. In quella quotidianità così diversa dal solito, nella preparazione a un evento tanto importante, a un tratto cominciai a sentire che era finalmente arrivato il momento di vuotare il sacco […]. Basta steccati, basta frasi non dette: solo così, forse, la missione Billie Jean King Cup sarebbe stata più facile da portare a casa […]. Ragazze… – sussurrai con un nodo che mi stringeva la gola – ho un tumore […]. Le parole erano uscite, finalmente, che sollievo”.

Di passaggi toccanti ed estremamente realisti il libro è chiaramente costellato, ma su uno in particolare – che trascende il tennis e lo sport per abbracciare la vita – credo valga la pena soffermarsi (Capitolo 5 – ‘Lannuncio’). “C’era un altro pensiero che mi accompagnava costantemente: quello della scelta – scrive Tathiana, la donna Tathiana, non l’atleta o capitana Garbin -. Un argomento che assume ancora più importanza quando pensi possa arrivare la tua fine. Vorrei che ogni persona avesse la possibilità di decidere il proprio destino e, in più, potesse farlo nel proprio Paese […]. Vorrei che ogni mio connazionale fosse libero di decidere cosa fare della propria vita sino alla fine dei suoi giorni, senza alcuna costrizione esterna”. È proprio in momenti come questi che ci si accorge di quanto sia importante il concetto dell’hic et nunc, il qui e ora di un presente che può cancellare in un battito di ciglia ogni passato glorioso. Un presente che sa essere crudele, ma che se affrontato (e accettato) a cuore aperto può regalare un futuro ancora più luminoso.

In fondo è questo il messaggio che trasmette “Il mio match per la vita, tra gioie e cicatrici”, una testimonianza diretta e sincera, raccontata senza nascondere e senza nascondersi. Affrontare un tumore è come giocare una partita dove qualcun altro si è allenato per te, un concetto particolarmente complesso da spiegare a un atleta che ha basato tutta la sua vita agonistica sul principio di autodeterminazione, sull’essere il solo padrone del proprio destino. A volte però capita di non poter più avere il controllo di tutto, perché un tumore può manifestarsi anche se hai sempre condotto una vita esemplare. E quando è qualcun altro a dover giocare la tua partita della vita, l’unica soluzione che resta è quella di affidarsi alla speranza. Perché la speranza è sempre una scelta.


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