Alla vigilia dello US Open, Novak Djokovic ha confermato in modo netto la direzione della sua carriera: niente più calendario fitto di tornei, solo i quattro Slam.
Il campione serbo, 24 volte vincitore di Major, si presenta a New York senza partite ufficiali disputate dopo Wimbledon. Una scelta consapevole, come ha spiegato ai giornalisti nel tradizionale Media Day: «Ho deciso di non giocare i Masters estivi perché volevo stare con la mia famiglia. Alla mia età sento di essermi guadagnato il diritto di scegliere dove competere».
Una programmazione ridotta all’essenziale
Djokovic non si nasconde: gli eventi più lunghi, come i Masters 1000 allungati a due settimane, non lo attraggono più. «È troppo per me. Non inseguo la classifica, non difendo punti. La priorità è trovare motivazione e gioia, e quella la trovo sempre negli Slam», ha spiegato.
La scelta comporta inevitabilmente dei sacrifici anche sul piano personale: la figlia Tara festeggerà il compleanno proprio durante lo US Open, il 2 settembre. «Non voglio più perdermi certe occasioni familiari. Però so che i quattro Slam sono i tornei dove devo esserci, quelli che mi spingono ancora a dare il massimo. Se sarò ancora qui a competere sarà per un motivo importante».
Il nodo dei Masters e la voce (intermittente) dei giocatori
Sul tema dell’allungamento dei Masters, Djokovic ha riconosciuto le criticità evidenziate dai colleghi, ma ha anche sottolineato i limiti della loro partecipazione nei momenti cruciali:
«Molti top player hanno criticato il cambiamento, e io li appoggio. Ma quando era tempo di negoziare e prendere decisioni, non c’è stata abbastanza partecipazione. Questa è una questione ricorrente che riguarda in particolare dei giocatori di alto livello. Esprimono i loro pensieri, ma poi quando è davvero necessario dedicare tempo ed energie alle conversazioni, alle riunioni… so che può essere molto difficile. Ci sono passato molte volte. Ma è necessario perché non stai facendo qualcosa solo per te stesso, ma anche per le generazioni future. Adesso dubito si torni indietro. Quei contratti trentennali sono molto solidi e portano molti introiti ai tornei».
La rivalità Sinner-Alcaraz e l’attesa per il terzo incomodo
Djokovic ha commentato anche la rivalità tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, già diventata il punto di riferimento del tennis contemporaneo: «Sul palcoscenico sportivo mondiale, sono proprio questi i tipi di incontri e rivalità che entusiasmano di più le persone» ha detto Nole. «Quando si tratta di sport individuali come il nostro o la boxe, la Formula 1, il golf, qualsiasi cosa sia, alla gente piace vedere le rivalità. Penso che la loro rivalità sia, senza dubbio, la migliore che abbiamo in questo momento. E sembra destinata a restare così per un po’ di tempo.
«E poi ci sono ovviamente altri giovani giocatori che sicuramente proveranno a sfidarli, e spero che qualcuno riesca a inserirsi nella lotta. Sai, Rune è stato lì, ma un po’ va su e giù, c’è Fonseca. Ci sono giocatori che possono occupare quel ruolo da “Djoker”, il terzo posto. In un certo senso mi immedesimo in quella figura, perché io stesso sono stato in quella posizione con Federer e Nadal, quindi mi piacerebbe vedere arrivare un terzo.»
La preparazione al debutto a New York e le voci sul nuovo coach
Pur senza tornei ufficiali nelle gambe, Djokovic assicura di essersi allenato con intensità nelle ultime settimane. Il suo debutto a Flushing Meadows sarà contro l’americano Learner Tien. Nel suo angolo non ci sarà Dusan Vemic, con cui aveva iniziato una collaborazione a partire dal torneo di Ginevra a maggio. Ai media serbi Nole ha ammesso che presto potrebbe esserci una new entry nel suo team: «Non posso ancora dire nulla, siamo nelle prime fasi delle discussioni, ma sarebbe molto importante per me. Penso che sappiate di chi si tratta». Il nome indicato dai giornalisti serbi è quello di Mónica Seles, che però recentemente ha raccontato di essere alle prese con una malattia autoimmune neurologica.
Intanto, per stemperare la tensione, Djokovic si è concesso un fuori programma: una serata allo Yankee Stadium, dove ha incontrato Aaron Judge e lanciato il primo pitch della partita.
A 38 anni, Djokovic sembra aver trovato il giusto equilibrio tra carriera e vita privata. Con meno tornei, ma con l’ossessione immutata per i grandi palcoscenici, arriva a New York con un solo obiettivo: aggiungere il 25° Slam alla sua leggendaria collezione.