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25/11/2010 14:56 CEST - L'INCHIESTA (Parte 3)

Antidoping:
come funziona?

TENNIS - ESCLUSIVO. Dopo aver esplorato le norme sportive, vediamo quelle penali: in Italia abbiamo due leggi: una del 1989 in materia di frode sportiva, e una più recente (la 376/2000) pensata esclusivamente per il doping. Difficilmente si va in carcere, ma le sanzioni sono piuttosto pesanti. Cesare Boccio

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LA NORMATIVA PENALE

L'evoluzione normativa in Italia in materia di lotta al doping è storicamente caratterizzata dalla approvazione di diversi provvedimenti legislativi purtroppo inidonei a delineare un impianto completo ed esaustivo; a prescindere da ciò, il dato giuridico di partenza in materia di lotta al doping è rappresentato dall'art. 32 della Costituzione, dove è sancito che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Prima dell'entrata in vigore della legge 376/2000 (Disciplina della tutela sanitaria delle attivita' sportive e della lotta contro il doping) in mancanza di specifici strumenti normativi, la giurisprudenza era solita applicare, l' art. 445 c.p. che punisce la frode in commercio qualificata dal pericolo per l'ìncolumità delle persone, e l'articolo 1 della legge 401 del 1989 che introduce il delitto di frode in competizione sportive. La norma infatti punisce con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da € 258 a € 1.032, “chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal CONI, dall'UNIRE, o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione sportiva ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo”. Purtroppo, nonostante il lodevole tentativo dei Giudici di merito, la soluzione prospettata si è rivelata insufficiente a causa della formulazione della norma che, introducendo il concetto generico di atti fraudolenti, non permetteva (e non permette tuttora, visto che la legge è in vigore) di assicurare uniformità di applicazione presso le Corti italiane.

LA LEGGE 376/2000

La drammatica espansione quantitativa e qualitativa del fenomeno doping ha reso non più procrastinabile l'intervento del legislatore che, finalmente, ha approvato la citata legge 376/2000. La ratio della disciplina, come viene espressamente indicato nell'art. 1 comma 1, è la tutela della salute degli atleti e solo in via indiretta la regolarità delle competizioni; infatti si afferma che l'attività sportiva non può svolgersi “con l'ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsivoglia natura che possano mettere in pericolo l'integrità psicofisica degli atleti”. Inoltre, il comma successivo definisce il doping “la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche, non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”. L'art. 9 introduce nel nostro ordinamento disposizioni penali in materia di doping:”Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da € 2.580 a € 51.645 chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all'articolo 2 comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze”. L'art. 9, rappresenta una norma penale “in bianco”, poiché rinvia per l'individuazione di uno degli elementi esenziali del reato (i farmaci, le sostanze farmacologicamente e biologicamente attive e le pratiche mediche vietate) alla competenza del Ministro della Sanità (art. 2 comma 1), che deve stabilire le classi dei farmaci vietati, d'intesa con il Ministro per i Beni e le attività culturali, su proposta della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive; una scelta legislativa opportuna (anche se problematica in termini di legittimità costituzionale, ma questo aspetto esula dal discorso che qui interessa) poiché permette di adeguare la disciplina alle rapide evoluzioni scientifiche del doping senza dover attendere l'approvazione di ulteriori leggi di modifica.
L’art 9 della legge 376/00 prevede quindi tre diverse ipotesi di reato:
1) il primo comma sanziona la condotta di chi assume, procura ad altri, somministra, o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacolagicamente attive idonee a modificare le condizioni psicofisiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze; ricomprendendo sia la condotta di un soggetto terzo che appunto procura o somministra il farmaco, sia quella dell'atleta che assume il medesimo (o la sostanza);
2) al secondo comma è prevista la medesima pena per chi adotta o si sottopone a pratiche mediche finalizzate allo steso risultato;
3) il settimo comma infine sanziona “chiunque commercia i farmaci e le sostanze dopanti attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico”.
Alcune precisazioni sono necessarie; innanzitutto, in merito ai primi due reati, la condotta del reo deve essere necessariamente orientata verso due precise finalità alternative, l’alterazione della prestazione o il mascheramento dei controlli antidoping. Questo significa che il Giudice nell’accertare l’elemento psicologico del reato dovrà riscontrare non solo la volontà di assumere la sostanza, ma anche l’ulteriore intenzione di alterare le prestazioni agonistiche. Pertanto si può ritenere che il legislatore abbia inteso delimitare il campo di applicazione della normativa penale in materia di doping escludendo quelle condotte di procacciamento, somministrazione, favoreggiamento o assunzione di sostanze dopanti che avvengano al di fuori di attività sportive svolte a livello agonistico. Inoltre, sempre in riferimento alle prime due ipotesi di reato, esse si differenziano soltanto per la natura dello strumento utilizzato per raggiungere l’obiettivo; mentre il primo comma punisce l’utilizzo di farmaci e sostanze biologicamente attive, la fattispecie del secondo comma si incentra sulle pratiche mediche. E’ quindi possibile il concorso tra i due reati, per cui l’atleta che pratichi il doping attraverso l’utilizzo di sostanze dopanti e al tempo stesso sottoponendosi a pratiche mediche illecite, dovrà rispondere di entrambi i reati.
Infine, lo stesso art. 9 prevede una causa di non punibilità per le ipotesi in cui l’assunzione e la somministrazione sia giustificata da una situazione patologica nella salute dell’atleta che renda indispensabile il ricorso a tali pratiche o trattamenti farmacologici.

RAPPORTI TRA L'ART.9 DELLA LEGGE 376/2000 (legge antidoping)
E L'ART. 1 DELLA LEGGE 401/1989 (frode sportiva)

L'entrata in vigore della nuova legge antidoping non può considerarsi integralmente sostitutiva della disciplina previgente, nella specie, del delitto di frode sportiva previsto (come ricordato sopra) dall'art. 1 della legge 401/1989. Ai fini della presente analisi, la fattispecie incriminatrice che assume rilievo è quella contemplata dalla seconda parte del primo comma dell'art. 1, che prevede la frode in competizioni sportive, perché, dopo l'entrata in vigore della legge del 2000 è emerso il problema della persistente riconducibilità o meno del fenomeno doping a tale fattispecie di reato, dato che la legge 401/1989 per lungo tempo ha, di fatto, rappresentato l'unica norma applicabile. In termini più chiari, la giurisprudenza dei Giudici di merito e della Corte di Cassazione esprime due teorie; secondo la prima, oggi si può applicare al doping la sola disciplina della legge 376/2000, invece la seconda, che ha trovato un riconoscimento più recente, al contrario ritiene applicabili entrambi i reati. In base a quest'ultimo indirizzo interpretativo, un atleta che assume una sostanza dopante potrebbe rispondere non solo del delitto di “doping” previsto dalla legge del 2000, bensì anche di quello di frode sportiva, trattandosi di norme che tutelano beni diversi (la legge 2000 la salute dell'atleta e la legge del 1989, la regolarità delle competizioni sportive); pertanto ne deriverebbe un notevole inasprimento del sistema sanzionatorio.

CONCLUSIONI SULLA NORMATIVA PENALE ITALIANA

La disamina appena illustrata dimostra come lo Stato intervenga in modo penetrante nella lotta al doping, prevedendo sanzioni dure per chi commette reati in questo ambito. Lo scopo della normativa è quello di svolgere una funzione deterrente rispetto all'assunzione e somministrazione di sostanze proibite, che non comporta solamente problemi di ordine fisico per il ragazzo/a atleta, ma può determinare un peso ulteriore costituito dalla sottoposizione ad un procedimento estenuante come quello penale, che purtroppo lascia un segno indelebile anche se dovesse concludersi con esito assolutorio (senza dimenticare le spese legali immancabilmente sostenute). Per una semplicissima infrazione, il condannato, pur potendo usufruire dei numerosi benefici di legge (sospensione condizionale della pena, misure alternative alla detenzione, sostituzione della pena ecc...) che di fatto rendono difficile l'espiazione negli istituti carcerari, rischia di subire conseguenze pesantissime ad esempio nel futuro lavorativo, dovendo sopportare il fardello di una condanna che può pregiudicare l'accesso a determinati uffici o professioni. Il consiglio, soprattutto per i più giovani, è di stare assolutamente alla larga dal doping; è decisamente meglio perdere un match in modo corretto e cristallino piuttosto che “barare” e rovinarsi la vita.

NORME PENALI STRANIERE

Un brevissimo accenno comparatistico. Nei principali paesi stranieri, una vera e propria legislazione antidoping esiste:
- in Francia (legge n.99-223 del 1999);
- negli USA esistono singole leggi statali che sanzionano condotte delittuose riconducibili al doping (es. possesso e uso di steroidi anabolizzanti e ormone della crescita, somministrazione di sostanze dopanti al di fuori di esigenze terapeutiche), ma non risulta vigente una legge federale dedicata appositamente al problema. Si pensi che recentemente Lance Armstrong è stato citato in giudizio davanti alla Corte Federale di Los Angeles per il presunto ricorso a pratiche dopanti, ma non per un reato in materia di doping, bensì per frode ai danni degli sponsor.
Al contrario, in Olanda e nel Regno Unito il doping non viene considerato materia penalmente rilevante; pertanto la repressione viene riservata agli organi di giustizia sportiva.

PARTE 3 - FINE

ANTIDOPING: COME FUNZIONA? PARTE 1

ANTIDOPING: COME FUNZIONA? PARTE 2
 

Cesare Boccio

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