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21/08/2010 08:46 CEST - Storie di tennis

Cilic, problemi al decollo

Dopo un inizio di stagione folgorante, il semifinalista dell’Australian Open, secondo più giovane giocatore fra i top-100, sembra entrato in un tunnel: cattiva forma e scarsi risultati. Una rottura prolungata che non è certo il miglior preludio allo US Open. Mauro Cappiello

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«Sono pronto per un’altra partita di cinque set…». Così scherzava Marin Cilic al microfono di Jim Courier appena dopo aver concluso la maratona contro Andy Roddick all’Australian Open dello scorso gennaio. La terza in pochi giorni, dopo quelle con Tomic e Del Potro, che l’aveva catapultato alla prima semifinale Slam della carriera e l’aveva fatto diventare il primo croato a raggiungere gli ultimi quattro in Australia. Sembrava indistruttibile, il giovane gigante di Medjugorie, a cui viene pronosticato un futuro da campione da quando, nel 2005, vinse il Roland Garros junior e concluse l’anno al secondo posto nelle classifiche giovanili, appena dietro Donald Young. Reduce dalla conferma del titolo d’inizio anno a Chennai e ben avviato in quella che molti ritenevano potesse essere la stagione della sua definitiva consacrazione, Cilic sembrava destinato a fare sfracelli nel 2010.

Così invece non è stato. Ce lo ricordano le due sconfitte, una dopo l’altra, al primo turno dei due Masters 1000 nord-americani. Ma le ultime débâcle in sé non sarebbero un campanello d’allarme: anche l’estate scorsa Cilic si eclissò misteriosamente (ricordate la battuta d’arresto al primo turno di Washington contro il numero 153 Devvarman?) per poi risorgere allo US Open. A preoccupare, piuttosto, è la mediocre striscia di 19 vittorie e 14 sconfitte nella quale il croato si è infilato dalla settimana successiva al vittorioso torneo di Zagabria. Un parziale non all’altezza della sua classifica che, dopo una fugace apparizione tra i primi 10 (“best ranking” numero 9 lo scorso febbraio), si attesta al numero 12.

Dopo una primavera terribile, lo abbiamo rivisto in semifinale a Washington rimediare una stesa da David Nalbandian. Se perdere con l’argentino tutto sommato ci può stare (guardate, a proposito, cosa diceva Marin delle sue bestie nere in “tempi non sospetti”), desta maggiore sorpresa il fatto che ben otto delle sue ultime 14 sconfitte siano arrivate per mano di un avversario non compreso tra i primi 30 giocatori del mondo. Un periodo di forma negativa paragonabile in qualche modo a quello che sta affliggendo Andy Roddick (almeno fino a prima del torneo di Cincinnati). Solo che l’americano negli ultimi tempi non è stato al meglio fisicamente e sembra aver già dietro di sé le stagioni migliori, mentre lui doveva essere il “breakthrough” di questo 2010. Oggi, invece, una sua vittoria allo US Open è pagata 30 a 1.

Di certo il sodalizio con Goran Ivanisevic, iniziato sotto i migliori auspici con la vittoria a Zagabria, sembra non aver funzionato al meglio. L’ex numero due del mondo avrebbe dovuto sostituire Bob Brett in alcuni tornei e dare una spinta a Cilic per affrontare l’erba inglese, ma il talentuoso classe ‘88 ha rimediato una brutta uscita al primo turno a Wimbledon, battuto da Florian Mayer: un salto indietro rispetto all’anno scorso, quando era stato a un passo dal superare il futuro semifinalista Tommy Haas al terzo turno, e anche rispetto agli ottavi del 2008.

«Abbiamo lavorato molto sul servizio – dice Marin del rapporto con il suo idolo di infanzia –. Il fatto che Goran parli croato aiuta, ma lui riesce anche a vedere cose che gli altri non percepiscono. Ha molta esperienza di incontri a livello professionistico. Sa cosa significhi essere un giocatore e può trasmettermi la sua esperienza. E naturalmente può essere molto diretto con me». E se, invece, il confronto con due personalità così diverse come Ivanisevic e Brett avesse nuociuto anziché giovare a Cilic? Se la diplomazia e l’understatement del coach australiano, con cui Cilic lavora dall’età di 15 anni, e la schiettezza del campione di Wimbledon 2001 avessero prodotto in un giocatore ancora giovanissimo un micidiale corto circuito?

Naturalmente queste sono solo supposizioni. Ma alcuni casi recenti, come quelli di Murray e Djokovic, dimostrano come aggiungere membri allo staff tecnico non sempre porti giovamenti sul piano degli standard di gioco. Per Cilic potrebbe trattarsi anche semplicemente di un calo di rendimento che nulla ha a che vedere con un’eventuale involuzione.

Ad esempio, a Toronto contro Troicki, si trascinava per il campo quasi come fosse influenzato, non al meglio delle sue possibilità e come se non avesse soluzioni contro un giocatore che aveva superato agevolmente un mese prima in Coppa Davis. C’erano dei problemi fisici oppure, magari, qualche carico di lavoro mal digerito in vista dei prossimi US Open?

Dal punto di vista della tenuta mentale, poi, il croato ha dato segnali contrastanti negli ultimi tempi: solido quando si è trattato, a inizio anno, di difendere i titoli conquistati la stagione passata (impresa non ancora riuscita, ad esempio, a un giocatore come Soderling), un fantasma quando invece c’era in ballo il passaggio del turno di Davis contro Djokovic nella sfida dalle tante motivazioni extra-tennistiche con la Serbia. Padrone del palcoscenico in Australia e davanti al pubblico amico di Zagabria, imbarazzante nelle sue uscite a livello di Masters 1000.

Ecco allora prendere piede le tesi dei suoi detrattori. Che non sono pochi, a dispetto dei risultati finora lusinghieri per uno che non ha neanche compiuto i 22 anni. I successi di inizio anno vengono sminuiti: Chennai e Zagabria altro non sono che piccoli 250, in cui Marin non ha mai battuto un top-20. Le maratone in Australia, in fondo, le ha giocate contro Tomic, ancora uno junior, Del Potro, con un polso a pezzi, e Roddick, dolorante a una spalla. E infine – affermazioni raccolte qua e là in giro per diversi forum tennistici internazionali – «Cilic non vale i primi 5 e neanche i primi 10», «non vincerà mai uno Slam» e «il suo gioco è poco vario e noioso».

Come se quest’ultimo fosse un difetto solo del croato, in un periodo in cui quasi tutti giocano più o meno allo stesso modo. Molti dimenticano che Mrnja (così lo chiamano parenti e amici) è arrivato abbastanza presto laddove tanti presunti campioni molto più sponsorizzati di lui ancora sognano di arrivare (uno a caso, Gulbis). Ed è ancora il più giovane tra i primi 100 dopo Dolgopolov, tra l’altro con ampi margini di miglioramento.

Il rovescio è il suo colpo più solido, mentre dal dritto e dal servizio vanno ancora eliminate scorie giovanili: il primo, molto migliorato nell’ultimo anno e mezzo, ha ancora qualche difetto d’impostazione, anche se è il colpo che fa più male e potenzialmente un’arma importante; il secondo è ancora ben lontano dalla precisione, dalla forza e dalla continuità che dovrebbe avere provenendo da un metro e 98 di altezza. Anche a rete l’allievo di Brett può migliorare, ma, diversamente da altri, è uno che non disdegna frequentarla e, a livello di posizionamento e di esecuzione, è già più avanti del suo coetaneo Del Potro.

Come l’argentino, al di là di quello che possono dire le malelingue, Cilic rimane uno dei giocatori più interessanti in ottica futura. Per fare l’ulteriore salto di qualità, però, il croato dovrà capire i motivi di queste pause così lunghe nel corso della stagione e riuscire a gettarsele alle spalle. I suoi picchi di rendimento li abbiamo già ammirati, fermo restando che Marin può ancora crescere. Ora aspettiamo di vederlo acquisire maggiore continuità.

Mauro Cappiello

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