Sarà il primo Wimbledon dopo il ritiro di Andy Murray. Anche se negli ultimi anni non era più in grado di contendersi il titolo, il giocatore scozzese continuava a essere inevitabilmente il beniamino di casa. Quel ruolo è stato metaforicamente raccolto da Jack Draper, che sbarca a Wimbledon da testa di serie numero 4. Martedì l’esordio contro Sebastian Baez, il primo incontro di un tabellone tosto per l’inglese, che potrebbe incrociare sul suo cammino Djokovic, Sinner e, eventualmente in finale, Alcaraz. Jack giura di pensare partita dopo partita, ma gli occhi saranno tutti puntati su di lui, che in questo 2025 ha cambiato passo, affermandosi tra l’élite del tennis. Dopo aver messo in luce qualche difficoltà nelle ultime settimane, a causa di una tonsillite che non gli ha permesso di essere al top al Queen’s, Draper sembra essersi ristabilito e adesso sogna in grande.
D: Ricordo che l’anno scorso avevi parlato di aver saltato l’anno precedente e di essere semplicemente grato di esserci. Pensando adesso, rispetto a dove eri l’anno scorso, quanto è diversa la sensazione di arrivare da testa di serie così alta e considerando tutto quello che hai raggiunto negli ultimi 12 mesi?
DRAPER: “Mi sento sicuramente un giocatore molto diverso. Personalmente sento di essere cresciuto molto rispetto all’anno scorso. Penso sia una testimonianza del lavoro che ho fatto, delle persone che ho intorno e che sono state con me negli alti e nei bassi della mia carriera finora. Credo di avere molta più fiducia in me stesso, sia fisicamente che mentalmente, anche come tennista. Mi sento molto diverso in tutti gli aspetti. Ovviamente sento ancora di poter migliorare tantissimo. Spero di essere ancora lontano da dove voglio arrivare come giocatore. Cerco sempre di migliorare. Ma sono felice di essere qui, un anno dopo, con tutti i progressi che ho fatto. Ne sono molto orgoglioso“
D: È il primo Wimbledon dopo Andy Murray. Mi chiedo come fronteggi la responsabilità di essere il numero 1 britannico a Wimbledon e di inaugurare l’era post-Murray. Magari tu non la vedi in questi termini, ma la gente la vedrà così. Pensi di avere la responsabilità di rilanciare il tennis britannico nel Regno Unito?
DRAPER: “Sì, assolutamente. Penso che, ovviamente, quando Andy si è ritirato, si è detto che io ero il prossimo in linea per quel ruolo. So che Wimbledon si sta avvicinando, ma non ci stavo davvero pensando, da allora sono migliorato tantissimo e mi sono messo in questa posizione. È un po’ la stessa cosa: continuerò a fare del mio meglio per migliorare, per mostrare il mio miglior tennis in campo e per cercare di presentarmi come il giocatore e la persona che voglio essere. Ovviamente Andy ha fatto un lavoro incredibile sotto questo aspetto, ha avuto un successo straordinario ed è diventato amatissimo dalla nazione. È sicuramente un’eredità difficile da raccogliere, ne sono consapevole. Ma allo stesso tempo ho fiducia in me stesso e spero di poter ispirare le persone, come ha fatto Andy, a modo mio”
D: All’inizio di quest’anno, a Melbourne, hai parlato di avere un coach per la respirazione che ti aiutava nei momenti di ansia. Stai ancora lavorando con quel coach? Come ti aiuta?
DRAPER: “Sì, è un po’ come avere un fisioterapista o un preparatore atletico. È stato importante per me nel tennis, dove i margini sono così ridotti e anche le piccole percentuali contano. Ho iniziato a lavorare con una signora che si chiama Ann Coxhead, che ha una lunga carriera nel campo della respirazione, con esperienza in diversi sport e progetti. Mi ha detto che pensava di potermi aiutare in campo. Il lavoro che ho fatto con lei è stato di un valore inestimabile. È diventato un vero punto di forza per il mio tennis. Penso di dover lavorare ancora sotto questo aspetto, ma sicuramente la mia condizione fisica e il mio benessere generale in campo sono migliorati. Non vedo l’ora di continuare a lavorare con lei. È stato senza dubbio un elemento estremamente positivo per il mio tennis”
D: Dal tuo punto di vista, quali sono le sfide mentali più grandi nel circuito? E cosa pensi di quello che fa il circuito per aiutare i giocatori ad affrontarle?
DRAPER: “Penso che l’ATP abbia sicuramente messo in atto dei sistemi per aiutare i giocatori dal punto di vista mentale. Credo che anche ogni federazione nazionale abbia, forse, delle persone che danno supporto. Penso che la sfida più grande per un tennista sia l’incessante continuità del circuito. Sono qui a parlare e da fuori la gente pensa che il tennis sia tutto Wimbledon, ma la verità è che non si ferma mai. Devi essere sempre al massimo, sia nel gioco che nella testa. Devi evitare gli infortuni e tutto questo comporta molto stress e pressione, credo. A volte vorresti semplicemente rallentare e prenderti una pausa, ma non puoi farlo in uno sport come il tennis. È molto difficile. Direi che questa è la cosa più dura del circuito. Dall’altra parte, ci sono benefici incredibili: giocare lo sport che ami, guadagnare bene, stare con persone con cui ti piace passare il tempo. Anche se ci sono tante sfide, sono molto grato di vivere la vita che vivo. Mi considero estremamente fortunato sotto tanti aspetti”
D: Negli ultimi anni hai parlato spesso del lavoro quotidiano che hai fatto per migliorare come giocatore. Sei arrivato ad apprezzare il processo di crescita, sia mentale che in generale. È corretto dirlo? Qual è stato il percorso che ti ha portato non solo a concentrarti sul risultato, ma anche a goderti e apprezzare davvero ciò che fai ogni giorno?
DRAPER: “Penso che sia stata la maturità, il prendere responsabilità per le mie azioni e per il modo in cui vedo questo tipo di lavoro. Quando ero più giovane, è stato difficile. I miei amici andavano all’università, facevano le loro cose e si divertivano. Suppongo che avessero un periodo più lungo della loro infanzia o del loro tempo per divertirsi. Invece, essere un tennista professionista significa essere catapultati in un mondo da adulto, lavorando duramente fin da molto giovani. Per alcune persone questo è più facile che per altre. Per me è stato un processo e sicuramente all’inizio ho faticato molto. Credo che il momento decisivo sia arrivato quando ero intorno alla 40esima posizione nel ranking mondiale e ho capito che dovevo sistemare la mia vita fuori dal tennis. Dovevo prendermi la responsabilità di avere altre cose nella mia vita, non solo il tennis, perché se voglio giocare a questo sport per molto tempo, devo riuscire a staccarmi dal mondo del tennis. Quindi sì, direi maturità, prendere responsabilità per la mia vita e non essere sempre guidato dagli altri. Ovviamente, da giovane atleta sei sempre guidato da qualcuno che ti indica cosa è meglio e cosa è giusto fare, ma arriva un momento in cui devi cominciare a goderti la vita che vuoi vivere e diventare la persona che vuoi essere. Insomma, semplicemente crescere”