15/08/2013 18:54 CEST - Personaggi

Bartoli lascia il tennis: "Il mio fisico non regge"

"Preferisco essere fedele a me stessa che fingere"

TENNIS - Sconfitta da Simona Halep a Cincinnati, Marion Bartoli si presenta in lacrime in conferenza stampa. E annuncia: "Il mio fisico non regge, lascio il tennis. A Wimbledon ho realizzato il mio sogno. Ora ho il diritto di fare altro". Davide Uccella

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Marion Bartoli incredula: è campionessa di Wimbledon (foto di Art Seitz)
Marion Bartoli incredula: è campionessa di Wimbledon (foto di Art Seitz)

Un volto segnato, scavato, è quello che si presenta in sala stampa. Un volto sopraffatto dalle lacrime, con parole quasi bisbigliate: un misto tra chi si sente in totale imbarazzo, disagio, e chi invece vive una sorta di liberazione. E' a tutti gli effetti il ritratto di una persona distrutta.

Il problema però è che non si sta parlando di una giocatrice in crisi da anni, afflitta da problemi cronici, o da risultati che da tempo sono inconsistenti, frustranti. Poco fa nella sala stampa di Cincinnati non stava parlando una giocatrice che da tempo non sentiva più di esserlo, ma forse una delle giocatrici del momento. Stiamo parlando di Marion Bartoli: campionessa di Wimbledon il mese scorso, oggi la francese, sconfitta 6-1 al terzo da Simona Halep nel Premier di Cincinnati, molla tutto, nello shock generale.

Proprio lei, che dopo un 2012 da dimenticare, pieno di cambi e sostituzioni (dalla Novotna alla Mauresmo), divorzi e riconciliazioni con il padre padrone Walter, aveva reagito, e con lo stesso spirito di quei grunts che nel 2007 le valsero il primo, clamoroso, atto finale ai Championships (persi poi contro Venus Williams). Proprio lei, che non si era rassegnata a guardare avanti, cercare nuovi stimoli, nuovi punti di riferimento, una volta uscita dalla gabbia dorata di una padre quasi carceriere, ha poi tolto il velo su una tragedia umana, sportiva, personale. Ma non solo.

La Bartoli parla di un corpo che le fa male dappertutto, di un “un corpo che ha iniziato a cadere a pezzi. "Ho cercato di sopportare il dolore, anche durante l’ultimo Wimbledon, e lì ho consumato quel poco che mi rimaneva. Ho giocato per tanto, tanto tempo… oggi è il mio momento".

In passato ce ne sono stati di episodi: piede sinistro, poi l'anca destra, e ancora la coscia destra e il tendine d'achille. Oggi, ma forse da qualche settimana a questa parte, un risveglio generale: “Ho dolore ovunque dopo che ho giocato 45 minuti, un’ora. Ho chiesto troppo a me stessa, non posso riuscirci oltre: devo proteggermi, e proteggere il mio corpo".

E chiude sconsolata: "Tutti si ricorderanno di quello che ho fatto a Wimbledon, nessuno di oggi pomeriggio. E’ stata una decisione ma l'ho fatta pensandoci. Ho realizzato il mio sogno è vero, ma l'ho fatto andando al limite, usando tutte le mie forze".

La domanda allora sorge spontanea: bisogna dannarsi tanto, al punto da dilaniarsi? Al punto da "ritirarsi per vincere"? Fa male, anzi fa paura un discorso simile. Specie se riguarda una giocatrice che soltanto pochi giorni fa ha raggiunto il suo best ranking (n.7), specie se si tratta della prima tennista della storia capace di vincere un torneo del Grande Slam senza aver dovuto affrontare una giocatrice qualificata tra le prime 15: in nessuno dei tornei del 2013 a cui aveva partecipato fino a quel momento era mai riuscita a superare il secondo turno.

L'invito a questo punto è disperato: fare qualcosa per limitare la sempre maggiore importanza che oggi ricopre il fattore potenza. Gli argomenti piu' discussi riguardano spesso le superfici, le palle utilizzate e l' importanza del servizio o dei colpi da fondo nell' economia del gioco. E' indubbio però che il tennis giocato, qualche che sia questo terreno, veloce o meno, con palla che rimbalza o noi, corre sempre di più il rischio di diventare uno "sport unidimensionale", in cui c'e' sempre meno spazio per la tecnica. E se certamente non si possono bandire i tennisti piu' dotati fisicamente (che magari ci fossero, sarebbe una manna), si dovrebbe pero' cercare di impedire che il tennis diventi "atletica con la racchetta". La tendenza sembra quella, qualche effetto collaterale non manca. Ed è devastante.

 

 

 

Davide Uccella

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