Il National Bank Open Presented by Rogers non ha fatto sconti al bravo ragazzo di Sydney, eliminato nella notte italiana da Ben Shelton. Il numero 8 del mondo, Alex De Minaur, ha iniziato alla grande la sua tournée sul cemento, sollevando il trofeo a Washington, dove ha collezionato il suo decimo titolo ATP della carriera. Giunto in una Toronto disertata dagli extraterrestri, l’australiano ha fiutato l’occasione di far voce grossa nel ‘1000’ canadese, ma una volta approdato ai quarti di finale, il tete a tete con Shelton ha confermato il trend negativo – e preoccupante – che dura ormai da più di un anno. Il classe ’99 aussie infatti non batte un Top 10 dall’edizione 2024 dell’Open di Francia, durante il quale un Daniil Medvedev tutt’altro che ispirato si arrese in quattro set a “The Demon”.
Dopo la suddetta vittoria ottenuta ai danni del russo, i successivi dodici scontri con i primi dieci della classe si sono rivelati deleteri, e tra questi culminano le schiaccianti sconfitte rimediate dal suo peggior incubo, Jannik Sinner, che non gli ha mai dato scampo sul rettangolo di gioco, mettendolo al tappeto per nove volte in altrettante sfide. Tralasciando le gare col numero uno del mondo – sempre più spietato e vicino alla perfezione – De Minaur ha dimostrato di essere un giocatore eccezionalmente consistente dal punto di vista fisico e mentale, e con la sua corsa felina e il mantra del “Non mollare mai un punto” – come ha dichiarato recentemente – ha sfiancato avversari di ogni tipo. Ma quando si è trattato di alzare l’asticella per combattere l’élite, l’australiano ha dimostrato poche volte di essere all’altezza.
I numeri parlano chiaro: 18 vittorie e 56 sconfitte contro i top 10 nel corso della carriera. Un bilancio negativissimo per il ventiseienne di Sidney, costretto anche ad un breve periodo di pausa forzata, a causa di un bornout mentale che l’ha colpito recentemente. La continua pressione, i ritmi infernali della stagione tennistica e quella voglia spasmodica di migliorare per spezzare la maledizione che lo tormenta da più di un anno, hanno complicato i piani di Alex, tornato sgombero dai cattivi pensieri a Church Road, dove ha giocato un match alla pari – per tre ore e diciotto minuti – col tennista più vincente della storia, Novak Djokovic. L’incontro col serbo è terminato con una sconfitta, ma l’australiano è andato ben oltre il risultato, raccogliendo i progressi e le note positive della sfida. Durante il “pit stop” nella capitale degli Stati Uniti d’America, De Minaur non ha incrociato alcun Top 10 lungo il suo cammino verso la vittoria finale, ma ha comunque neutralizzato colleghi più che ostici del calibro di Moutet, Nakashima, Lehecka e Davidovich Fokina, il quale sta attraversando il periodo più proficuo della sua carriera in termini di risultati, raggiungendo – non a caso – il suo best ranking (19).
E ci risiamo. “The Demon”, quando non si tratta di Top 10, è spesso e volentieri padrone del campo, anche perché lui fa parte di quella lista prioritaria dei più forti del pianeta, soltanto che quando li ha di fronte, difficilmente riesce a batterli. Sembra un paradosso. Cosa manca ad un atleta versatile e brillante fisicamente come De Minaur, per sconfiggere i nove colleghi della lista d’oro? Il “Killer Instinct“ potrebbe essere una componente. E dato che, dal punto di vista dell’approccio al match, della tenuta mentale, potremmo considerare De Minaur esemplare. Circa lo stile di gioco – parecchio improntato sulla fase difensiva – l’australiano pecca sovente in quella offensiva, dove il gap con i Top 10 aumenta, specialmente con i Next-Gen, che hanno a disposizione nel loro armamentario delle soluzioni definitive ed estremamente potenti.
L’ex numero 6 del mondo è costante, racimola punti in ogni tappa, gustandosi anche dei trofei importanti lungo l’arco della stagione, ma mancano all’appello i picchi nei Masters e negli Slam, dove i più grandi lasciano il segno.