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Interviste

“Il tennis? Lo trovavo noioso”: Ben Shelton confessa i suoi inizi difficili

Non amava il tennis e giurava che non ci avrebbe mai giocato. Oggi, Ben Shelton fa parte dei migliori giocatori al mondo. Con un sorriso che sfoggia sui campi più prestigiosi del pianeta, il 22enne americano vuole rompere con l’idea di tennis tradizionale, educato e cortese

Last updated: 25/06/2025 10:37
By Redazione Published 24/06/2025
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15 Min Read
Ben Shelton - Monaco 2025 (foto X @atptour)


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Il tennis non era nei suoi piani

Preferiva il baseball per il suo aspetto collettivo e il football americano per la componente fisica. Quarterback mancino e talentuoso, adorava anche giocare linebacker, in difesa, per andare a caccia di avversari. “Il bello del football” dice, “è che puoi sfogare la rabbia facilmente: basta placcare forte!”. Perelman ha spesso chiuso gli occhi vedendo il suo pupillo che veniva abbattuto da un placcaggio violento. “Ma si rialzava subito e tornava a combattere. Era tosto”.

Sezioni
Il tennis non era nei suoi piani“Tennisticamente nulla di eccezionale” a 14-15 anniLa svolta: l’università della Florida

Mentre Bryan Shelton allenava la squadra femminile di tennis del Georgia Tech, ad Atlanta, il piccolo Ben andava in giro in bicicletta o in monopattino per l’università, senza prestare alcuna attenzione alle sessioni del padre. E se assisteva a qualche partita, era soprattutto per fare qualche lancio con le stelle locali del football. “Da bambino conosceva tutti i giocatori di football americano, aveva sempre un pallone in mano”. Un anno, Calvin Johnson, ex wide receiver di punta dei Yellow Jackets e giocatore NFL nei Detroit Lions, si presentò persino alla festa di compleanno di Ben per regalargli un pallone autografato. “Conosceva tutti i giocatori, aveva sempre un pallone in mano”, ricorda suo padre. “Quindi, il giorno in cui mi chiese se poteva allenarsi con me e sua sorella, rimasi davvero sorpreso”.

Ben Shelton aveva 11 anni, e la sua famiglia si era appena trasferita da Atlanta a Gainesville, in Florida, dove suo padre era stato nominato allenatore della squadra maschile dei Florida Gators. “Bryan aveva iniziato a portare Emma, la sorella di Ben, agli allenamenti”, racconta Perelman. “Un giorno, Benny chiese a suo padre: ‘Posso venire anch’io?’ Credo che fosse un po’ geloso!” Bryan Shelton accettò, imponendo però le stesse regole valide per Emma. “L’unico momento in cui potevamo allenarci insieme era la mattina presto, dalle 6 alle 8”, spiega. “Bisognava svegliarsi alle 5, mangiare qualcosa in fretta e correre sul campo. Avevo detto a Ben che doveva impostare la sveglia. Se non si svegliava, partivamo senza di lui”. Immaginate cosa significhi per un ragazzino delle medie, Ben: Se non sentivo la sveglia, mi faceva correre fino al campo da gioco oppure non mi permetteva di allenarmi. E se voleva tornare il giorno dopo“, aggiunge suo padre, “doveva pagarmi una sorta di multa, 5 o 10 dollari”. Quante multe ha pagato? “È successo due o tre volte, poi ha capito. Non voleva che accadesse di nuovo… perché ama i soldi!”.

“Tennisticamente nulla di eccezionale” a 14-15 anni

Dieci anni dopo, Ben Shelton qualche sveglia la perde ancora, ma in appena due stagioni complete nel circuito ha già accumulato oltre 5 milioni di euro in premi. Lo scorso anno ha raggiunto il 13° posto al mondo, e i suoi risultati più importanti – un titolo nell’ATP 500 di Tokyo e una semifinale agli US Open – risalgono al 2023. Anche se il 2024 non ha del tutto rispettato le sue aspettative, non se ne preoccupa troppo. [N.d.T. Ben Shelton ha raggiunto quest’anno la semifinale agli AO, perdendo da Jannik Sinner].

Anzi, questa esperienza alimenta il suo fuoco sacro. “Ho sempre amato avere qualcuno più forte di me da inseguire e cercare di raggiungere. Sapevo che se lavoravo più duramente di quelli davanti a me, alla fine avrei potuto superarli”. Eppure, durante l’adolescenza, era più gregario che leader del gruppo. “La verità è che quando Ben aveva 14 o 15 anni, non aveva nulla di eccezionale“, afferma Perelman. Anche Ben non ci gira attorno: “A 15 o 16 anni non ero affatto bravo!”. Descritto come «un elefante in una cristalleria» da suo padre per i movimenti goffi, giocò pochissimo nei tornei juniores, partecipando solo a quattro competizioni tra il 2019 e il 2020, tutte negli Stati Uniti, senza alcun risultato significativo. All’epoca, ricorda Perelman, chiese a suo padre: “Papà, quando giocherò tornei internazionali?” Suo padre gli rispose: “Non sei nemmeno il miglior giocatore della Florida, perché vuoi giocare all’estero?”.

Ben Shelton non metterà piede fuori dagli Stati Uniti fino a dicembre 2022, a 20 anni. Al liceo Buchholz di Gainesville, dove giocò per due anni “nessuno pensava che sarebbe diventato un professionista”, assicura Spencer Dorosheff, uno dei suoi compagni di squadra nei Bobcats. “Non era il prodigio di cui tutti parlavano come di una futura stella. Molti ragazzi negli Stati Uniti erano più bravi di lui. Il suo talento è esploso tardi”.

La svolta: l’università della Florida

Questa svolta arrivò all’Università della Florida, dove Shelton si unì ai Gators a 18 anni, allenati proprio da suo padre. Bryan Shelton lo aveva avvertito: “Ti chiederò più degli altri. “Il rischio”, spiega Bryan, “era che gli altri giocatori pensassero che avrei fatto favoritismi. Non volevo assolutamente che questo influenzasse negativamente la squadra, quindi ero molto esigente con lui. Se faceva una cavolata, era punito più severamente degli altri”. Ad esempio, un ritardo a un allenamento significava un giro di sprint. “Quando Ben era in ritardo, doveva farne più di uno”, racconta il padre. “Spesso lo rimproverava pubblicamente davanti all’intero gruppo, il che causava non pochi attriti in famiglia. Alcuni giocatori mi dicevano: ‘Sei troppo duro con lui!’ Ed era esattamente quello che volevo sentirmi dire”, ammette Bryan, il cui metodo portò i Gators a vincere il titolo nazionale universitario nel 2021. All’epoca, Ben era il numero 5 della squadra in singolare. L’anno successivo, salì al numero 1 e vinse il titolo individuale.

Leader nato – “Era il leader della squadra, un esempio per tutti”, sottolinea Perelman. “Ogni giorno, i giocatori si sfidavano in gare di velocità o di resistenza. Ogni giorno, Ben voleva arrivare primo. E ogni giorno, ci riusciva”. Questa “etica del lavoro incredibile e una forma fisica “superiore”, secondo il suo ex mentore, hanno costruito il tennis e la rapidissima ascesa di Ben Shelton. Perelman, entusiasta, una volta disse a Bryan: “Allenare Benny è come salire su Secretariat: ti godi il viaggio, lui sa già cosa fare. Secretariat è il miglior cavallo da corsa della storia, spiega. Fisicamente, Ben è una bestia feroce. Se metti insieme i giocatori del top 30 e li sottoponi a prove atletiche, Benny finirà primo. Chi altro può lanciare un pallone da football a 60 metri?”.

Un servizio devastante – Il suo braccio sinistro, un vero e proprio cannone, è diventato un’arma di distruzione di massa. Il servizio è un colpo devastante: 220 km/h senza sforzo, spesso sopra i 230 quando spinge, e un record di 246 km/h registrato all’ultimo Wimbledon. “Il football e il baseball lo hanno aiutato a perfezionare il servizio”, spiega Perelman.

Uno stile magnetico, fuori e dentro al campo – In campo l’americano sorride e grida fin dal primo punto «Come on!», chiama in causa il pubblico e celebra rumorosamente i suoi successi. Queste dimostrazioni di passione, ereditate dal tennis universitario, non si sono mai attenuate nel circuito professionistico. Al contrario, sono diventate il suo marchio di fabbrica. “Penso che rendano il tennis più divertente”, ne è convinto Ben.Il gesto di riagganciare il telefono dopo una vittoria, un omaggio al suo amico Grant Holloway, ha lasciato il segno, suscitando sia divertimento che irritazione. Perfino Novak Djokovic, nella semifinale degli US Open 2023, ha imitato questa celebrazione per rispondere al suo giovane avversario, sottolineando le tensioni che Shelton può talvolta generare.

“L’abbiamo visto agli US Open: ha infiammato New York”, racconta Chris Eubanks. “Attira persone che non hanno necessariamente familiarità con i codici del tennis. D’altra parte, penso che i fan più tradizionalisti non apprezzino troppo. Si allontana dagli standard di questo sport, da un tennis educato e composto”.

Lui se ne discosta, senza vergogna né freni. “Nell’hockey, è permesso scontrarsi dopo un diverbio”, afferma. “Non dico che serva nel tennis, ma appena qualcuno fa qualcosa di diverso, piovono critiche”. Vorrebbe più trash talking, lo stile provocatorio tipico dello sport americano? “Perché no! Lo trovo divertente quando lo vedo in TV. Se qualcuno iniziasse a farlo con me, non avrei problemi a rispondere”.

È questo che rende Ben quello che è: non gli è mai importato di ciò che pensano gli altri, conferma Spencer Dorosheff. “Il suo lato da showman fa bene ai fan, ma soprattutto è ciò di cui ha bisogno per giocare il suo miglior tennis. Se gli chiedeste di affrontare un top player senza urlare né alzare il pugno, perderebbe di sicuro”. Gli poniamo quindi la domanda. “Certo potrei vincere!”, risponde Shelton. Poi scoppia a ridere.

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