ITALIANO ENGLISH
HOMEPAGE > > La solitudine del numero uno

21/02/2011 01:45 CEST - WTA Tour

La solitudine del numero uno

TENNIS – Caroline Wozniacki si era detta sollevata di non essere più numero uno del mondo. Ora dovrà tornare a convivere con le domande dei giornalisti e soprattutto con la pressione. Perché arrivare in vetta richiede lavoro e passione, ma restarci è questione di carattere.  Alessandro Mastroluca

Guarda, in basso a destra, lo spot commerciale di Caroline con Turkish Airlines

| | condividi

Il sollievo è finito. Da lunedì Caroline Wozniacki dovrà tornare a rispondere alla domanda che tanto l’annoia, su come ci si senta ad essere numero uno del mondo senza aver vinto un titolo dello Slam. Una domanda che prima di lei ha già ″perseguitato″ Dinara Safina, Elena Jankovic (che si sono divise anche, agli occhi della critica, il poco invidiabile primato di numero uno più debole nella storia della Wta insieme alla Ivanovic) e proprio Kim Clijsters, tornata al numero uno dopo la vittoria agli Australian Open e ora nuovamente scavalcata dalla ventenne danese, che nel 2003 per prima riuscì a raggiungere la vetta della classifica senza un major all’attivo.

E’ stato anche per evadere questa domanda ricorrente che a Melbourne ″Caro″ ha inventato l’incontro ravvicinato del terzo tipo con un canguro, presentandosi poi con un peluche e dei guantoni da boxe per spiegare che, appunto, era stata tutta un’invenzione.

Aver dichiarato di sentirsi un po’ sollevata di aver perso la corona certo non avvicina la Wozniacki all’Anna Bolena dell’Enrico VIII di Shakespeare che confessa alla sua dama di compagnia ″Per la mia fede e la mia verginità, non vorrei essere regina″, dichiarazione accolta dalla dama con diffidenza: ″Io sì (…) e lo vorreste anche voi dispetto di codesto vostro pizzico di ipocrisia″.

Ma, ipocrisia o no, arrivare a un grande traguardo, raggiungere la vetta è più facile che conservarla. L’inseguimento, sotto certi aspetti, è deresponsabilizzante: se hai dato il massimo ma chi ti sta davanti ha fatto meglio non puoi comunque rimproverarti nulla. Se, invece, chi ti sta davanti non ha fatto meglio di te, e sei arrivato alla vetta, allora inizia il secondo tempo. E non basta la fama, non basta la popolarità, non bastano i soldi: serve carattere. Perché, per dirla con Springsteen, tutti vogliono essere al top, ma poi dicono che lassù ci si sente soli.

Questione di obiettivi
Il tennis è un gioco semplice, è questione di geometria. Detto in termini sofisticati, (Foster Wallace, Tennis e Trigonometria) ″richiede l’abilità di calcolare i propri angoli e gli angoli di risposta. Dato che l’espansione delle possibilità di risposta è quadratica, bisogna pensare n colpi avanti, dove n è una funzione iperbolica limitata (semplificando) dal talento dell’avversario e dal numero di colpi giocati nello scambio fino a quel momento″. Detto più semplicemente: vince chi riesce a rendere il campo più ampio per sé che per l’avversario.

Per farlo, a rigor di logica, basta l’allenamento. Basta raccogliere l’invito del già citato ″Boss″, ″punta la tua arma, figliolo, e tira il tuo colpo″. Se poi l’arma è una racchetta e i colpi sono 2,500 al giorno, potresti finire per odiare tuo padre che ha trasferito le sue ambizioni frustrate su di te, un padre il cui primo commento dopo il primo trionfo in uno Slam, a Wimbledon contro Ivanisevic, è ″come diavolo hai fatto a perdere il quarto set?″; potresti finire per odiare a volte anche il tennis, per mettere parrucche bionde e sposare Brooke Shields per vedere l’effetto che fa, ma soprattutto potresti finire per riscrivere la storia del tennis.

Sono parecchi i casi di avviamento etero-indotto al tennis. Agassi e le sorelle Williams, diventati giocatori per altrui volontà (paterna, nello specifico) e campioni per talento proprio, restano quelli di maggior successo. Ma non è certo un caso se Agassi sia rimasto al numero uno per 101 settimane, Serena per 123 e Venus solo per 11, pur avendo vinto sette titoli dello Slam. Restare in vetta è questione di carattere.

Il tennis abbonda di padri ossessivi (su tutti Damir Dokic) che confermerebbero quanto Manlio Scopigno, allenatore del Cagliari scudettato di Riva, diceva a proposito delle squadre di calcio: ″La più forte è composta da undici orfani″. Ma per fortuna dal tennis arrivano anche esempi di famiglie che lanciano messaggi positivi. ″Non avrei mai tollerato che Rafael fosse diventato un buon giocatore e un cattivo esempio di persona. A un simposio, recentemente, un preparatore mi ha detto ‘Se tu chiedi al padre di un giovane giocatore cosa vorrebbe per suo figlio, che diventi una persona a modo o il vincitore del Roland Garros, sai già quello di risponderà’. E io ho detto ″No, è sbagliato. Se il ragazzo viene cresciuto come una persona rispettosa avrà molte più possibilità di vincere il Roland Garros″. Parole e musica di Toni Nadal, zio di un ragazzo che ha tanto rispetto da non accettare l’idea di ritirarsi quando l’infortunio o il malessere non gli impedisce di continuare a giocare e da aver vinto cinque Roland Garros.

E’ indubbio che la chiarezza di visione sugli obiettivi per il futuro aiuti a raggiungerli. E’ il caso di Roger Federer che già a 15 anni, allo Swiss National Tennis Centre, scriveva i suoi obiettivi per il futuro: ″entrare nei primi dieci e poi diventare numero uno″. Ha impiegato qualche anno, ha sofferto all’inizio l’altro bambino-prodigio Lleyton Hewitt, l’ultimo capace di batterlo rimontando uno svantaggio di due set, ha pagato l’ebbrezza di aver cacciato re Sampras dal suo giardino londinese, ma una volta trovato l’equilibrio ha vinto 16 Slam rimanendo in vetta alle classifiche 285 settimane, una in meno di Pistol Pete. Ma c’è qualcuno che crede che Sampras non scambierebbe volentieri un paio di settimane in vetta al ranking con un paio di trofei del Grande Slam da aggiungere in bacheca?

La pressione è un privilegio
Pressione: è una delle parole che risuonano più spesso in un mondo, come quello dello sport, dominato dalla cultura della vittoria e non solo dall’invito a ″essere tutto quello che puoi diventare″. Pressione che diventa ancora maggiore chi deve confermare un grande risultato o restare in vetta alle classifiche. La pressione, come il perfezionismo che è uno dei prerequisiti per raggiungere quei risultati, è però un lupo vestito da agnello e genera reazioni diverse.

C’è chi non la sente, perché semplicemente considera il tennis una parte della sua vita, non tutta la sua vita: è il caso di Rafter, che è rimasto in cima alle classifiche solo una settimana, che sentiva il bisogno, dopo i grandi tornei, di passare del tempo a casa a fare surf.

C’è chi tende a deconcentrarsi, come Boris Becker, e può essere questa una delle spiegazioni per comprendere come il tedesco sia riuscito a restare n.1 del mondo solo 12 settimane pur avendo vinto sei Slam.

C’è chi si sente caricato dalla responsabilità, chi si esalta e in genere riesce a dare continuità a prestazioni e risultati. Restano inarrivabili le 377 settimane da numero 1 di Steffi Graf, le 322 di Martina Navratilova e le 260 di Chris Evert.

Questa, però, è una conquista che matura con l’età. E’ comprensibile che Caroline Wozniacki si senta in un certo senso sollevata dal non essere più numero uno. E’ altrettanto comprensibile che, nel 1991, Pete Sampras, che dodici mesi prima era diventato il più giovane vincitore degli Us Open, battuto in quarti di finale da Courier abbia dichiarato: ″Mi sento meglio, mi sono tolto un gran peso dalle spalle, non sento più una scimmia dietro la schiena, ora posso tornare a concentrarmi″.

Una dichiarazione molto criticata da Jimmy Connors (che in quell’edizione degli Open aveva ottenuto una delle sue vittorie più straordinarie, la rimonta su Aaron Krickstein, di 15 anni più giovane) e dallo stesso Courier.Io sono in semifinale agli Us Open, perché dovrei sentirmi preoccupato? La vita non potrebbe andare meglio. Davvero, ma quanta pressione può avere Sampras? Non dovrà lavorare mai più in vita sua. Ha diversi milioni nel suo conto in banca. Ha vent’anni. Penso che dovrebbe essere capace di uscire là fuori e sentirsi libero in campo. Chiunque scambierebbe la propria posizione con la sua. Ha il mondo ai suoi piedi″. Un Courier in linea con quello che sarà il titolo dell’autobiografia di Billie Jean King, ″La pressione è un privilegio″ (una frase che la King aveva usato per rispondere alla domanda di un giornalista su come si sentisse a giocare il suo primo Us Open).

Il problema più grande, però, una volta arrivati in cima, è trovare le motivazioni per tornare in campo ad allenarsi il giorno dopo, per andare a giocare il torneo successivo. Pete Sampras, che evidentemente ha fatto amicizia con la scimmia sulla spalla negli anni successivi, nove anni dopo quella sconfitta con Courier ha perso una finale, sempre a Flushing Meadows, diventata il manifesto dell’ambivalenza del perfezionismo, contro Marat Safin.

Il russo ha giocato il tennis del futuro, raggiungendo la vetta del ranking. Non è più una promessa, è un campione, ricco, ammirato, pieno di donne. ″Non avevo niente più da raggiungere″ dice, ″avevo tutto quello che avevo sempre sognato. Eppure sentivo un vuoto dentro: avevo tutto, ma non avevo niente″.

Vincere gli Us Open è stato il meglio e il peggio che gli potesse succedere. ″Avevo un sacco di soldi, una casa a Valencia, cinque macchine, di cui una Ferrari. Che altro potrebbe volere un ragazzo di vent’anni?″.

Marat non è pronto al passaggio successivo, a spostare l’asticella dell’ambizione un po’ più in là. Si diverte sempre di più, ma fuori dal campo. Finché un giorno decide di vendere le macchine e tornare a prendere sul serio il tennis, finendo per vincere un Australian Open dopo l’epica semifinale con Roger Federer. ″Ho abbandonato il perfezionismo e imparato ad accettare le sconfitte. Ho imparato che non posso rovinarmi nemmeno un istante con l’infelicità. Voglio giocare a tennis finché posso. E allora perché non godermelo?″.

Non è tornato al numero uno, ma nemmeno è diventato un nostalgico ex campione che non fa altro che rimuginare i suoi giorni di gloria ormai svaniti tra gli ammiccamenti di giovani ragazze. Ha scoperto il segreto della felicità: essere tutto quello che si può diventare è l’unico modo per avere ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto.

Alessandro Mastroluca

comments powered by Disqus
Ultimi commenti
Blog: Servizi vincenti
La vittoria di Francesca Schiavone a Parigi

Fotogallery a cura di Giacomo Fazio

Ubi TV

Na Li si rilassa in una SPA

Quote del giorno

"Il tennis non è una questione di vita o di morte. E' molto di più"

David Dinkins, ex sindaco di New York, colui che impose agli aerei di non passare sopra Flushing Meadows durante lo Us Open.

Partnership

Sito segnalato da Freeonline.it - La guida alle risorse gratuite