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Il personaggio

Un Lindbergh... con racchetta

Paolo Lorenzi ha così tanto entusiasmo che da quando può disputare i Masters 1000 non se ne lascia scappare uno. Da Indian Wells a Caltanissetta e poi Miami, snobbando Barletta: era troppo vicino! Massimo Garlando

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Nella settimana che ha portato la primavera, la riforma della sanità di Obama e la collezione di Caporetto in serie della Juventus (che, al momento, non riesce neppure ad assestarsi sul Piave), una moltitudine di appassionati di
tennis ha trovato un nuovo idolo, un uomo solo è al comando, il suo accento è toscano, il suo nome è Paolo Lorenzi.
Cosa avrà mai fatto di così significativo il numero 90 della classifica ATP, si chiederanno i miei 24 lettori (me ne attribuisco, umilmente, uno in meno del Manzoni, a cui chiedo altresì scusa per avere storpiato, a più riprese e con poco senso del pudore, una sua celeberrima frase, visto che per me il tennista senese è, ormai, “Lorenzi o, come dicevan tutti, Renzi”).
Cosa avrà fatto, dicevamo, per mettere in secondo piano il cammino zoppicante dei big nel primo Masters 1000 della stagione e, soprattutto, la settimana perfetta del redivivo Ivan Ljubicic, capace di vincere il torneo più importante della carriera – Davis a parte - proprio in occasione del suo trentunesimo compleanno? Facile. Ha semplicemente, nell’indifferenza generale, spostato i limiti delle possibilità umane, affrontato la (ripetuta) sindrome da jet lag fischiettando con le mani in tasca e segnato una nuova tappa nella scienza della programmazione del calendario tennistico, roba che neanche Chuck Norris con il vento a favore.
Vediamo, nel dettaglio, cosa ha combinato il nostro eroe negli ultimi quindici giorni; intanto, e scusate se è poco, ha partecipato al suo primo Master 1000 in carriera, nel deserto di Indian Wells, e se qualcuno gli avesse preannunciato una cosa del genere un anno fa di questi tempi, credo che avrebbe replicato con una fragorosa risata.
Il sorteggio gli ha messo di fronte l’americano Russell, che per gli appassionati più colti e dotati di buona memoria è quello che ottant’anni fa ha avuto match point con Kuerten al Roland Garros; avversario, comunque, ostico ma non agnostico (cit.), che però lo ha comodamente regolato in due set, per poi levarsi lo sfizio di far fuori anche il russo Andreev (i tabelloni di Lorenzi hanno una caratteristica: non pesca mai il fenomeno, il rivale solitamente viene considerato favorito ma in qualche modo sembra giocabile, salvo imbroccare regolarmente la settimana giusta e lasciare al nostro le briciole).
E fin qui niente di strano, dirà il lettore numero diciassette, il più saccente e pedante, sai che novità? Le ha perse tutte, quest’anno (e, in carriera, nei tornei maggiori ne ha vinta una su undici), al punto che – con cinismo maramaldesco, che non mi trova d’accordo – si parla ormai di “Lorenzi=bye”, legge preziosa per scommettitori e fantatennisti.
Ma andiamo avanti. Incassata l’ennesima sconfitta (e l’assegno), Paolino non è riuscito a riciclarsi a Sunrise, ricco challenger che costituisce la classica boa di salvataggio per coloro che vengono prematuramente trombati ad Indian Wells, ma non si è perso d’animo e, raccolti armi e bagagli, ha trasvolato l’Atlantico e si è diretto a Caltanissetta, per disputare il challenger di apertura della stagione italiana sulla terra rossa.
Qui ha (finalmente) vinto la sua prima partita del 2010 in un tabellone principale; anzi, ne ha vinte due, arrendendosi nei quarti al futuro finalista Matteo Trevisan (sarà lui il sol dell’avvenire tanto atteso? Boh, mi concedo il beneficio del dubbio; intanto prendo atto, con piacere, del suo primo segnale di vita tra i professionisti).
A questo punto, chiunque si sarebbe fermato. C’è Barletta, ci sono i suoi amati challenger che ne hanno permesso la resistibile ascesa nella seconda metà del 2009. C’è da guadagnarsi una wild card per il tabellone principale di Roma, c’è da cominciare a mettere un po’ di fieno in cascina, visto che è in arrivo sul primo binario una mazzetta di cambiali (leggi: punti da difendere) simile a quella di Fantozzi a Capri. Non è però roba da Lorenzi, questa, infatti eccolo puntuale in tabellone a Miami, il “quinto Slam”, ancora dall’altra parte dell’oceano a 5 giorni dall’ultima partita disputata in Europa.
Che abbia perso ancora una volta – con Chela, prossimo pensionato, sul quale gli allibratori hanno già messo gli occhi, per sicurezza – non ha importanza, non è il risultato l’elemento essenziale di questa storia, non è mica da questi particolari che si giudica un temerario.
Certo, prosaicamente, il ricco assegno che spetta a chi perde al primo turno di Miami può senz’altro rappresentare un discreto incentivo, così come gli zero punti che vengono inflitti tra i best 18 di chi si ritira da un Master 1000 possono avere aiutato a decidere, ma a me piace pensare che Paolino Lorenzi, il Lindbergh con la racchetta, nello scegliere questa curiosa programmazione abbia immaginato, un giorno, di raccontare ai nipotini, davanti al caminetto, di quella volta in cui fece avanti e indietro di qua e di là dall’Atlantico, per partecipare allo stesso torneo di Federer e Nadal.

Massimo Garlando