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17/11/2010 00:50 CEST - L'INCHIESTA (Parte 1)

Antidoping: come funziona?

TENNIS - ESCLUSIVO. La lotta al “doping” è un tema di grande attualità; ma oltre ad esaminarne gli aspetti medici, scientifici ed etici è doveroso studiarne a fondo la disciplina giuridica, sia internazionale che nazionale, sportiva e penale. Ecco quali sono gli organi competenti, le procedure attivabili e le sanzioni irrogabili nei casi in cui un atleta (tennista e non), venga colto quale assuntore di sostanze dopanti. Cesare Boccio

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Si discute spesso, anche in questo sito, di argomenti legati al doping. Ma raramente il tema viene affrontato nei suoi aspetti giuridici. Con questo monumentale lavoro del nostro Cesare Boccio (diviso in tre parti) ci addentriamo in questo delicato argomento. Un documento utilissimo per apprendere la materia anche per chi non mastica quotidianamente il linguaggio giuridico. (in fondo al pezzo, la lunga intervista al dottor Carlo Giammattei sull'argomento doping)

I giuristi e gli appassionati che hanno l'ardire di accostarsi per la prima volta alla normativa volta al contrasto delle pratiche “dopanti”, non possono fare a meno di notare in quale autentico ginepraio giuridico si siano imbattuti. Un insieme di normative statali, convenzioni internazionali, regolamenti sportivi internazionali e “domestici”, oltre che disposizioni di settore (ossia rivolte alle singole discipline sportive), si intersecano costituendo un complesso all'interno del quale è difficile districarsi. E' pertanto opportuno fissare un metodo di analisi che ci permetta di chiarire tutti i dubbi in modo terminologicamente comprensibile anche per i “non addetti ai lavori”. In primo luogo si comincerà con lo studio delle regole sportive, con un occhio di riguardo per il tennis, per poi proseguire con la disamina delle norme penali italiane e un breve approccio comparatistico anche alle leggi antidoping di alcuni paesi stranieri. Si tenga presente che, vista l'ampiezza dell'argomento e per ovvie ragioni di scorrevolezza del discorso, sarà necessario soffermarsi principalmente sugli aspetti più importanti di carattere strettamente normativo, lasciando l'approfondimento medico a specialisti del settore.

LA NORMATIVA SPORTIVA.

L'ISTITUZIONE DELLA WADA ED IL “WORLD ANTI-DOPING CODE”.

L'intento del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) di imprimere una svolta ancor più efficace nella lotta al doping si concretizzò nel 1999 con l'istituzione della WADA (World Anti-Doping Agency). In quel periodo era ancora forte e doloroso l'eco delle polemiche esplose sugli scandali verificatisi soprattutto nel ciclismo; basti pensare al Tour de France 1998 vinto da Pantani e caratterizzato da numerosi ritiri a dir poco sospetti e dall'intervento costante delle Forze di Polizia francesi. La WADA perciò nacque con la “mission” di esercitare un potere di direttiva nei confronti dei comitati olimpici nazionali e delle federazioni internazionali, volto ad uniformare le rispettive normative interne antidoping attraverso la periodica emanazione di un Codice, denominato appunto “World Anti-Doping Code”, la cui prima versione entrò in vigore nel 2003 e la cui ultima edizione è divenuta efficace a decorrere dal 1 gennaio 2009 (il testo è reperibile sul sito WADA). In sostanza, il contenuto della codificazione in questione è suddiviso nelle seguenti 4 parti:
1) Controllo antidoping,
2) Educazione e ricerca,
3) Ruoli e responsabilità,
4) Norme procedurali in materia di approvazione e modificazione del codice, e di conformazione al medesimo.
E' appena superfluo sottolineare come, ai fini del discorso che interessa gli appassionati di tennis, assuma particolare rilievo la prima parte del Codice, dedicata alle procedure che presiedono al prelievo dei campioni, dell'accertamento dell'illecito, nonché del successivo giudizio (primo grado e appello) oltre che, chiaramente, alla tipologia di sanzioni che possono essere applicate ad un atleta. Va detto inoltre che la gran parte delle regole in esame sono, per così dire, di principio, ossia norme che necessitano di attuazione da parte, da un lato, dei Comitati Olimpici Nazionali e dall'altro delle Federazioni internazionali delle singole discipline sportive. Ad esempio, per quanto concerne il tennis (come verrà esaminato meglio in seguito), il Codice WADA costituisce fonte normativa di ispirazione dell' “ITF Tennis Antidoping Programme”, oltre che per noi italiani del “Documento tecnico attuativo del Programma Mondiale Anti-Doping WADA”, approvato dal CONI, e destinato all'applicazione generalizzata di tutti gli sport agonistici ivi compreso il tennis. Non solo, è doveroso ricordare che l'operato del CIO e della WADA ha trovato espresso riconoscimento ed incentivo anche a livello della “Convenzione Internazionale contro il doping nello sport” adottata a Parigi durante la XXXIII Conferenza generale UNESCO il 19 ottobre 2005, e successivamente ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 230 del 26/11/2007.

LE VIOLAZIONI (Art.2)

Tornando al Codice WADA, si esaminano nel dettaglio le violazioni in esso contemplate:
- la principale violazione è costituita dalla presenza di una sostanza vietata, dei suoi metaboliti o “marker”(marcatori) nel campione di un atleta. In particolare, il codice specifica che si considera consumato l'illecito del divieto di assunzione di sostanze dopanti se, dei due campioni prelevati (non si precisa se campione ematico o di urina anche se nelle maggior parte dei casi si verifica la seconda ipotesi) e denominati convenzionalmente A e B, la traccia risulti presente nel solo primo campione quando l'atleta ha rinunciato all'analisi del secondo, e qualora la prima analisi sia confermata anche da quella del campione B. Inoltre, per quanto concerne quello che nel linguaggio giuridico viene definito “l'elemento soggettivo” dell'infrazione (in termini più semplici, la consapevolezza e volontà della condotta illecita), il codice non richiede la prova dell'intenzionalità o dell'errore ascrivibile all'atleta, bensì, la semplice condizione accennata in precedenza, ossia l'oggettivo riscontro analitico. Ciò significa che grava sull'atleta stesso l'onere di provare che l'assunzione di sostanze proibite sia avvenuta contro la sua volontà oppure senza la sua consapevolezza. Invece, la fattispecie del “tentativo di uso”, ossia l'ipotesi nella quale vengono compiuti atti prodromici all'uso nel corso di una competizione sportiva (si pensi al caso di Ivan Basso il quale nel 2007, nell'ambito delle indagini rientranti nella cosiddetta Operacion Puerto, ammise espressamente il solo tentativo alla Procura antidoping per essersi sottoposto alla autoemotrasfusione in vista del Tour de France) si caratterizza per i più rigidi obblighi probatori da parte degli organi inquirenti, i quali devono trarre elementi di valutazione da documentazione relativa alla persona dell'atleta, soprattutto di carattere medico-scientifico e, contrariamente all'ipotesi dell'uso effettivo, devono fornire prova dell'intenzionalità.
- Infrazione del rifiuto di sottoporsi al prelievo di campione.
-Inosservanza dell'obbligo di “reperibilità” dell'atleta nei periodi non dedicati alle competizioni sportive (obbligo molto criticato nel settore tennistico in particolare da Rafael Nadal in quanto ritenuto eccessivamente limitativo della propria sfera di libertà personale). Si precisa ulteriormente, in merito all'ultima fattispecie, che si considera integrata una violazione del codice anti-doping nell'ipotesi in cui l'atleta, nel corso di un periodo di osservazione di 18 mesi, non fornisca informazioni in merito alla sua collocazione logistica e/o non si sottoponga ai test per un totale di 3 inosservanze.
- Manomissione o il tentativo di manomissione del controllo. Una violazione costituita da tutti quei casi in cui l'atleta pone in essere atti fraudolenti volti ad alterare gli esiti delle analisi, oppure ad ostacolare la sua identificazione.
- Possesso di sostanze e/o metodi dopanti proibiti. L'illecito viene commesso dall'atleta che viene trovato in possesso di tali sostanze al di fuori dei casi di autorizzazione per ragioni terapeutiche, sia nel corso delle competizioni che al di fuori.
- Possesso di sostanze e/o metodi dopanti da parte del personale di supporto dell'atleta. Stesse considerazioni di cui al punto precedente.
- Traffico o tentativo di traffico di sostanze dopanti e/o metodi proibiti.
- Somministrazione o tentativo di somministrazione di sostanze proibite ad un atleta. Punisce sia l'atto di somministrare sostanze e/o metodi proibiti, sia la tenuta di una condotta finalisticamente orientata ad indurre un atleta all'assunzione di sostanze dopanti.


LE SOSTANZE PROIBITE (Art. 4)

Il fulcro di tutta la normativa “antidoping” è ovviamente rappresentata dalla lista delle sostanze e dei metodi proibiti, aggiornata dalla WADA con cadenza annuale (l'ultima lista dell'anno 2010 è reperibile a QUESTO INDIRZZO). Un'elenco che, in base a quanto enunciato dal Codice, entra in vigore automaticamente presso tutti gli ordinamenti sportivi decorsi tre mesi dalla data della sua pubblicazione; perciò si pone come norma immediatamente precettiva per tutti gli organi competenti sia a livello nazionale che internazionale.
Le sostanze vengono raggruppate nelle seguenti macro-categorie:
- Agenti anabolizzanti, a loro volta suddivisi in:
- steroidi anabolizzanti androgeni;
- altri agenti anabolizzanti previsti dalla lista.
- Ormoni peptidici, fattori della crescita, e sostanze collegate; una categoria di sostanze nella quale rientrano, tra le altre, sia l'EPO (eritropoietina) che la cosiddetta EPO di terza generazione, la CERA (Continuous erythropoietin receptor activator) che stimola il recettore renale alla produzione continua di eritropoietina.
- I Beta-2 agonisti, che esercitano la loro efficacia sulla muscolatura bronchiale facilitando la respirazione. Sono proibiti ad eccezione del salbutamolo entro il limite dei 1600 microgrammi entro le 24 ore ed il salmeterolo inalato, ovviamente previa esenzione per fini terapeutici (la cosiddetta Therapeutic Use Exemption, rilasciata dal Comitato Olimpico Nazionale o dalla Federazione sportiva internazionale a seconda della tipologia di competizione sportiva).
- Antagonisti e modulatori degli ormoni.
- Diuretici e altri agenti “mascheranti”.
Per quanto concerne invece i metodi proibiti, la lista ne elenca 3 categorie:
- Potenziamento del trasporto di ossigeno, che comprende il cosiddetto doping ematico.
- Manipolazione chimica e fisica, del campione prelevato all'atleta.
- Doping genetico; riferito, alternativamente, all'atto di trasferimento di cellule o elementi genetici (DNA o RNA) e all'utilizzo di agenti farmacologici e biologici idonei a modulare l'espressione genica.
Inoltre, la WADA aggiunge altri gruppi di sostanze vietate, ma stavolta relative esclusivamente alle competizioni (ossia al di fuori del periodo di “reperibilità”):
- stimolanti;
- narcotici;
- cannabinoidi;
- glucocorticosteroidi.

L'ONERE DELLA PROVA (Art. 3)

In precedenza si è già accennato all'onere probatorio che l'organo di “accusa” deve assolvere al fine di dimostrare l'effettiva commissione della violazione del codice antidoping. In altri termini si tratta di verificare quali livelli di certezza scientifica del fatto devono essere documentati all'esito del controllo. Su questo punto, il Codice utilizza una locuzione emblematica: “This standard of proof in all cases is greater than a mere balance of probability but less than proof beyond a reasonable doubt” che tradotta in italiano (documento attuativo del CONI) significa che “Il grado di prova richiesto è comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità ma inferiore all'esclusione di ogni ragionevole dubbio”. Sul piano giuridico è interessante notare come non venga affatto richiesta l'assoluta certezza, bensì un elevato grado di probabilità scientifica; un elemento che si differenzia notevolmente dall'onere probatorio nei processi penali, sia dei paesi anglosassoni (USA, Regno Unito, i paesi di common law) che di taluni di ispirazione e tradizione romanistica (come l'Italia) i quali consentono una pronuncia di condanna solo qualora la colpevolezza emerga “al di là di ogni ragionevole dubbio” (Art. 533 codice di procedura penale italiano). Inoltre, viene precisato che gli organi antidoping possono accertare l'infrazione attraverso qualsiasi mezzo affidabile (es. laboratori accreditati WADA), ivi compresa l'espressa ammissione di colpevolezza da parte dell'atleta. Una volta fornita la prova nei termini esposti, spetta all'atleta medesimo (con l'ovvia esclusione dei casi di confessione) dimostrare che l'esito positivo delle analisi sia dipeso da una violazione procedurale commessa dall'organo di controllo, oppure che l'assunzione della sostanza proibita non sia dipeso dalla sua volontà (ad es: costrizione da parte di terzi, o assoluta mancanza di consapevolezza). In merito alle ipotetiche violazioni procedurali, il Codice aggiunge che possono invalidare l'accertamento nella sola ipotesi in cui, l'esperimento della procedura corretta avrebbe condotto ad un risultato negativo. Pertanto viene esclusa ogni rilevanza ai casi di violazioni meramente formali.

FINE PARTE 1 - CONTINUA

Intervista a Carlo Giammattei, realizzata da Claudio Gilardelli (Parte 1) - (Parte 2) - (Parte 3)

Cesare Boccio

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker