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13/12/2010 20:18 CEST - ATP - CURIOSITA'

Tennis e musica: un gioco (Parte 1)

TENNIS - Prima parte di un viaggio immaginario che coniuga tennis e musica: se i primi 10 giocatori del mondo fossero musica, quali dischi rock sarebbero? In questa prima metà scopriamo i paragoni della parte bassa della top 10, da Mikhail Youzhny a Tomas Berdych, senza dimenticare la "wild card" per il mitico Daniel Koellerer, a suo modo uno dei personaggi del circuito. Riccardo Nuziale

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In queste settimane di pausa dal tennis giocato ci è permesso fare riflessioni ludiche, se non addirittura frivole, che spesso sono le più godibili da scrivere e da leggere. Per chi scrive, il connubio scrittura-musica è inscindibile. Battere i tasti, nel tentativo di scrivere qualcosa di interessante o che comunque non affoghi nell’oblio della banalità, ascoltando nel frattempo un album musicale, è un’abitudine irrinunciabile. Da qui l’idea, sfiziosa quanto frivola (repetita iuvant), di abbinare ad ogni top 10 (più un jolly, che non potevamo non considerare) un disco musicale…che album sarebbe Federer, se fosse un’opera musicale? E Nadal? E Murray? La scelta è stata di inserire classici del rock perché, per quanto la classica o il jazz avrebbero trovato comunque paragoni interessanti, il rock è da sempre la musica “giovane”, quindi più adatta nel porre paragoni con atleti sotto i 30 anni di età. Non si preoccupi il lettore che non conosce tali album, né dia del pazzo a questa penna: sono tutte pietre miliari o comunque dischi di grande considerazione critica. Pronti per questo viaggio? Si parte…


wild card - DANIEL KOELLERER
BUTTHOLE SURFERS – PSYCHIC…POWERLESS…ANOTHER MAN’S SAC (1984)

La classifica può dire quello che vuole, lui sarà sempre nei nostri cuori. Seppur sceso al n. 269, l’austriaco Daniel Koellerer, il Klaus Kinski della racchetta, cuor di panna e isterico serial killer allo stesso tempo, è infatti un eroe per un semplice motivo. In questo tennis pieno di noioso fair play, di ipocrite pacche sulle spalle, di soporiferi “ha meritato di vincere”, “è un grandissimo giocatore”, “tutte le partite sono difficili”, di sorrisi veri e sinceri come quelli di Silvio, lui è l’unico ad essere autenticamente, genuinamente, orgogliosamente str (la parola finitela voi, siamo in fascia protetta). Ma non un volgare stupido, no assolutamente; anni di esperienza e pratica lo hanno reso un artista. Tra Riccardo III ed Andy Kaufman, è talmente geniale da conoscere benissimo il confine tra l’essere str e l’essere un antisportivo, ed è questo confine che fa impazzire giudici di sedia, supervisor ed avversari: non va mai nettamente oltre. Può anche varcare la soglia dell’antisportività, ma di quelle poche decine di centimetri che impedisce chi di dovere a punirlo seriamente. Scorrettezze che, nei loro picchi, raggiungono vette assolute, pari ai colpi divini di Federer o ai recuperi impossibili di Nadal; come giudicare altrimenti (facciamo solo un esempio perché elencarli tutti richiederebbe un’enciclopedia) l’ormai celeberrimo episodio delle bottigliette a Trani, in finale contro Volandri? Pura beffardia diabolica, talmente consapevole che durante la premiazione, dopo le parole di un infuriato Volandri, ringraziò tutti e concluse con un “Grazie mille, buonasera”. Genio. Una partita nel Centrale di Wimbledon sarebbe l’incoronazione di una carriera. Sia benedetto in eterno.
Convertire questo folletto del Male in musica? Et voilà, ecco i Butthole Surfers, band cult (per addetti ai lavori ed appassionati, chiaro) dell’hardcore-noise statunitense anni 80. Gruppo che, proprio come Koellerer, amava giocare sul confine tra volgarità e genialità: grezzi, spudoratamente “bassi” (per chi non mastica troppo bene l’inglese, il nome della band significa surfisti del buco del…beh, ci siamo capiti), ma capaci di incanalare tali bassezze in musica. Per tutti gli appassionati dei Pink Floyd, da cui questa penna riceverà querele e minacce di morte per il paragone, questa è la loro Astronomy Domine. Però si provi ad ascoltare Lady Sniff, il loro pezzo più famoso, e dire che non si tratta di Koellerer in musica. Epocale.

10 – MIKHAIL YOUZHNY
GONG – FLYING TEAPOT (1973)

Dunque…chiediamo sostegno a Wikipedia, ne vale la pena: a un porcaro egittologo chiamato Mista T Being viene venduto un orecchino magico da Fred the Fish ("Federico il Pesce"), venditore ambulante di teiere antiche e collezionista di etichette di tè. L'orecchino è in grado di ricevere messaggi dal pianeta Gong grazie ad una stazione radio, la Radio Gnome Invisible. T Being e Fred vanno in Tibet, sull'Himalaya, dove incontrano (in una grotta) Banana Ananda, grande yogi della birra. Ananda si offre di cantare il Banana Nirvana Mañana e si ubriaca di Foster's Australian Lager. Nel frattempo il protagonista della mitologia, Zero the Hero, conduce la sua vita di tutti i giorni, quando improvvisamente ha una visione nella Charing Cross Road di Londra. Viene così obbligato a cercare dei compagni d'avventura per fondare il culto del Cock pot pixie, uno dei tanti Pot-head pixies (Folletti Testa-di-Teiera) del pianeta Gong. Questi folletti sono verdi e hanno delle eliche sulla testa che permettono loro di volare con le loro teiere.Zero è presto distratto da un gatto, che gli offre il suo piatto di fish and chips. Il gatto è in realtà la strega buona Yoni, la quale dà a Zero una pozione.
Ora…esiste una spiegazione razionalmente più logica della testa di Youzhny? Giocatore tanto meraviglioso esteticamente quanto deficiente nel gioco complessivo, cosa che lo ha sempre penalizzato per il salto di qualità definitivo (è stato anche n. 8, ma due semifinali e due quarti di finale Slam per un giocatore così sono un delitto assoluto, senza contare che nei Master 1000 ha fatto anche peggio). Classico giocatore da amare sempre e comunque, per il binomio di genio e sregolatezza che mai finirà di affascinare, non si capirà mai bene quale sia la deficienza che affligge Youzhny e che gli impedisce di diventare un top player a tutti gli effetti. Non resta quindi che presupporre che nella sua testa ci sia un microcosmo mitologico abitato da tanti personaggi stravaganti e folkloristici, come quello teorizzato (ma sarebbe più appropriato dire “visto” con sostanze allucinogene) da Daevid Allen, leader dei Gong, band cardine della cosiddetta scena di Canterbury, ramo tra i più importanti del progressive rock. Youzhny, nella sua instabilità emotiva (a livello sportivo, s’intende), sembra come costantemente dominato da “voci interiori” che non di rado lo confondono.
I am, you are, we are crazy.

09 – FERNANDO VERDASCO
THE RUNAWAYS – THE RUNAWAYS (1976)

Incredibile come una singola partita possa cambiare l’opinione pubblica circa un giocatore. Quella semifinale degli Australian Open sembra aver convinto un sacco di persone che Verdasco, lo sciupa femmine n. 2 di Spagna, sia diventato un giocatore da primissimi del mondo, in grado di minare la stabilità dei piani alti. A distanza di quasi due anni lo possiamo dire tranquillamente: Verdasco è sempre stato e sempre sarà un buon giocatore che mai farà male a nessuno. Un dato? Contro i cosiddetti Fab Four è sotto 5-28 negli scontri diretti, con Nadal e Federer 0 vittorie 0. Ecco quindi il paragone musicale: se Stepanek è Kim “Animal Man” Fowley (qui il mistero più grande della realtà umana: che ci troveranno in uno dalla bruttezza leggendaria, dalla evidentissima antipatia e dal curriculum sportivo non certo importante? Qualcuno dia una spiegazione, possibilmente non volgare), Verdasco è le Runaways, hard rock adolescenziale, divertimento spensierato, tentativo di imitare e raggiungere i grandi (per la cronaca, l’originale è dei Velvet Underground), un tennis a tratti anche divertente e brillante, ma sostanzialmente innocuo, che non lascerà tracce. Verdasco è le Runaways perché, sostanzialmente, è una fighetta (si perdoni il termine), uno a cui piace vincere facile, ma che si sfalda quando bisogna vincere con fatica. Per la cronaca, a chi scrive piace più la musica delle Runaways che il tennis di Verdasco, il cui Grand Slam personale lo si può trovare nell’archivio flirt (e lì tutti lo invidiamo, inutile negare).

08 – ANDY RODDICK
BLUE CHEER – VINCEBUS ERUPTUM (1968)

Chi ha inventato l’hard rock? I Led Zeppelin? I Deep Purple? I Black Sabbath? No. In realtà, non è ben chiaro quando si possa parlare di nascita dell’hard rock, in quanto molte band inglesi, come Kinks (la cui You Really Got Me può essere considerata di diritto la prima canzone hard rock della storia), Yardbirds e Who avevano già portato il rock blues a sonorità nuove. Il primo disco però che probabilmente può essere considerato hard rock tout court (anche se c’è chi dice, non del tutto a torto, che l’album è un’estremizzazione dell’acid rock) è un disco statunitense del 1968, uscito quindi un anno prima dell’esordio dei Led Zeppelin. Il pezzo che dà l’inizio all’album, la cover di Summertime Blues di Eddie Cochran, è un ace a 300 km/h: uno dei grandi classici del rock & roll anni ’50 viene letteralmente sommerso in feedback, distorsioni, urlacci sguaiati. Mai nessuno aveva osato tanto, in campo rock blues. Jim Morrison definì i Blue Cheer la band più potente che avesse mai visto. Ora, è vero che negli anni la potenza di A-Rod si è affievolita, soprattutto col dritto, ma se c’è un disco che lo ricorda è questo, tennis che si basa su potenza brutale e poco altro, un muro sonoro di ace e dritti. Certo, c’è chi tira più forte di lui (così come il suono di Vincebus Eruptum è stato superato in decibel, ma d’altra parte è un disco di 42 anni fa), ma lui, oltre al fuori quota Federer, è l’unico della vecchia generazione che non è mai indietreggiato in questi anni, nonostante l’avvento dei giovani, ancor più forti e brutali. Il suo smisurato orgoglio non glielo permette. Così, nonostante i funerali prematuri che vengono celebrati suo malgrado ogni anno, lui va avanti per la sua strada. A forza di ace. Orgoglio made in USA. Rock forever.

07 – DAVID FERRER
GUNS ‘N ROSES – CHINESE DEMOCRACY (2008)

Vedere alla voce “ritorni non graditi”. Nel 2008, dopo un corollario interminabile di conferme e smentite, esce finalmente Chinese Democracy, il disco ritorno dei Guns ‘N Roses. Quindici anni di parto creativo, anni di attesa estenuante per i numerosissimi fans del gruppo, il cui ultimo album di inediti risaliva al 1991 (il doppio Use Your Illusion). Il risultato? Un heavy metal che sarebbe suonato muffoso e francamente inascoltabile anche negli anni ’30. Per quanto ampiamente sopravvalutati, nei loro anni d’oro qualche buon pezzo i Guns l’avevano sfornato; ora la voce sempre più gracchiante di Axl e i riffoni di quarta mano fanno di Chinese Democracy uno degli aborti creativi più notevoli (e forse il più pubblicizzato) degli ultimi anni. Anche i fan hanno girato il pollice verso il basso.
Il ritorno di David Ferrer è molto simile, con una sola, sostanziale differenza: se i Guns avevano milioni di fan ad accoglierli, Ferrer ha da sempre tre soli tifosi, i genitori e Laura Golarsa. Con quei suoi passettini convulsi da coniglietto Duracell, quei suoi rantoli da Rocco Siffredi novantenne, il gioco dello spagnolo è la massima espressione della Noia, la Cappella Sistina di un tennista talmente sgraziato da non sembrare vero. E invece è talmente vero che è riuscito, non si sa come, a tornare ad altissimi livelli, tanto da entrare nei top 8 per il Masters. L’incubo: meglio lui di Youzhny. Giustizia divina ha poi voluto che non vincesse l’ombra di un set. È la prova vivente, dicono i suoi (tre) sostenitori, che il duro lavoro paga. Se cercavate la prova definitiva che il lavoro fa male, eccovela.
P.S. Come dite? Non sono stati inseriti link di pezzi dell’album? Buon Natale…

06 – TOMAS BERDYCH
FLIPPER – ALBUM: GENERIC FLIPPER (1982)

Berdych è il grande alienato del tennis attuale. Non esiste giocatore che più di lui sembra totalmente fuori dal campo, qualsiasi cosa succeda. Gioca con la stessa nonchalance vincenti di difficoltà estrema e gratuiti da prima lezione di tennis. Spesso ci si chiede se sia veramente interessato al gioco o meno, leggere i suoi occhi glaciali è impresa titanica (per lui in partenza, probabilmente). Da anni ci si chiede dove possano arrivare lui e il suo considerevole potenziale, e i pur notevoli risultati di quest’anno non sembrano aver dato tutte le risposte.
L’album dell’alienazione per eccellenza? Ce ne sono diversi, ma Berdych ricorda in tutto e per tutto l’esordio di una band statunitense di inizio anni ’80, famosa perché adorata da Kurt Cobain (e dai Nirvana in generale: il bassista Krist Novoselic, dal 2006 al 2008, ha fatto addirittura parte della band), il cui nome, leggenda vuole, fu scelto per omaggiare un amico tossicodipendente che chiamava tutti i suoi animali domestici Flipper per non dimenticarsi il loro nome. Eroi del noise rock underground, scioltisi tragicamente nel 1987 in seguito alla morte per overdose del cantante, Will Shatter, la musica dei Flipper è asettica, velenosa, ipnotica, terribilmente sentita e sofferta. Il loro pezzo più osannato è Sex Bomb (immaginatevi James Brown che fa una cover di Sister Ray dei Velvet Underground), ma se volete sentire musicalmente il tennis di Berdych, andate su (I Saw You) Shine (putroppo non è stato possibile trovare la versione album): ossessiva, violentissima, sembra che non finisca mai. E quella sensazione di impalpabilità e disagio che si percepisce nel tennis di Berdych qui è evidentissimo.

A domenica prossima per la seconda e ultima parte!
 

Riccardo Nuziale

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker