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02/11/2010 18:09 CEST - FINALE FED CUP

La corsa all'oro delle azzurre

TENNIS – Nella cuore della California, luogo della famosa caccia alle pepite del diciannovesimo secolo, l’Italia di Barazzutti cerca il terzo titolo in Fed Cup. Schiavone e company sembrano nettamente superiori al quartetto di Mary Joe Fernandez, guidato dalla pittoresca Bethanie Mattek-Sands e dalla ancora acerba Melanie Oudin. L’unico vero rischio potrebbe essere un calo di concentrazione. Riccardo Bisti

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Nel 1848 L’Italia fu teatro della prima, sanguinosa, Guerra D’Indipendenza. Iniziò in quegli anni un faticoso processo che portò al 1861, quando il nostro paese si riunì finalmente sotto il tricolore.In quei giorni, migliaia di chilometri più a ovest, un certo Johan Suter, impreditore svizzero, si trovava in California in cerca di fortuna. La trovò, letteramente. Dentro una segheria trovò una miniera d’oro che lo consegnò alla storia e diede il via alla famosa “Corsa all’Oro”, periodo in cui la California fu invasa da migliaia di persone in cerca di ricchezza. In tanti rimasero delusi, ma risalgono ad allora i prodromi della California di oggi: un luogo da sogno, idealizzato e pieno di miti (Hollywood, il surf, il lusso di Beverly Hills, le spiagge dorate…). E’ proprio in California, più esattamente a San Diego (un milione e mezzo di abitanti ad un tiro di schioppo dal confine con il Messico), che l’Italia di Fed Cup andrà a caccia della terza Fed Cup della sua storia dopo quelle del 2006 (a Charleroi contro il Belgio) e del 2009 (a Reggio Calabria contro gli Stati Uniti). Un tabellone un po’ bizzarro e un pizzico di fortuna ha consentito alle ragazze della dolce Mary-Joe Fernandez di acchiappare la seconda finale consecutiva nonostante l’assenza delle sorelle Williams. Chissà, forse la USTA aveva scelto la California (si giocherà alla San Diego Sports Arena, quasi 9.000 posti a sedere) proprio per invogliare Venus e Serena a partecipare e scaricare le frustrazioni di una finale 2009 giocata con l’acerba Oudin e l’impresentabile Glatch. Dopo aver dato la propria disponibilità, le sorelle si sono arrese agli acciacchi e hanno deciso di lasciar perdere. E pazienza se l’eleggibilità olimpica per Londra 2012 non è ancora in tasca.

Mary Joe senza top 50
A fronteggiare l’Italia di Corrado Barazzutti ci saranno dunque le seconde linee. Qualche statistico un po’ crudele ha rimarcato che le quattro italiane sono tutte tra le top 45, mentre l’americana di miglior classifica (n. 58) sarà Bethanie Mattek-Sands, eccentrica 25enne di Phoenix famosa più per i vestiti improponibili (una voltà si presentò in completo leopardato, oggi gioca con i calzettoni da baseball) che per i risultati sul campo. Nel 2010, tuttavia, è stata l’eroina della rabberciata Fed Cup a stelle e strisce. Al primo turno ha sculacciato Alize Cornet nel primo singolare contro la Francia, ed è stata ancora più decisiva nella semifinale contro la Russia. Con le sue in svantaggio 2-1, ha superato la Makarova nel quarto singolare ed ha vinto il doppio decisivo in coppia con Liezel Huber. E’ un tipo curioso, che sfugge all’omologazione. Il team è completato da Melanie Oudin, che dopo aver fatto sognare gli americani allo Us Open 2009 (giunse incredibilmente nei quarti), quest’anno non si è confermata e giunge a San Diego un filo scarica. Chissà che proprio la Fed Cup non riesca a rivitalizzarla. Gli unici stralci di equilibrio a Reggio Calabria, in fondo, li regalò proprio lei, giocando un ottimo primo set contro la Schiavone. Ci sono poi la doppista Liezel Huber, nata sudafricana ma naturalizzata Yankee, e la giovanissima Coco Vandeweghe, 19 anni da compiere tra un mese, chiamata più per disperazione che per convinzione. Si è fatta notare nell’estate americana, raggiungendo i quarti proprio a San Diego per poi ripetersi un mese fa a Tokyo, sempre partendo dalle qualificazioni. Coco sarà di casa: è infatti nata a Rancho Santa Fe, sobborgo residenziale proprio di San Diego, riservato a 5.000 fortunati.

Ancora Schiavone e Pennetta?
Sembra difficile, molto difficile, che le americane possano mettere in difficoltà il granitico team azzurro, guidato da una Francesca Schiavone per nulla ridimensionata dal Masters di Doha, dove si è anche tolta la soddisfazione di vincere una partita. La milanese è arrivata a San Diego nella serata di Domenica, ed in Coppa è una garanzia assoluta. L’unico, minuscolo, dubbio in Casa Italia riguarda la seconda singolarista. Quasi certamente Corrado Barazzutti opterà per Flavia Pennetta, neo campionessa del Masters in doppio, ma gli ultimi risultati hanno fatto lievitare le azioni di Roberta Vinci. La tarantina è reduce dalla semifinale a Linz e dalla vittoria a Lussemburgo, entrambi tornei indoor, in condizioni simili a quelle di San Diego. La Pennetta, al contrario, sembra un tantino sfibrata da una stagione durissima, in cui ha vinto molto ma speso altrettanto. A Doha è sembrata in buone condizioni, ma le ultime uscite in singolare non sono state incoraggianti. La Vinci è certa di un posto nell’eventuale (ma remoto…) doppio decisivo, mentre difficilmente scenderà in campo Sara Errani, almeno a risultato non ancora acquisito.

Precedenti impietosi
Sulla carta è una delle finali più scontate degli ultimi anni. Mary Joe Fernandez prova a infondere coraggio alle sue ragazze, chiamando in causa il clima da Fed Cup, la superficie favorevole (anche se non sembra essere così veloce) e l’unità del suo team. Per sperare nel miracolo – perché di miracolo si tratterebbe – le americane devono sperare di estorcere due punti alla numero 2 italiana, chiunque essa sia, e vincere il doppio. Francesca Schiavone sembra onestamente fuori portata sia per la Mattek che per la Oudin, probabilissime singolariste Yankee. Anche i precedenti lasciano poche speranze alle americane: la Pennetta è avanti 4-1 con la Mattek (ci ha perso quattro anni fa a Los Angeles) e 1-0 con la Oudin, mentre la Schiavone non ha lasciato un set in due scontri diretti con “Miss Believe” (non ha mai affrontato la Mattek). Sono più lontani che mai i tempi in cui il team americano non perdeva neanche per sbaglio, come quando tra il 1976 e il 1983 infilò un parziale di 37 trionfi consecutivi. La California è chiamata anche “Golden State”, lo stato dell’oro, proprio in ricordo dei fatti del 19esimo secolo. Il problema, per Mattek e compagne, è che le pepite sembrano già in mano alle azzurre.

Riccardo Bisti

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker