A 14 anni deve fare una scelta definitiva tra tennis e calcio: fortunatamente sceglie la racchetta, seguito da coach Leonardo Caperchi. A livello giovanile il successo più importante è il titolo ai Campionati Europei Under 16 di Vienna, nel 2003. Nello stesso anno perde all’Avvenire nei quarti con Juan Martín del Potro, poi vincitore del torneo. Il 2004 segna il suo ingresso tra i pro: arriva il primo match vinto da professionista, al Future di Valdengo, e l’anno seguente a Murcia centra il primo titolo ITF, mentre nel luglio 2008 a Torino arriva il primo trofeo Challenger.
Abbiamo già menzionato i quarti al Roland Garros 2011, ma un anno spartiacque per la sua carriera è nell’estate 2013: trionfa a Stoccarda su terra – il primo a livello ATP – e successivamente ad Amburgo, sfiorando il tris a Umago. Il 5 settembre 2015 al terzo turno dello Us Open supera Nadal in cinque set, con lo spagnolo che per la prima volta in uno Slam perde una partita dov’è stato avanti due set a zero. Nel 2017 si spinge fino in semifinale sul cemento di Miami, prima di arrendersi ancora una volta all’amico Rafael Nadal.
Nel 2018 Fabio riesce a migliorarsi conquistando tre trofei – terzo azzurro a riuscirci nell’Era Open –, a San Paolo e Bastad sulla terra e poi a Los Cabos, il primo e unico sul cemento. Nell’aprile del 2019 arriva la consacrazione a casa sua, nel 1000 di Monte-Carlo, dove vince il suo trofeo più importante. Grazie a questo titolo, il 10 giugno del 2019, diventa il terzo italiano nell’Era Open a varcare la soglia della top ten mondiale, dopo Adriano Panatta (“best” n.4) e Corrado Barazzutti (“best” n.7), issandosi poi al n.9.
Gli ultimi anni poi sono un lento eclissarsi, i problemi fisici si susseguono e senza la continuità adeguata precipita nel ranking Atp. Poi l’ultimo colpo di teatro, ma senza lieto fine: Il 30 giugno 2025 gioca la sua ultima partita a Wimbledon perdendo, ma solo al quinto set, contro il bi-campione in carica Alcaraz, di 16 anni più giovane. Il tributo dello spagnolo e di tutto il centrale sono un attestato che vale più di mille titoli, la certezza di aver lasciato un segno nel cuore degli appassionati.
Io ho sempre visto il tennis di Fognini come un tennis muscolare, di fatica, nonostante le apparenze. Ha sempre prediletto il gioco da fondo campo, con le sue accelerazioni estemporanee da ogni angolo, ma anche con le carezza a rete, le smorzate, i cambi di ritmo. A me invece quello che ha sempre colpito di lui è la sua velocità di piedi, la sua capacità di coprire il campo in pochi istanti, la sua rapidità verticale che gli permetteva recuperi impensabili. Fognini si è potuto permettere quel tennis perché è sempre stato un grande atleta, un grande lavoratore, il talento è secondario, viene dopo, perché deve essere sorretto da fondamenta solide, e lui le possedeva.
Forse Fabio stava pensando a tutto questo oggi nella conferenza stampa allestita al Media Theatre dell’All England Club di Wimbledon. “Sono felice del modo in cui dico addio alla carriera da tennista professionista”, ha detto Fognini parlando del suo ritiro dopo la sconfitta contro Alcaraz. “Ho dato il massimo. È difficile ora trovare le parole. Ci sono tante emozioni nella mia mente.”
Sicuramente gli mancherà la competizione: “Ma non la routine. Sono entrato in punta di piedi ed esco a testa alta con una sconfitta-vittoria sul Centrale di Wimbledon che per il Fabio Fognini ragazzino ad Arma di Taggia è una cosa bellissima”.
Sono passati 25 anni da quando quel giovane ragazzino ha mosso i suoi primi passi presso nel circolo di Arma di Taggia. Oggi è un padre di famiglia, ha spostato Flavia Pennetta, ex n.6 WTA e campionessa allo US Open del 2015. La coppia ha avuto tre figli: Federico, 8 anni, Farah, 5, e Flaminia, 3. Il ragazzo è diventato uomo e poi campione; il campione è diventato padre, ma lui è rimasto fedele a sé stesso. Sempre a testa alta.