Sinner non giocherà le Finals di Davis a Bologna. Ormai lo sanno tutti, anche quelli che non sanno cos’è la Coppa Davis (o il tennis).
Tutti hanno espresso la loro opinione, soprattutto quelli che non sanno cos’è la Coppa Davis (o il tennis).
Da quando è arrivata l’ufficializzazione della notizia lunedì scorso tutte le piattaforme del globo terracqueo si sono preoccupate di ospitare chiunque volesse esprimere il proprio parere sulla questione in modo tale che fosse accessibile a quante più persone possibile.
È stato davvero difficile sottrarsi a questo stillicidio nel corso della settimana appena trascorsa, perché ovunque si andasse nella web-o-sfera ci si scontrava immancabilmente con un editoriale, un fondo, un video, un commento, un post, una qualunque cosa che parlasse di Sinner, della Coppa Davis, della maglia azzurra e di tutti gli annessi e connessi.
Tutto questo mi ha ricordato la conferenza stampa dopo la semifinale di Wimbledon nella quale Sinner, interrogato su quale titolo avrebbe voluto vedere sui giornali l’indomani, rispose che non gli interessava perché tanto i giornali lui non li legge.
Ricordo che i giornalisti italiani presenti, soprattutto quelli della carta stampata e di più lungo corso, non la presero molto bene. Venne interpretata quasi come una mancanza di rispetto.
A me era sembrata una risposta piuttosto normale: non è insolito per i giocatori chiudersi nella loro bolla durante i tornei importanti, tagliare tutti i ponti informativi con l’esterno e relazionarsi solamente con il loro team, e siccome si parlava dei giornali del giorno dopo avevo dato per scontato che l’affermazione fosse circoscritta a quella giornata.
Tuttavia, cercando di tenere la testa sopra l’ondata di reazioni che ci ha investito questi giorni, una domanda mi è sgorgata dal cuore: “Ma se io fossi Sinner, li leggerei i giornali?”
Confrontandomi con gli altri della redazione, mi sono sentito rispondere: “Ma mai nella vita!” E pensandoci bene, sembra davvero difficile non essere d’accordo. Vediamo perché.
Il professionista sociopatico
Dopo tanti anni passati a seguire Sinner, un po’ abbiamo imparato a conoscerlo, e uno degli aspetti che più colpiscono del suo carattere sia la sua agghiacciante razionalità nelle situazioni professionali.
Sempre durante il torneo di Wimbledon, parlando di come Sinner sia riuscito a gestire la faccenda doping prima e la straziante sconfitta al Roland Garros dopo, il suo coach Simone Vagnozzi ha fatto una considerazione molto interessante: “Jannik è bravissimo a separare completamente la sua vita professionale da quella personale. Le gioie e i dispiaceri dell’una non si trascinano nell’altra. E ciò è molto utile, in tante situazioni.
Per esempio, quando ci sono problemi nella vita professionale, essere capaci di lasciarli nel recinto del campo senza che influenzino la vita personale è molto utile per evitare di cadere in depressione. Ma anche quando le cose vanno bene nella vita privata, può essere utile lasciare fuori dal campo il naturale entusiasmo che si può generare perché può influire sul modo di giocare e renderlo troppo insensibile al rischio”.
Anche quando nella primavera scorsa Sinner si è sbarazzato senza troppi complimenti del preparatore Panichi e del fisioterapista Badio per riassumere il controverso Ferrara nonostante il suo ruolo centrale nella “faccenda Clostebol”, l’ex n.1 del mondo Jim Courier lo aveva definito “uno spietato assassino a sangue freddo”, per sottolineare la sua capacità di evitare qualunque coinvolgimento emotivo nelle decisioni d’affari.
Costi vs benefici
Di conseguenza si può ipotizzare che la decisione di Sinner di interessarsi o meno quello che viene scritto su di lui venga presa esclusivamente sulla base di una valutazione sui costi e sui benefici.
Da questo punto di vista non è difficile pensare che per lui si configuri uno scenario in cui il gioco non vale la candela. Cosa può trarre Sinner dalla fruizione di contenuti che parlano di lui? Le notizie sulla sua carriera le conosce già, non ha certo bisogno di cercarle sui media. Rimangono le analisi e le opinioni sul suo gioco: ma sono davvero tante, e tutte preparate da individui la cui competenza e buona fede è difficilmente verificabile.
D’altra parte succede anche a tutti noi: i social media ormai ci espongono a una enorme quantità di giudizi su tutto quanto rendiamo pubblico di noi stessi. Non potendo dare ascolto a tutti (ci sono pur sempre solo 24 ore in una giornata), si decide di dar retta soltanto alle persone che riteniamo competenti, che abbiano a cuore il nostro benessere e di cui ci fidiamo. E probabilmente Sinner fa la stessa cosa affidandosi ai membri del suo team.
Realisticamente, che beneficio potrebbe trarre Sinner dai contenuti che vengono pubblicati su di lui? Possono aiutarlo a giocare meglio?
A livello tecnico, no di certo: Vagnozzi e Cahill rappresentano un duo di assoluto valore, e può spettare a loro il compito di valutare eventuale “letteratura tennistica” disponibile in giro, che probabilmente è limitata perché non ci sono tanti analisti con una competenza tale da poter fornire materiale di effettivo valore.
Rimangono le valutazioni di carattere più generale: il comportamento, il modo di porsi verso il pubblico, le scelte di programmazione, cose più intangibili e soggettive, il cosiddetto “look and feel”, per dirla in milanese moderno. E anche qui le opinioni sono tantissime, soggettive, ed è probabilmente meglio fidarsi dei propri collaboratori più stretti che possono fungere da filtro ed eventualmente riferire contenuti provenienti dall’esterno ritenuti meritevoli di considerazione.
In definitiva, quindi, dal punto di vista di Sinner vale davvero la pena dannarsi l’anima a scavare tra la montagna di fango di tutto quanto viene prodotto su di lui per magari trovare ogni tanto qualche perla di saggezza?
A noi pare che la risposta sia piuttosto ovvia. E per voi?
