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03/11/2010 10:59 CEST - Fed cup

Verso una finale già vinta

TENNIS - In una competizione da cui le migliori si tengono a debita distanza l'Italia ha la possibilità di ottenere un'altra vittoria di squadra. Colpa di chi non c'è, ovvio, ma la Fed Cup è la consolazione del tennis. Senza le sorelle Williams, le americane hanno raggiunto due finali consecutive grazie al disinteresse di altre nazionali.  Rino Tommasi

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Francesca Schiavone - foto di Monique Filippella
Francesca Schiavone - foto di Monique Filippella

La Federation Cup, la versione femminile della Coppa Davis nata nel 1963, quindi 63 anni dopo, soffre inevitabilmente gli stessi problemi di una competizione a squadre che stenta a trovare significato ed importanza in una disciplina assolutamente individuale. Queste considerazioni non tolgono nulla al valore di una prova che l’Italia vincerà per la terza volta nell’arco degli ultimi cinque anni.

Vincerà perché le sorelle Williams hanno preferito, come hanno quasi sempre nella loro carriera, i loro interessi personali a quelli di una Federazione per la quale non nutrono sentimenti di riconoscenza o di appartenenza. Serena e Venus hanno vinto 20 titoli del Grande Slam in singolare e 12 in doppio ma nella gara a squadre gli Stati Uniti hanno per l’ultima volta nel 2000 ed in una sola occasione, nel 1999, con il contributo delle due sorelle. Le Williams sono il prodotto della passione di un genitore, Richard Williams, che senza una preparazione specifica e senza alcun background tennistico ne ha anticipato i successi con una presunzione che sarebbe stata fastidiosa se non fosse stata coronata da una serie di successi che nessun’altra famiglia tennistica è mai riuscita a raccogliere.

Dopo il ritiro di Lindsay Davenport e di Jennifer Capriati il tennis americano non è riuscito a formare, a parte le Williams, nessun’altra campionessa tanto è vero che sia l’anno scorso che quest’anno gli Stati Uniti hanno raggiunto la finale per il disinteresse di molte altre giocatrici (le russe, le belghe ed ultimamente anche le serbe), lo prova il fatto che vi sono riuscite con una squadra che, assenti le Williams, ha schierato come numero uno, Bethanie Mattek, numero 58 nella classifica mondiale. In questa situazione è perfettamente normale e giusto che l’Italia, che ha sempre messo in campo le sue giocatrici migliori abbia trasformato la Fed Cup in una riserva dorata.

Le nostre ragazze si sono fatte perdonare, con una serie di grandi vittorie il solo passaggio a vuoto di una sconfitta subita a Napoli contro la Spagna. Anche quando non hanno vinto, come nella finale di Mosca del 2007, hanno sempre offerto prestazioni di valore assoluto. Tra l’altro l’impresa di Francesca Schiavone al Roland Garros e la sua qualificazione per il Masters compensano la flessione di rendimento di Flavia Pennetta, che peraltro si è inventata doppista per arricchire la stagione del nostro tennis.

A sostegno della legittimità delle nostre ambizioni è giusto ricordare come l’Italia abbia ben sette giocatrici tra le prime cento della classifica mondiale (più della Francia e della Germania, solo la Russia e la Repubblica Ceca ne hanno di più). L’unica difficoltà di ordine psicologico più che tecnico per la finale di San Diego è rappresentato dall’obbligo, per le nostre giocatrici, di doverla vincere ma le differenze, di valore assoluto e di esperienza, dovrebbero garantirci da ogni tipo di sorpresa.

La più forte delle nostre avversarie è l’ex sud-africana Liezel Huber, che è una tra le più forti doppiste del mondo ma va anche ricordato come il doppio, che si gioca come quinto ed ultimo incontro, raramente è stato decisivo in questa competizione. Inoltre anche dovesse esserlo noi abbiamo la possibilità di mettere in campo la Pennetta, reduce dalla vittoria di Doha, ottenuta in collaborazione con l’argentina Dulko, e Roberta Vinci che in Fed Cup ha vinto tutti gli incontro che ha disputato.

L’unico problema potrebbe essere rappresentato dalla possibile stanchezza della Schiavone, reduce da una stagione fisicamente e psicologicamente molto pesante. Per quanto riguarda la singolariste americane c’è anche da osservare che nella stagione non hanno compiuto grandi progressi. La Oudin, ad esempio, ha solo vent’anni ma ha perso 18 posti in classifica (da 49 a 67) negli ultimi 12 mesi. In definitiva è una finale da vincere e che premia la continuità e la solidità delle nostre ragazze. La speranza è che servano le loro imprese a stimolare un settore maschile che non riesce proprio ad adeguarsi.

Rino Tommasi

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker